c a p i t o l o 11 - Fiori variopinti d'Inferno

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Non sappiamo quali saranno i giorni che cambieranno la nostra vita.
Probabilmente è meglio così.

Stephen King


Un mese dopo

«Sta diventando insostenibile questa situazione, cazzo! Io non ce la faccio più e tu godi. Sì, tu godi nel sapermi in difficoltà», strepita Ebert al telefono, ficcando alla rinfusa in una borsa alcuni oggetti; quando sta per chiudere la zip, quella rimane incastrata in un lembo di stoffa, facendogli borbottare qualche imprecazione. Dall'altro capo della linea si eleva uno sbuffo infastidito.

«Sei una lagna, Patel. Quante volte ti avrò ripetuto che lui non è più un problema?»

«Pensi che un banale ordine restrittivo possa tenerlo lontano, stronzo? Sai, non ti facevo così ingenuo» ribatte quello, cercando ancora di disincastrare la cerniera, con in sottofondo la melodia di una risatina schernitrice.

«Se la piantassi di minacciare la gente, forse sì. E comunque, senti da che pulpito viene la predica.» Sghignazza ancora.

Ebert fa spallucce, anche se quel qualcuno non può vederlo. «Ti stai dimenticando della Suarez. Una vera rottura la mocciosetta»

«Le dai troppa importanza e non ne merita neanche la metà. È innocua, Ebert»

Lui eleva le sopracciglia stizzito. «Così innocua che neanche con le minacce la smette di ficcarsi in mezzo. Ho capito subito che è andata a parlare con loro quando l'ho rivista alla festa.»

«E tu lasciaglielo fare», sentenzia stufo l'altro.

«Fai poco il gradasso e arriva alle conclusioni, che ho da fare.» Afferma Ebert, riuscendo finalmente a liberare la lampo e gettando poi la borsa di lato al letto. Dopo si butta di peso su quest'ultimo, tenendo ancora il Samsung accanto all'orecchio. Incrociando le braccia dietro la testa, il biondiccio si perde poi a guardare il soffitto, colorato di bianco e nero.

Non tornava da un po' a casa, a trovare i suoi genitori, e deve ammettere che tutto ciò gli è mancato. Soprattutto il profumo che impreziosisce ogni stanza, il profumo di un'infanzia che non tornerà mai più, di un'adolescenza a cui non sa trovare un aggettivo, di una crescita che gli mette angoscia.

Perché Ebert è sempre stato un bambino felice, felice fino a quando non ha visto all'età di 13 anni suo nonno uccidere un coniglio nella fattoria. Lui ha percepito l'adrenalina, mai un pizzico di pena.

Lui si sentiva invincibile, come se quell'atto lo stesse compiendo con le sue mani e da allora nel suo cervello sono iniziati pensieri vendicativi, pensieri brutti e non è più riuscito a controllarli.

Faceva addirittura compagnia a suo nonno, lo aiutava pure, e quello rideva e gli ripeteva che stavano facendo la cosa giusta. Che l'essere umano deve uccidere per mangiare, che gli animali servono a questo.
Ed Ebert non riusciva a non dargli ragione.

Persino le voci che aveva in testa glielo suggerivano. "Bravo Ebert, stai andando alla grande."

E lui diventava sempre più pazzo, sempre più malato, finché quei mostri non sono diventati il suo pane quotidiano.

Finché non sono diventati la sua preghiera, il suo ego, la sua carne, il suo sangue, le sue ossa.

Tutto.

Si sono presi tutto di Ebert Patel, persino l'anima, fino a lasciargli nient'altro che buio, nient'altro che altri mostri sotto al letto.

«Hai capito?» gli domanda la voce.

Mostri sotto al lettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora