c a p i t o l o 4 - Non hai ancora finito di fare lo stronzo?

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Diverso.

Tutto è diverso dal liceo di SkyWron.

Tutto ha un sapore nuovo, un odore particolare. Anche le persone.

Soprattutto loro.
E Rikaela ne è perfettamente a conoscenza, solo che entrare in classe e non trovare Gledis, Wilma, Mora e gli altri suoi amici è un colpo al cuore non indifferente.

Oggi più di ieri. Più dei giorni scorsi. Ma è normale e da una parte è meglio così, ma vuol sperare che anche loro stiano pensando la stessa cosa.

Vuol credere che non parlarsi e non sentirsi non sia sinonimo del dimenticare.

E quindi, provando a stamparsi un sorriso in faccia che non sia di costrizione, affonda le Converse bianche sul pavimento e marcia leggiadra verso la fila centrale, prendendo posto accanto a una ragazza dai capelli scuri. Poggia lo zaino ai suoi piedi, tirando fuori il computer e posizionandoselo davanti. E nel mentre che aspetta l'arrivo del professore, osserva l'ambiente circostante; dalle pareti crema all'enorme lavagna digitale appostata dietro la scrivania del docente; ai compagni che arrivano chiassosi. Difatti nel giro di mezz'ora l'aula si riempie e il professore fa il suo ingresso poco dopo.

La lezione inizia, ma Rikki non riesce a smettere di pensare a ciò che si è lasciata alle spalle.

E le brucia nel cuore come se fosse un tizzone ardente.

Le brucia così tanto che il respiro inizia a farsi corto, il petto si alza e si abbassa velocemente e del sudore cola dalla fronte fino a incunearsi nelle pieghe del collo.

Fino a ucciderle l'autocontrollo.

Perciò è costretta a recuperare in fretta le sue cose e a uscire dalla stanza. Alcuni occhi si posano su di lei a causa del chiasso, ma Rikki è un fantasma catturato dai mostri sotto al letto in quel momento.

È come se non ci fosse.

Un corpo che vibra vita ma che non la inala.

Che non la sente.

Un'anima piena di talmente tanti ricordi da strabordare. Da non avere più la forza di appiccicarsene dentro altri.

Un'anima lacerata, sanguinante.

Un'anima a cui manca qualcosa.

Con lo spallaccio dell'Eastpak morente nella mano, Rikki scappa. Non sa neanche lei dove, ma scappa.

Scappa perché i mostri stanno impattando nel cervello come zanzare fastidiose. Ridono di lei. Sua madre ride di lei. È così nitida nella mente la sua immagine che le sembra di averla vicina, anche se lei effettivamente non c'è.

E poi in coro; tante voci che formano un coro e le rammentano che non ha nessuna chance di poter uscire dal vortice in cui è precipitata da quando ha sei anni.

Dal vortice degli attacchi di panico.

Dal vortice del dolore.

Delle lacrime prendono a sgorgarle sulle guance, strilli morenti nella gola.

I piedi seguitano a muoversi feroci, a portarla dove non lo sa. Però si lascia guidare dall'istinto, perché l'attacco di panico è cocente e selvaggio come una bestia incattivita.

È feroce come quello della settimana prima, come quello che ha raccontato a Keyla prima di partire per New York.

"Colpa dell'amore", gli aveva dato nome.

Colpa sua.

Colpa di Charles.

Colpa della bocca che non voleva stare zitta.

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