Capitolo 13

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Venti minuti dopo, come d'accordo, io e Aston ci ritroviamo con gli altri all'ingresso del pronto soccorso del quartier generale

L'assenza di Andrew non passa inosservata né a me, né tantomeno al ragazzo che non mi lasciata neppure un attimo. Ma decidiamo silenziosamente di accantonare la cosa

Emily e Red si soffermano con lo sguardo sul mio abbigliamento appena sequestrato dall'armadietto di Aston: la prima con perplessità ed un velato divertimento negli occhi e il secondo con il solito sorrisino soddisfatto di chi avrebbe una lunga lista di cose da dire ma che stranamente si astiene dal pronunciarle. Sicuramente non sono impeccabile ed elegante come mio solito, ma devo dire che con i pantaloncini da basket, la maglietta a maniche corte verde militare e con ai piedi ancora i miei sandali col tacco, non sto poi così male

Non so davvero cosa ci trovi di divertente, ma Red sembra davvero godere delle disgrazie della mia vita

Il primo ad aprire le porte, dandoci così modo di accedervi, è Jeremy che preferisce non perdersi troppo in chiacchiere e pensare piuttosto di agire

I suoi occhi neri e profondi ci osservano circospetti e sbrigativi invitandoci a superarlo senza troppe storie

Lanciando un'occhiata ai miei amici mi rendo conto che siamo tutti estremamente irrigiditi e preoccupati per differenti motivi che però accomunano tutti noi alla fine

Emily è la prima a farsi avanti superando Jeremy ed entrando. Seguita poi da Red. Quando anche io provo a fare un passo avanti però, la mano di Aston mi avvinghia un braccio facendomi bloccare e voltare nella sua direzione

"Norah..."

Incontro subito i suoi occhi incastrandomi in quell'occhiata sicura e decisa che sembra essere capace di farmi rimanere in piedi nonostante tutto. La certezza in uno sguardo...ecco come descriveva nonna Grace il suo amore per il nonno in tutti quegli anni di matrimonio. Diceva che le bastava immergersi nei suoi occhi per ritrovare la forza che credeva perduta. Non avevo mai pensato a nessuno sotto quel profilo prima di incontrare Aston, ma negli ultimi due anni è stato la mia certezza in uno sguardo in ogni circostanza. Anche quando credevo di essere sola e abbandonata, lui era lì a ricordarmi che niente era più forte di me. Mi ha insegnato con i gesti che non mi serve nessuno per essere forte perché io mi basto, sempre. Ha saputo trasmettermi la sua audacia e la sua gentilezza attraverso il suo essere spigoloso e attento. Mi ha dato forza quando me ne ha vista privata, senza mai sopraffarmi. Ho riscoperto lati di me che credevo ormai morti. Gli ha ridato vita senza neppure doversi sforzare.

Nell'ultimo periodo qualcosa si è rotto tra di noi, ma quell'energia totalizzante che sembra unirci attraverso un filo sottilissimo ed invisibile, riesco ancora a percepirlo. È qui anche ora, a tenere unite quelle parti di noi rimaste ancora intatte e inesplorate da altri.

Nonostante tutto, riusciamo ancora a comunicare attraverso uno sguardo senza dover per forza esprimerci a parole.

Io vivo di parole. È vero, comprendo attraverso linguaggi anche muti, ma la parola è fondamentale per me. Ma con Aston sembra essere superfluo. Le parole da trovare e da esprimere con lui, sembrano futili pagine bianche sparse sul pavimento: ne riesci a raccogliere uno, ma poi arriva la folata di vento che entra dalla finestra e sposta gli altri, costringendoti a rincorrerli per non perderli.

È di poche parole, ma di grandi gesti. E anche questo gesto, seppur muto, è il suo ennesimo tentativo di proteggermi.

Non lo fa perché mi crede debole, lo fa perché questa volta ha paura. Ha paura che io possa trasformarmi in quei fogli bianchi che svolazzano lontano da lui. Teme che questa sia l'ultima volta che mi avrà tutta per sé, perché è cosciente che una volta superata quella porta, Dylan sarà dall'altra parte e lui non farà niente per impedirlo. Non mi sta fermando perché vuole tenermi alla larga da Dylan, lo fa perché è certo che varcando queste porte io metterò la parola fine a qualsiasi cosa ci sia stata tra di noi.

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