Quando uno sconosciuto inizia a prendersi troppe confidenze

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Doncasterwins: odio quando il mio professore di trigonometria si gratta le palle. È disgustoso bleh

Anthony trattenne un sospiro esasperato.

Era in classe a roteare la matita tra le dita invece di prestare attenzione al blaterare del prof di Letteratura. Sbloccò lo schermo e nascose il cellulare sotto il banco.

hellocupcakes: grazie per avermene informato

Doncasterwins: che fai di bello? 💃

Anthony tentennò tra la scelta di un commento acido o di un "mi sto masturbando pensando a Patrick", ma la campanella tagliò il silenzio ozioso della classe e lo distrasse. Si alzò insieme agli altri studenti e uscì dall'aula, un'immersione istantanea nel chiacchiericcio generale del corridoio, per poi avviarsi verso la mensa. A testa bassa, sperò di confondersi tra la massa e non essere notato. Gli sguardi degli altri bruciavano la pelle in un insieme di commenti non detti sul suo aspetto, sul suo modo di camminare, sulla sua persona in generale. L'ansia gli accelerò il battito e si spostò raso muro. Questa, però, era tutta una sua grandissima paranoia e lo sapeva bene.

Anthony aveva la capacità di essere ignorato, volente o nolente.

Nessuno si soffermava davvero su di lui, eppure non riusciva a scacciarsi di dosso quella sensazione di essere sotto i riflettori, un sottofondo di risate e dita puntategli contro a schernirlo. Il classico adolescente asociale e paranoico, direbbe qualcuno.

Non avrebbe voluto essere nessuna delle sue cose: né il centro dell'attenzione, né uno spettro invisibile tra i corridoi.

Nessuno lo avrebbe mai trovato interessante, di quel passo.

Men che meno Patrick Brown.

Smetterà mai la mia ossessione per lui di essere così inquietante? I pensieri pessimisti del lunedì mattina era meglio metterli da parte se non voleva rimanerci secco.

Dopo una fila di un quarto d'ora al termine della quale ne era uscito con le gambe atrofizzate e un piatto di purè dall'aria vagamente letale, si diresse verso il solito tavolo. In quanto etichettato a prescindere come impopolare, l'unico tavolo a cui poteva aspirare era quello degli sfigati. Non che Anthony fosse esattamente inteso come "sfigato", semplicemente nessuno perdeva tempo a farsi un'idea esatta di lui. Pochi sapevano, comunque, che coloro che si trovavano tra i più bassi ranghi della gerarchia scolastica, di poco superiori a scarafaggi e topi, avevano l'uso di pranzare presso un tavolo apposito, al fine di garantirsi un posto a cui sedere anche senza la necessità di intraprendere una conversazione. Ce n'erano tre o quattro sparsi nella mensa. Al "tavolo degli sfigati" a cui era solito andare a sedersi lui vi erano: un emo abbonato al nero, che al momento stava giocherellando con aria depressa col suo cibo; una ragazza sovrappeso con i capelli unticci e una perenne espressione incazzata in viso; un'altra dai denti storti, quel tipo di secchiona che aveva sempre un libro sotto il naso e occhiali spessi come fondi di bottiglia; e un ragazzo che, in effetti, non aveva nulla di tanto grave da renderlo uno sfigato, a parte il fatto di essere gay dichiarato.

Quando sedette tra loro nessuno lo salutò, come sempre, e lui li ignorò allo stesso modo. Mentre torturava il cibo nel piatto con la stessa aria depressa dell'emo al suo fianco, lo sguardo scivolò sul tavolo di Patrick, a cercarlo con gli occhi (che novità) e subito il tipico sospiro melenso da verginella innamorata gli increspò le labbra nell'intercettarlo.

Tutta l'amarezza del lunedì scomparve alla vista di quello splendido ragazzo in preda ad un attacco di risa tra i suoi amici. Amava guardare Patrick ridere: gli occhi gli si increspavano in una maniera dolcissima e quel sorriso gigante lo illuminava. Quante serate aveva passato sognando che un sorriso del genere fosse rivolto a lui? Ne aveva perso il conto.

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