Capitolo 22

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Il tempo era una di quelle cose che mi ha sempre spaventata. Ha la capacità di essere rapido e indolore o lungo e perpetuamente doloroso.

Avevo conosciuto varie fasi del tempo negli anni. L'infanzia è volata; quasi mi sembra un periodo della mia vita che ho vissuto da fuori, come un'esperienza extra corporea. L'adolescenza aveva il sapore amaro dell'irrisolto. È stata lunga, conflittuale, disarmonica e molto...troppo lenta. Un susseguirsi di sentimenti contrastanti ma quasi mai positivi. Poi è arrivato il periodo universitario. Lo ricordo come il periodo delle rivelazioni. Come il momento inesorabilmente rapido e fuggente che però ha definito la persona che sono oggi. Mi ha plasmata, mi sono finalmente riconosciuta nel mio IO interiore e ho dato voce alla mia coscienza, silente fino a quel momento. È stato il tempo della crescita, delle scoperte, della maturazione, dell'abbandono del dolore per accogliere l'amore e l'imprevedibile. Ho abbattuto i miei muri e ho abbracciato ciò che c'era oltre.

Sono stata una ragazza difficile, lo sono tutt'ora. Eppure non cambierei un solo attimo della mia vita. C'è stato un tempo in cui speravo di venir inghiottita dalla terra, convinta che non sarei mancata a nessuno. Poi ho iniziato a studiare psicologia, ho conosciuto la Robins e improvvisamente tutto sembrava avere un senso. Ero riuscita a dare una ratio a tutto ciò che avevo sopportato e subìto. Ho compreso che non è la persona in sé ad attirare il male, sono le scelte che facciamo e le persone di cui decidiamo di contornarci che definiscono se soffriremo o gioiremo. E mi ero odiata per questo, perché io quel padre non lo avevo scelto; però avevo scelto il mio ragazzo, avevo scelto Dave con ogni particella del mio corpo e lo scelgo ancora oggi, lo sceglierò anche domani e così per tutti gli anni a venire che avrò a disposizione.

Ma un padre...che non si può scegliere, può essere davvero colpa nostra? No ovviamente. Ed è qui che entra in gioco il libero arbitrio. Nella nostra vita incontriamo migliaia di persone e non tutte sono destinate a rimanere. A dirla tutta, la maggior parte di esse finisce per allontanarsi entro i primi tre anni. Almeno così avevo letto su una rivista qualche tempo addietro.

Ma quando ci si trova circondati da elementi che non si cercano o scelgono come un padre, una madre o qualsivoglia patente, ecco che si usa il libero arbitrio: la scelta viene a compiersi. Basta decidere se tenere il problema nella propria vita o se debellarlo come il peggiore dei virus.

Ma ecco che torna sempre la conflittualità interiore che mi ha sempre definita. Ho sempre metà di me che vuole una cosa e l'altra metà che ne vuole un'altra: da una parte voglio mio padre nella mia vita per ricordarmi cos'è il dolore e cosa si prova ad odiare qualcuno; dall'altra parte voglio debellarlo come un virus scomodo e inadatto al nostro habitat naturale

Come ho già detto in precedenza, non mi sono bastati anni e anni di terapia per imparare ad odiare un po' meno mio padre. Conosco la teoria, la propino tutti i giorni ai miei pazienti e poi finisco sempre per cadere nella trappola che faccio schivare agli altri

In fondo Dylan non ha mai avuto così tanto torto sul mio lavoro e su ciò che comporta. Insegniamo ad accettare i peccati che si commettono e ad andare avanti e poi siamo i primi a non accettarci e a non accettare ciò che ci capita.

Sono sempre stata ipocrita. Fedele a me stessa, sempre. Ma con quel pizzico malsano di ipocrisia che mi ha sempre guidata.

Uh quanti sempre in tre banali righe. Eppure quella parola racchiude ogni mia azione. Sempre una parola che rispecchia la mia persona. Sono sempre loquace, sempre intrepida, sempre ipocrita ma anche sempre coerente con me stessa, sempre maldestra, sempre professionale ma anche sempre sentimentale, sempre razionale ma anche sempre istintiva.

Rido al solo pensiero perché non ha senso, io non ho senso. E mi piace, adoro non avere un senso logico. Amo vedermi imperfetta ma sempre perfetta. C'è voluto tempo perché
maturassi questo pensiero, ma alla fine è ciò che mi ha tenuta in vita e mi ha permesso di vivere: in modo umile e non troppo appariscente, ma ho vissuto e continuo a farlo nella versione di me migliore che riesco a scegliere la mattina quando mi guardo allo specchio.

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