⁹². 𝘉𝘶𝘨𝘪𝘢𝘳𝘥𝘰

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L'uomo senza casco che si era rivolto a Florian teneva il volto fisso su di loro. La sua espressione sembrava vibrare a più riprese, come l'aria prima della pioggia. Eddie fece rimbalzare il proprio sguardo tra i due, preoccupato. Il soldato che lo aveva immobilizzato continuava a scavargli le scapole con la pistola.

– Oliver – iniziò Willas, in ginocchio accanto a lui. – Non farai sul serio.

Eddie lo guardò con la coda dell'occhio, registrando le sue iridi verdi infuocate dallo sdegno. Willas Dresner. Ricordava bene il suo nome, da quando Ian gli aveva raccontato dei posti di blocco vicino alla biblioteca. Trovarlo lì lo aveva confuso più del previsto.

– Certo che sì, ex-Sorvegliante. Ve l'avevo detto, che nel Lethe la sincerità è fondamentale – rispose il soldato oltre al vetro, parlando nell'interfono.

– Il tradimento ha un prezzo, e il vostro è solo rimandato. Prendetelo come un ringraziamento per aver salvato mia figlia.

Willas si zittì, pugnalato da un pensiero. Eddie lo osservò brevemente, riportando poi lo sguardo sull'uomo chiamato Oliver. A un tratto, comprese ogni cosa.

Oliver. Come Oliver Krassner. Il leader del Lethe.

Si guardò attorno, scrutando i soldati in mimetica come se li stesse notando per la prima volta. Allora esiste davvero. Aveva perso il conto di quante volte, nella sua breve vita, avesse sentito vociferare di quella sacca di resistenza al Regime. Nascosta, sconosciuta, imprendibile come fumo negli occhi. Eppure, quei ribelli erano lì davanti a lui, e avevano aiutato Ian a raggiungere il Laboratorio.

No, si interruppe, lucido. È Ian che ha aiutato loro ad arrivare fin qui. Averlo visto entrare con il badge di Saryu in mano non aveva fatto altro che confermargli un legame fra loro. Sei stata tu a dirgli dov'ero. Quel pensiero gli riscaldò un po' il cuore, salvo poi essere subito inquinato dal resto della faccenda, resa chiara dalle parole di Krassner. Ovvero che i ribelli avevano usato Florian come un cavallo di Troia.

Con quell'idea in testa, si girò a osservarlo, turbato. Il suo co-abitante sembrava aver perso l'uso della parola. Se ne stava fermo al suo fianco, con lo sguardo gettato a terra. Nonostante la pistola alla schiena, Eddie si arrischiò a incatenare le proprie dita alle sue, sperando di trasmettergli le quattro parole che gli stavano rimbombando in testa: non è colpa tua.

– Adesso statevene buoni e in silenzio. Ho un'altra questione in sospeso.

Il capo dei ribelli si scostò dal vetro, muovendo qualche passo verso la figura di Abramizde, accasciato su una sedia a un lato della sala. Eddie lo vide tirargli via il bavaglio dalla bocca con uno strattone. La maschera di mitezza che aveva sfoggiato sino a quel momento sembrò scollarsi dal suo viso, lasciando spazio a un fuoco liquido che rischiava di bruciarlo.

– Karl – disse, tagliente.

– Oliver – rispose il Presidente, pacato. – Credevo che i ratti vivessero nelle fogne.

Krassner sorrise. – Purtroppo per te, ogni tanto escono in superficie.

Qualcosa deformò il viso del Presidente, segnato dal silicone anti-età. Tuttavia, durò solo il tempo di un respiro, subito sostituito dalla sua solita espressione indifferente.

– Non sai cosa stai facendo, Leader. Perderai. La scorta che avevo mandato da Davis sta già tornando qui con i rinforzi. Tu e questa manciata di soldatini non potrete fare nulla.

Krassner incrociò le braccia, piantando i suoi occhi castani in quelli color ghiaccio dell'uomo. – Non credevo mi facessi così sprovveduto. È da quando ti ho fatto legare a quella sedia che ho dato ordine al resto dei miei ratti di uscire dalle loro tane. Presto devasteranno la capitale.

Nell'ombra di AntaresDove le storie prendono vita. Scoprilo ora