⁴². 𝘋𝘪𝘴𝘢𝘭𝘭𝘪𝘯𝘦𝘢𝘵𝘰

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Lo studio di Nicholas si trovava al quinto piano di un prefabbricato malmesso, nella periferia della zona C. Non era troppo distante dal condominio dove avrebbe dovuto abitare Dianne, ma Ian ci mise comunque mezz'ora per arrivarci. Camminando, pensò a quanto quella giornata fosse diventata un'infinita parata di nero dolore, con un solo soldato ancora in piedi a marciarla.

Lo sguardo della gente in mezzo alla strada ormai non lo tangeva più. Si scorse fugacemente nella vetrina di un negozio, provando indifferenza per sé stesso. Ricordò quel giorno di quasi vent'anni prima, in cui si era specchiato allo stesso modo in una vetrina, tornando verso casa. Trascinandosi tra le fiamme, sperando di poter raggiungere le sue persone importanti. In quel momento, però, gli sembrò che le fiamme non fossero all'esterno, ma al centro del suo petto.

Il portone del palazzo era aperto, e Florian sgusciò dentro senza incontrare nessuno. Si sforzò di mantenere la razionalità necessaria a fargli trovare sia il piano giusto, che la porta dello studio. Suonò il campanello in maniera automatica, e la porta emise il suono di uno scatto.

La sala d'aspetto dello studio gli provocava sempre delle sensazioni contrastanti. Le vecchie sedie di legno, la porta di gres opaco e l'odore di chiuso lo facevano rabbuiare ogni volta, come se solo perché si trovasse lì fosse ancora più malato, ancora più Disallineato. Tuttavia, sentendo il flebile "avanti" che proveniva dall'ufficio di Nicholas, Ian si trovò a esitare. Un barlume della sicurezza che aveva provato parlando con la signora Grace sembrò nuovamente fare capolino in lui. Io sto bene. Quelle persone esistono. Nonostante ciò, sentì una voce strisciante parlargli dal fondo della propria mente, canzonandolo. Se stai bene allora perché sei dallo psichiatra, invece che dalla polizia?

L'ufficio era identico a quando c'era stato l'ultima volta. Al suo interno vi erano le solite piante finte, gli attestati incorniciati, le tende color pastello che avrebbero dovuto rilassare i pazienti. Ma l'uomo dietro alla scrivania non era affatto Nicholas. Aveva dei capelli grigi tagliati cortissimi, e la barba perfettamente rasata metteva in risalto la sua mascella squadrata. Degli spessi occhiali blu notte gli solcavano il viso, e Florian vide riflettersi nelle loro lenti la schermata dell'olo-tablet che aveva in mano.

Rimase a guardarlo per qualche secondo, spaesato. Fece vagare gli occhi nel resto della stanza, cercando ingenuamente la presenza del proprio psichiatra. Per un attimo ebbe il terrore che anche lui fosse sparito nel nulla, salvo poi scorgere il suo nome sulla laurea in medicina ancora appesa dietro alle spalle dello sconosciuto.

– Salve, si accomodi. Posso fare qualcosa per Lei? – chiese l'uomo, posando l'olo-tablet di fronte a sé. La sua voce era calma e ponderata, e sembrava non essere affatto sorpreso di vedere una persona presentarsi in uno studio psichiatrico con un'aria sconvolta.

– Dov'è Nicholas? – chiese Ian. Una parte di lui realizzò che non si trattava del modo giusto per iniziare una conversazione, ma in quel momento le regole della cortesia erano l'ultimo dei suoi crucci.

– Il dottor Brenner è stato sostituito. Il comitato dei Neuropsichiatri lo ha ritenuto inadeguato ad adempiere ai suoi incarichi, e la Chiesa del Giudizio ha riscontrato in lui concezioni che non si addicono a una figura professionale in questo ambito.

Florian stette in silenzio, ascoltando le parole dell'uomo. Sostituito. Ricordò la conversazione avuta con Nicholas riguardo al concetto di felicità, e a come quella volta avesse avuto l'impressione che, per quelle idee, prima o poi sarebbe stato sgradito al Regime. Per una volta il suo buon intuito non lo rallegrò.

L'uomo ricominciò a parlare, allargando le braccia con affabilità. – Io sono il dottor Viktor Melnyck. La Chiesa mi ha affidato la gestione degli ex pazienti del dottor Brenner, compreso Lei, signor Herward.

Nell'ombra di AntaresDove le storie prendono vita. Scoprilo ora