2 - Me At A Party?

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Ti prego fammi male
E se non sento più niente, fa niente
E mi va bene anche se mi fai male.
-Male, NASKA.



-Male, NASKA

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🌑



17:48.



Non rividi mio fratello per le due o tre ore successive. Ma il modo in cui mi aveva osservata... mi aveva mandata in paranoia subito, e una volta averle pensate tutte per arrivare a una conclusione — senza però esserne certa — sperai con tutta me stessa che non mi mettesse in mezzo a questa situazione di cui non ne sapevo nulla.
«Sorellona?» Gwen si affacciò alla porta della mia stanza.
Mi sfilai le cuffie, avvolgendo meglio la coperta attorno le spalle.
«Eveline vuole presentarsi, te la senti?»
«Va bene, mi sistemo e scendo» risposi sciogliendomi i capelli, per poi allacciarli meglio in una coda alta e decisamente più ordinata di quella cosa scompigliata che portavo in testa.
Mantenni la parola e, due minuti più tardi, mi ritrovai a sorridere alla migliore amica di mia sorella.
Le porsi la mano dicendole il mio nome per intero, senza suggerirle abbreviazioni o i soprannomi con cui venivo chiamata dai miei due fratelli.
Eveline aveva capelli biondo scuro che arrivavano fino alle spalle, gli occhi azzurri come il ghiaccio e le labbra gonfie e rosse; mi sfio- rava a malapena al mento. Indossava dei semplici jeans chiari, un maglioncino corto dello stesso viola delle more che le lasciava scoperto si e no un centimetro di pancia. Il piercing all'ombelico faceva capolino appena lei si muoveva.
Presi posto alla poltrona di papà, portando uno dei cuscini sulle gambe piegate che cinsi con le braccia. Non partecipai molto ai gossip tra Eveline e Gwen, ma ascoltai attentamente per capirne le dinamiche. Non era decisamente il mio passatempo, ma trovai la cosa molto carina.
Ovviamente restai con la convinzione di non aver bisogno di un'amica, e non trovai motivazione per cambiare idea. Alla fine parlare con Chanel — la gattina che avevo trovato per strada qualche settimana fa — non era poi così male.
Come se avessi urlato il suo nome, Chanel se la prese comoda per raggiungermi, strusciandosi contro la gamba di Gwen. Mi intercettò e si aggrappò al bracciolo del divano con un balzo.
Non mi capacitavo dei salti che sapeva fare quella creaturina minuscola. Trovai buffo il modo in cui mi osservò una volta stabilita la sua posizone; nascose le zampette sotto il batuffolo di pelo nero che era e strinse gli occhi in quello che, secondo Google, era considerato un gesto di affetto nei confronti del suo umano.
La afferrai con entrambe le mani, riempiendola di bacini su tutto il muso per poi stringerla al petto e coccolarla. Ricevette innume- revoli grattatine dietro le orecchie e sotto il mento, ripagandomi con rumorose fusa che apprezzai.
«Quindi, Beth, hai già finito i corsi di fotografia?» chiese Eveline, sporgendosi per fare una carezza a Chanel, a cui dovetti chiudere la mano attorno al muso per impedirle di mordere.
«Si, qualche settimana fa,» risposi, accennando un sorriso imbarazzato.
Eveline non fece in tempo a parlare perché Shawn, senza curarsi di essere delicato, entrò in casa facendo sbattere la porta contro il muro con violenza.
Un'ondata di freddo invase il salotto e mi strinsi nelle spalle. La temperatura congelata si dissolse lentamente quando la porta venne richiusa con delle scuse borbottate. Shawn prese posto accanto a Gwen, riempiendo la metà del divano. Io ero alta, ma il suo metro e ottantantotto era invidiabile per chiunque.
«Hai pensato a qualcosa?» chiese Eveline con la testa inclinata.
«Si, no, diciamo» fece un lungo sospiro «l'unica cosa che mi è venuta in mente di fare è di portarlo alla festa, sabato. La parte più complicata è convincerlo ad andare, ma se gli faccio credere che lo lascerò ubriacarsi fino a scordare il suo nome allora, forse — e sottolineo forse — potrei farcela.»
     «E poi? Qual è il tuo grande piano dopo una bella sbronza? Convincerlo a non essere triste?» mi intromisi. «Mi dispiace dirtelo, ma non aspettarti che funzionerà, Shawnie.»
Mi dispiaceva rompere le sue aspettative, che erano sottili e fragili come lastra di ghiaccio, ma sapevo cosa significasse non voler uscire di casa per settimane.
Se questo Hawke stava soffrendo, costringerlo a fare qualsiasi cosa contro la sua volontà, poteva peggiorare le cose. A meno che il suo modo di vedersela con i problemi non prevedeva stare fuori casa tutto il giorno, bere come se non ci fosse un domani e qualcosa di estremo come il bunging-jumping, beh a quel punto...
