Nel mio brain sembra come
se non potessi morire
Perché non sono stato vivo mai
Sopra il cuore ho ancora i tagli.
-SUMMERSAD, La Sad.
🌑Ventidue Ottobre - 16:28.
Iniziavo a pensare che forse non ero adatta a una cosa del genere. Io e gli appuntamenti non eravamo mai stati una bella accoppiata: finivo sempre per rovinare tutto. E con l'esperienza — del tutto assente — che mi ritrovavo, forse Hawke avrebbe cambiato idea.
Era anche vero che mancavano cinque giorni, ma io me la stavo facendo sotto dalla paura.
Dovevo trovare un modo per distrarmi, perciò infilai la via del bagno e riempii la vasca con l'acqua cercando di regolarne la temperatura. Indossai il mio comfort outfit — pantaloncini di jeans neri, un maglione un po' largo, e le calze nere —, presi la macchina fotograica e uno dei tanti tipi di anfibi che avevo.
Le temperature in Canada, a fine ottobre, erano già molto basse. Perciò, oltre alla giacca imbottita, avevo messo una maglia termica sotto il maglione.
Shawn era nato in California, a Los Angeles, mentre io e Gwen qui a Ontario. Quando eravamo piccoli, diverse volte all'anno ci spostavamo qui, un po' perché alla mamma facevano buone proposte di lavoro, un po' perché tutti lo preferivamo.
Anche papà preferiva Toronto, ma il suo lavoro non gli permetteva di poter stare qui con noi se non durante le vacanze o quelle poche volte che tornava qui; era fuori discussione — detto da loro — tornare a Los Angeles.
Senza rendermene conto, avevo raggiunto uno dei posti più belli di Toronto in cui fare foto: la CN Tower. Era senza dubbio il mio panorama preferito: vedere la torre dal basso e l'atmosfera che c'era.
Assolutamente stupendo.
Ed era anche il miglior posto per distrarsi. Non l'avevo mai detto a nessuno, neanche a Shawn che era il mio confidente da tutta la vita.
Ricordai in quel momento, che mio fratello mi aveva promesso di fare uno shooting fotografico. Ero sicura che non si trovasse a suo agio davanti l'obiettivo, ma avevo un assoluto bisogno di fermare il tempo su di lui. Tenere un momento con lui in pausa per sempre.
Anche durante l'adolescenza passavo il mio tempo a scattare foto, trasferirle sul pc di Shawn — l'unico discreto per il post-editing — e stare ore e ore a cercare il mio stile fotografico. E l'avevo trovato.
Mi piacevano le foto scure e granate.
Quindi scattavo foto già di bassa esposizione, nel post-editing alzavo i punti luce e la saturazione, aggiungevo un po' di grana.
Il tutto venne intitolato Lithium da Gwen.
Mentre mi inginocchiavo per immortalare un graffito su una panchina, sentii un forte odore di erba e sigarette. Un gruppo di ragazzi, che avevano stile punk, i capelli colorati e borchie ovunque, attirarono completamente la mia attenzione.
Mi avvicinai a loro in totale imbarazzo, salutandoli con la mano.
«Ciao,» mormorai, sistemando una ciocca di capelli oltre la spalla, «mi piace il vostro stile, posso scattarvi qualche foto?»
Tutti mi guardarono dalla testa ai piedi, trasmettendo gli stessi pensieri che avevo avuto anche io in un angolo della mia mente: il punk che incontra il grunge.
«Certo, dicci solo cosa dobbiamo fare» enunciò uno di loro.
Sollevai un angolo delle labbra.
Aveva la cresta sollevata da un sacco di gel, divisa in diverse sezioni, e due centimetri di ricrescita castana spezzava il fucsia del resto delle ciocche. Notai anche uno dei tanti tatuaggi sul collo: era lo stampo di un bacio di colore viola scuro.
«Niente, in realtà» risposi alzando le spalle. «Siate solo voi stessi, fate come se io non fossi qui.»
«Però ci sei» disse la ragazza con la frangetta corta che le scopriva metà della fronte.
Quella semplice osservazione mi si impresse in testa, passando ripetutamente avanti e indietro come un allarme che scorreva senza fermarsi.
Era sempre così facile, impressionarmi per qualsiasi cosa mi dicevano. Questa era una delle tante volte: tre parole che mi fecero pensare mille cose diverse.
Com'era possibile, che fossi così facile da leggere, quando davo il meglio di me per essere invisibile e non farmi notare?Scattai un centinaio di foto, forse anche di più.
E mi piacevano tutte.
Non avevo un obiettivo preciso, un prototipo di "cosa" che mi piaceva fotografare. Scattavo foto a qualsiasi oggetto o persona mi interessava e che pensavo potesse trasmettere un messaggio, una storia, un sentimento o un'emozione. Qualsiasi cosa, pur di bloccare istanti solo su cose belle e piacevoli.
