Quando la neve e Anthony Jones rendono il tuo compleanno indimenticabile

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Patrick era al suo secondo frappuccino targato Starbucks e giocherellava coi rimasugli di panna e cioccolato sul fondo del bicchierone.

L'attesa lo snervava sempre, perciò non era solito recarsi in anticipo agli appuntamenti (con l'ovvia eccezione di quello con Anthony). Il tintinnio della campanella all'ingresso lo catapultò nel mondo reale e un senso di panico gli attorcigliò le viscere alla vista del sorriso spento di Samantha.

«Ehi. Ordino un attimo e ti raggiungo» lo salutò lei, per poi dirigersi alla cassa. Patrick sapeva già cos'avrebbe preso: frappuccino grande con panna e smarties, il suo preferito. E dopo ne avrebbe fatto il bis. Sorrise a quel dettaglio stupido memorizzato nell'hard disk cerebrale, ma non poteva che essere così dopo quattro anni come coppia fissa.

Sperò di non svenire dall'ansia da un momento all'altro.

Lei, bicchierone alla mano, prese infine posto di fronte a lui.

«Quindi...» spostò una ciocca dietro l'orecchio e prese un sorso gorgogliante «di che volevi parlare?»

«Ma niente» Patrick rise e sudò freddo. Considerò l'opzione di sbattere il cranio contro il tavolo fino a perdere i sensi. Forse non era il caso. O forse sì.

Lei sollevò un sopracciglio, scettica.

«Andiamo, Patrick» poggiò il mento sulla mano con uno sbuffo «Ti sembro scema? Sappiamo entrambi cosa sta per succedere.»

«Ah sì?»

Non rispose, le pupille fisse nelle sue.

E allora Patrick capì che lei sapeva, ma non per questo voleva rendergli le cose più semplici.

Toccava a lui, ora.

«Sam» giocherellò con le dita intrecciate qualche istante, poi restituì lo sguardo «Ti voglio bene sul serio. Lo sai.»

«Lo so.»

«Ma non... Cioè. Penso di volerti bene... come un'amica. E stare con te sapendo questo, sapendo di non amarti come meriti... Cazzo, sembra proprio una scusa da paraculo» si passò una mano tra i capelli «Però lo penso sul serio, te lo giuro. Penso sul serio di non amarti nel senso giusto del termine e che tu non ti meriti questo. Non ti meriti di stare con uno che non ti vede come la persona della propria vita. Però questo non significa che non ci tenga a te. Sono praticamente cresciuto con te. Quanti anni avevamo, tredici? Quattordici? E adesso stiamo scegliendo il college. Ti voglio bene, Sam. Credimi per favore.»

Si chinò in avanti verso di lei. Era agitato da impazzire e aveva una paura folle che lei lo odiasse, che fosse rimasta ferita dalle sue parole.

Samantha sorrise con aria un po' arresa ma consapevole e allungò una mano per stringere la sua.

«Non ti preoccupare, Patrick» mormorò «Non voglio rinunciare a te. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre.»

Il suo sorriso lo fece stare bene e incastrò le dita con le sue, calde e familiari. Lei si sporse per lasciargli un bacio sulla guancia.

«E poi, diciamoci la verità, ti ho un po' costretto a metterti con me» ridacchiò e si asciugò un occhio umido «Avevo quattordici anni ed eri super gnocco, non sai che piani avevo architettato per diventare la tua ragazza.»

«Ah! Ora capisco» le loro risate si mischiarono e alla vista delle sclere arrossate di lei Patrick le baciò la mano come faceva da ragazzino appena fidanzato. Nel petto, un miscuglio di tenerezza e abbandono lo stordiva ma anche sollevava: era finita, ma nel migliore dei modi ed era felice di poter ancora contare sulla sua capo-cheerleader preferita.

«Adesso vedi di darti da fare» gli rivolse un ghigno consapevole che lo perplesse, poi spostò la conversazione sulla rissa con Stacy la sera della festa e su come avessero usato il mobilio di Noah per darsele di santa ragione.

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