«Ti prego, Betty, dimmi cosa posso fare. Non ce la faccio a vederlo in quelle condizioni» la sua risultò una supplica, e io decisi di accontentarlo.
«Digli della festa, ma magari senza promettergli tutto quell'alcol... Se rifiuta il tuo invito, lascialo metabolizzare da solo. A volte la solitudine è l'unico modo per guarire» feci spallucce alla fine della frase.
«Sai? Credo che, per una volta, seguirò il tuo consiglio» ma il tono con cui parlò mi fece capire che qualcosa sotto c'era, e io non ero del tutto sicura di volerlo sapere. «A patto che tu...»
«Ah-ah-ah, fermati subito» lo interruppi, «io in questa storia non voglio entrarci. Quindi, qualsiasi cosa ti stia passando per quel cervellino minuscolo che ti ritrovi, eliminalo subito. La risposta è no.»
«Oh, andiamo sorellina! Non so più dove mettere le mani, in questa storia» mi supplicò mettendosi dritto e torcendosi nervosamente le dita.
«Sono già troppo incasinata, non posso proprio aggiungere alla lista un'altra preoccupazione» rifiutai ancora.
E con questo sembrò capire che non ero disposta ad aiutarlo.
Mi dispiaceva, sul serio, ma non credevo di riuscire a gestire due sofferenze nello stesso momento.
«Hai ragione» rinunciò infine. «Non posso chiederti una cosa del genere, scusami» scossi la testa.
«Non scusarti, capisco che vuoi aiutare un tuo amico» rassicurai.
«Voglio aiutare anche te, però...» ripeté, con la voce all'improvviso arrochita. «A proposito di festa, ti va di venirci? Se ti stanchi, ti prometto che ti riporto a casa. Vedila come un'uscita tra fratelli, considerando che verrà anche Gwen» inclinai la testa, pronta a rifiutare. «Ti assicuro che non è una di quelle feste in cui la musica è assordante e di generi che non ti piacciono, l'ha organizzata Mike.»
Ci riflettei un attimo.
Michael Stewart era uno degli amici più stretti di Shawn. Aveva davvero ottimi gusti musicali e mi stava anche simpatico per quanto poco lo conoscevo. Era dolce e cercava sempre di dare il meglio di se stesso, coinvolgeva tutti in qualsiasi frangente e, cosa che lo rendeva ancora più adorabile: era bisessuale.
Non lo sapevo neanche io il perché, ma forse il motivo era che anche con gli insulti e i pregiudizi, lui restava lo stesso.
«Io...» mormorai, torturandomi le dita «ecco, posso provarci.»
«Davvero?» Gwen scattò a sedere.
«A patto che, se dovessi stancarmi di restare lì, mi riporterete sul serio a casa senza fare proteste» feci promettere, e loro accettarono.
Ero consapevole che con quella concessione, in entrambi i miei fratelli si stesse accendendo di una speranza che avrei frantumato la sera stessa della festa. Se non prima, cercando una scusa all'ultimo minuto per non uscire e restare a casa.
Apprezzavo l'impegno di farmi rimettere in sesto, e si dedicavano da anni a questa sfida. Mi chiedevo spesso come avessero fatto a non arrendersi già molto tempo fa.
«Okay, mi lasciate in pace ora?» li pregai.
«Ricorda solo di scegliere qualcosa da mettere, che sia verde e carino soprattutto» prese parola Gwen. «Posso prestarti qualcosa io, se non ti va di fare shopping.»
Feci di no con la testa e afferrai il cellulare, lasciando Chanel sulla mia spalla: mi si accoccolò contro il collo.
«Prenderò qualcosa su internet, così li utilizzerò di nuovo se le feste di Mike mi piaceranno.»
Ordinai su un sito internet un body sgambato verde smeraldo, una gonna nera e anche qualche paio di calze. Quelle che mi erano rimaste erano quasi tutte strappate.
I tre ragazzi approvarono il mio outfit, e mi consigliarono di metterci sopra la giacca di pelle o quella di jeans, che erano entrambe nere. Alla fine pensai che le avrei provate entrambe quando avrei ricevuto i capi da indossare.
Scrollando la homepage di Instagram, mi ricordai che l'indomani avrei avuto il turno di mattina in libreria. Niente dormita fino a tardi, peccato.
Dormire tanto in quel periodo mi aiutava a non appesantire il mio stato, e nonostante mi era stato detto di uscire di più — anche da sola —, io continuavo a fare di testa mia e a restarmene in casa.
     «Io torno in camera, tu resti a cena?» rivolsi l'ultima domanda a Eveline.
Lei annuì, e la salutai con la zampetta di Chanel che mi portai dietro.
Una volta raggiunta la mia stanza, lasciai Chanel sul letto, e accesi l'incenso al muschio bianco. Mi stesi al centro del materasso aspettando che la gattina mi raggiungesse. La seguii con lo sguardo, pensando che essere un gatto dovrebbe essere proprio bello.
Le lasciai un bacio sulla testa, che piegò per raggiungermi, e poi si buttò senza grazia accanto il mio braccio. Ci addormentammo entrambe in pochi secondi.

Grunge, karma, angel. (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora