Griffin Lockhart non parlava mai.
Non è che lui ci provasse gusto a rimanere sempre in silenzio. Non era niente di personale, davvero. Non voleva sembrare uno a cui non importava di nulla, e gli dispiaceva quando gli altri lo descrivevano così. Semplicemente, non credeva di avere niente di interessante da dire. Nel senso, niente di davvero interessante. E per quanto lo riguardava, se non si aveva niente di brillante da dire, tanto valeva stare zitti.
«Griffin, ce la fai con quelle borse?»
«Mhm.»
Mentre scendeva le scale trattenne un grugnito nel trasportare il borsone coi vestiti di sua madre e la valigetta di suo padre. Stupidi attrezzi da lavoro. Stupido appartamento del nonno che aveva deciso da un momento all'altro di cadere a pezzi, costringendo suo padre a portarsi dietro gli stupidi attrezzi da lavoro. D'altra parte, era anche per quello se i suoi se ne stavano andando nel bel mezzo delle loro vacanze estive, lasciandogli casa libera per due settimane, quindi forse non avrebbe dovuto essere così duro con quel vecchio appartamento.
Sopravvissuto alle tre rampe di scale uscì dal piccolo condominio che per i successivi quattordici giorni sarebbe stato la sua casa, arrancò a fatica per il vialetto e finalmente riuscì a raggiungere la macchina e a caricarvi dentro i bagagli, lasciandosi andare a un sospiro stremato. Non era fatto per quel genere di attività: era già un miracolo che fosse uscito di casa.
«Che succede, stanco per un po' di esercizio?» lo stuzzicò suo padre quando lo raggiunse, portandosi dietro almeno il doppio delle borse senza mostrare il minimo sforzo. Lo sguardo di Griffin sostò qualche istante sui suoi bicipiti scolpiti e provò uno sprizzo d'invidia: i miseri stecchini che si ritrovava come braccia non potevano certo reggere il confronto.
Ma effettivamente lui era un diciassettenne solitario che avrebbe abbandonato la propria stanza solo sotto la minaccia di una pistola, non un quarantenne fatto e finito che per vivere faceva il poliziotto. Bisognava anche essere equi nella vita.
«Penso sia tutto» annunciò sua madre, chiudendo il bagagliaio con uno scatto secco. Quel giorno faceva caldo. Ma non un caldo sopportabile, del genere che si sperimenta solitamente d'estate. No, era il genere di caldo che ti soffocava. Quando durante il resto dell'anno Griffin andava a scuola stava in una classe all'ultimo piano dell'edificio, nel banco vicino alla finestra: questo significava avere i raggi del sole di fine maggio che picchiavano sulla testa con in aggiunta il calorifero acceso sulla schiena, che la scuola prendeva la brillante decisione di accendere in estate e spegnere in inverno. Ecco il genere di caldo che faceva quel giorno.
Perciò sua mamma non indossava altro che una minigonna a scacchi e una canottiera giallo evidenziatore con la scritta in blu elettrico: "Sono una mamma e un'assistente sociale: nulla mi spaventa!"
Magari nulla spaventava lei, ma di certo quella maglietta avrebbe terrorizzato un bel po' di gente.
Ovviamente quello Griffin non lo disse. Non era poi così importante.
«Sei sicuro che te la caverai qui da solo per due settimane? È un bel po' di tempo, Griffin», gli chiese sua madre per quella che doveva essere la diciottesima volta.
«Hm-hm», mugugnò lui, guardando qualche centimetro più in alto di dove stavano gli occhi di lei.
«Puoi sempre venire insieme a noi, se vuoi. A casa del nonno c'è tanto spazio.»
«Lascialo in pace, Jo», intervenne suo padre spuntando dal sedile del guidatore. «Ha detto che se la caverà. Ha diciassette anni, sa badare a se stesso. E poi qui al villaggio ha i suoi amici, tutti si conoscono: non accadrà nulla.»
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La Canzone del Silenzio
Teen FictionGriffin Lockhart non parla mai. Né, tantomeno, esce mai dal suo piccolo villaggio. Ha trascorso la sua vita a confondersi con lo sfondo: un semplice adolescente solitario amante della musica, che preferisce la compagnia di un bel romanzo di mistero...