Decimo

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Le urla durarono circa due ore. Hikaru era spaventato e per non sentire più suo padre gridare, si copriva le orecchie e canticchava per non sentire niente.
Inutile dire che non funzionò.
Erano le 8 di sera. Tutto il pomeriggio, non appena le urla terminarono, Hikaru cercò di occupare la mente con lo studio.
Di sera sua madre lo chiamò
-Karu-chan, è pronto da mangiare.
Il ragazzo non si aspettava che sua madre gli rivolgesse la parola, dopo la delusione data.
-Siii
Rispose con un filo di voce.
Hikaru, dopo buoni cinque minuti di respirazione per calmarsi, scese nel salotto.
La casa era abbastanza grande. Aveva due piani, con tre stanze da letto, tre bagni, un garage, un salotto gigante e una stanza per fare gli allenamenti con il tapirulan, pesi e cose varie.
Le scale avevano circa 25 scalini, Hikaru aveva preso l'abitudine di contarli quando scendeva.
Quella sera non li stava solo contando.
Mentre scendeva li osservava, scendeva piano per non graffiarli. Faceva tutto il possibile per far fermare il tempo i quel momento.
-Karu-chan, sbrigati
Hikaru sentì ancora la voce di sua madre. Sembrava così stanca, sfinita.
Hikaru allora prese ancora coraggio. Ora o mai più pensò.
Si misero a tavola. Erano tutti silenziosi, nemmeno la televisione era accesa, Hikaru non aveva abbastanza coraggio per muoversi.
Il padre del ragazzo non lo guardava nemmeno.
La madre sembrava avere uno sguardo disperato.
Hikaru guardava dritto nel piatto per non guardare in faccia l'uomo che lo aveva salvato, quello stesso che Hikaru aveva deluso quel pomeriggio.
Dopo cena, Hikaru, sempre in silenzio, aiutò la madre a lavare i piatti.
Erano le 10 di sera. In quella giornata più dura che mai, il ragazzo non aveva sentito proprio il suo Takashi. Era triste e aveva bisogno di qualcuno. Qualcuno di cui fidarsi oppure semplicemente a cui far vedere le proprie lacrime, anche se lui non aveva pianto, era solo triste.
Alla fine decise di mandare un messaggio al suo ragazzo.

☎ Ciao Takashi. Come va?

Aspettò. Aspettò per molto. Alla fine si era stancato. Si mise sul letto e con un gran subbuglio nello stomaco, si addormentò.

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Il giorno dopo Hikaru ancora più triste. Suo padre e suo padre non gli rivolgevano la parola. Solo qualche volta la madre prendeva l'iniziativa.
Tutto durò per settimane. Non si parlavano. Non si guardavano. Vivevano insieme ma è come se uno non esistesse per l'altro.
Durante quei giorni, Hikaru si vedeva con Takashi. Il più grande Spiegò al più piccolo perché non si fosse fatto sentire.
A quanto pare aveva perso il telefono e sua madre lo aveva messo in punizione.
Hikaru non disse niente al suo darling della situazione a casa. Aveva molti motivi.
Non voleva fargli credere che fosse colpa sua. Non si fidava ancora abbastanza. Pensava di poter risolvere la cosa da solo e continuare la sua vita.
Un giorno Hikaru tornò a casa e trovò suo padre e sua madre seduti sul divano in salotto. Hikaru continuò a fare l'offeso anche se voleva tanto parlare con i suoi genitori.
Passò davanti a loro senza nemmeno dire "sono tornarto", qualcosa che si doveva fare per educazione.
I genitori avevano una faccia seria.
-Karu-chan
Lo chiamò la madre. Finalmente. Finalmente quel soprannome che usava la sua dolce mamma.
-Si?
Rispose il ragazzo nascondendo il proprio entusiasmo.
-Dobbiamo parlare.
Disse il padre.
-Certo.
Si ritrovarono tutti quanto seduti sul divano. Hikaru su una poltroncina di fronte.
-Allora, per prima cosa...
Disse il padre
-Non pensare che smetterò di volerti con me solo perché sei omosessuale.
La madre annuì in segno di conferma.
Hikaru continuò ad ascoltare.
-La nostra vita continuerà come sempre. Non sono arrabbiato perché sei gay, ma perché non ce lo hai detto subito. Voglio che segui una condizione.
Hikaru annuì. Il padre si avvicinò al ragazzo, gli posò una mano sulla spalla e lo guardò dritto negli occhi.
-Ogni volta che c'è qualcosa o qualcuno, se stai male o bene, ce lo dirai subito.
Dopo poco Hikaru annuì e il padre e il figlio si abbracciarono.
-Visto che ci siamo papà, devo dirti che sono fidanzato.
I genitori lo guardarono stupiti, poi sorrisero e si congratularono con lui.
- Vi voglio bene.

Weee. Ecco il decimo capitolo. Lo so che avrei dovuto scrivere qualcosa di più commovente ma sapete, io sono troppo triste quando leggo certe cose. Spero che vi piaccia.

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