Bronad

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Sopravvivenza

S.A.: Mi è stata chiesta meno sofferenza.

Capisco che fino a qui c'è stato un grande tribolare e anche chi si è disperato.

Capisco anche che volete delle gioie.

Capisco tutto.

Però per il percorso è necessario ci sia.

Da qui in poi si comincia a vedere una luce, ed è quasi tutto in discesa, quasi.

Buona lettura del P ed S, enjoy.

C.



Il tempo era sempre stato qualcosa di strano per Simone.

E non solo perchè il suo fosse dilatato e non si sarebbe mai sfilacciato velocemente come quello degli umani.

Il tempo era un concetto strano, da sempre.

Il tempo per abituarsi al suo ruolo particolare e all'attenzione di tutti, quello per abituarsi alla morte di sua madre.
Il tempo per abituarsi ai silenzi lunghi e inqueti di suo padre.
Quello per capire come andare avanti soltanto facendo leva su se stesso, i suoi pensieri, i suoi nascondigli in mezzo al bosco, suoi non posso però vorrei.
Il tempo per montare su Neve tutta una giornata, cavalcare e allontanarsi da palazzo.

Adesso, il tempo, sembrava non dargli alcuna tregua.

Due mani forti, grosse, minacciose lo toccavano invisibili, ogni notte nel sonno, ogni volta nei pensieri.

E ogni singola volta, Simone sentiva il bisogno di replicare quella routine per lavarsi la pelle e via anche la coscienza.

Ecco perché il tempo aveva appena assunto le sembianze di un serpente, pronto a mordere, ad avvelenargli ogni cosa, ogni volta che Simone avrebbe chiuso gli occhi.
L'unica cosa che Simone faceva era bere, ma nemmeno gli infusi di erbe famigliari e premurosi preparati da Ingrid - portati poco dopo il pranzo e la cena - sembravano aiutarlo.
Il sonno durava relativamente poco, prima che il ricordo di quella notte facesse altro.

Il tempo era diventato un suo nemico, forse il più grande e così come quello, come nessuna tregua, da alcuni giorni, non sembrava dargli Fëanor.
Aveva tentato di portare al principe la cena in tenda, ma Simone non aveva fame.

Simone non mangiava da qualche giorno, se non fosse stato soltanto per reggersi quel poco in piedi. Non mangiava, così come non riusciva a tenersi lontano dalla sua tenda per più di cinque ore al giorno.
Era riuscito a dire alle guardie solo quello che necessitavano di sapere: i sospetti su chi potesse esserci dietro la minaccia e quale potesse essere il loro spostamento.

Nient'altro.

E il sospiro di Fëanor quella sera, una volta che aveva rifiutato per la seconda sera consecutiva, la cena, lo lasciò indifferente, così com'era: nella sua tenda, rivolto di spalle verso un punto indefinito della tenda.
Una mano in mezzo alla criniera di Neve, accovacciata in un angolo a fissare incerta, il suo padrone.

E gli occhi verdi dell'elfo preoccupati da giorni, non erano stati nemmeno guardati.
Adesso, in mezzo al fumo della carne appena cacciata nel pomeriggio che si sprigionava per il campo, Fëanor si sentiva inutile.
Riluttante, la guardia allora distribuì quella porzione di cibo a qualcun'altro dei soldati che non si fosse del tutto saziato e rimase accovacciato - insieme alla metà dei suoi compagni adesso -, fuori.
Lo morse un grande pensiero di impotenza.
No, non lo mordeva, ne era certo: lui non poteva fare nulla. Gli era stato insegnato a colpire, tirare con l'arco, studiare piani di guerra, ma indagare nell'animo di qualcuno no.

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