Mostrai le foto ai ragazzi.
Quello con la cresta scoprii chiamarsi Morgan. Era un bel tipetto: era dolce, ma allo stesso tempo calcolatore.
Fatto? Ovvio.
Ma aveva un qualcosa... qualcosa di riflessivo, quasi poetico. Mi trasmetteva cose che non riuscivo neanche io a decifrare e descrivere, ma sapeva decisamente il fatto suo. Era anche il leader della band e la voce.
La ragazza con la frangetta, Ariel, era la chitarrista e la voce femminile. Di tanto in tanto scriveva qualche canzone. Aveva il septum ed era vestita di nero e le sue gambe nude mi fecero venire i brividi per il freddo.
Lo percepivo al posto suo che ero coperta da tre strati di vestiti.
L'unico ad avere i capelli naturali, era il batterista, che si chiamava Jöel. Era silenzioso, carino e aveva un sorriso adorabile.
Successivamente Gustav.
Soprannominato Gus, perché non gli piaceva il suo nome intero, era il bassista e aveva i capelli biondo platino con le punte arancioni, sparati in tutte le direzioni.
Infine c'era Scarlett, con i capelli rasati ai lati e il ciuffo lungo tirato indietro, aveva un'aria mascolina; era proprio figa.
E probabilmente lesbica.
Non biasimavo nessuna ragazza etero che si sarebbe innamorata di lei solo a guardarla.
La cosa che li accomunava tutti e cinque, oltre alla passione per la musica e lo stile punk, erano i tatuaggi: tanti e ovunque.
«Quando saranno pronte ce le passi?» mi pregò Gus. «Ovviamente metteremo il tuo nome ovunque, persone come te devono essere conosciute.»
Sollevai le sopracciglia, sorpresa.
«Persone come me, come?»
«Sei un buco senza fondo di sofferenze, e si vede» Morgan mi indicò casualmente con la mano, facendo un tiro alla canna che aveva rollato mentre scattavo le foto, e a cui avevo anche fatto un primo piano.
«Cerchi costantemente rassicurazioni... qualcuno che ti dica che sei abbastanza e che la tua presenza conta in questo mondo. Lascia che ti dica una cosa: noi siamo ragazzi emarginati che fanno musica per spegnere i pregiudizi di chi sta più in alto, tu sei quella che non ha ancora trovato se stessa e non sa dove mettere le mani. Scatti foto, e sei anche incredibilmente brava nel farlo. Non permettere alle teste di cazzo che ti hanno cacciato difetti inesistenti di spegnerti così, solo perché non avevano un cazzo da fare nella loro misera vita. Tu, Elizabeth, puoi fare grandi cose con quella macchina fotografica. Metti da parte il passato e concentrati sul presente, soffrirai ogni giorno della tua vita anche in futuro perché è così che funziona, e tagliarti non porterà ordine nella tua testa, stai solo alimentando la tua autodistruzione.»
Alzai un sopracciglio, riflettendoci su.
Non ero sicura di sapere come avesse fatto a capire dei miei tagli, perché non glielo avevo detto e non erano visibili, ma lasciai stare.
Allungai la mano verso la sua, tenendo tra l'indice e il medio la canna che consumava lentamente, e tirai. Forse aveva ragione.
Forse, il dolore che conoscevo, era solo un assaggio di quello che mi aspettava in futuro, e stavo sprecando tempo così.
Era anche vero che non trovavo un modo per allontanarlo: la paura di rivivere quel periodo orribile era dietro l'angolo e non si allontanava mai.
«Scrivici una canzone sulle parole che mi hai appena detto, mi hai aperto un mondo» gli restituii la canna, sorridendogli.
Senza dire altro, sollevò la mano e mi strinse la guancia tra il medio e l'indice, prima di riprendersi l'involucro di tabacco ed erba.
«La prossima volta, però, pensaci prima di farti» mi consigliò Ariel, «assicurati che ci sia la compagnia giusta, o ti prende a male.»
«Siete la compagnia giusta, te lo assicuro» le sorrisi.
«Allora direi che questa puoi prendertela» Morgan mi porse la restante metà della canna, facendomi ridere.
Diedi loro il mio indirizzo mail.
Un messaggio di Mike mi fece notare l'ora che si era fatta: due ore e mezzo erano praticamente volate e l'agitazione era svanita. Aspettai qualche minuto, prima di alzarmi e raccattare le mie cose.
«Vai già via?»
«Purtroppo si, però vi scriverò quando saranno pronte le foto.»
Ariel si mise in piedi, aprendo le braccia per abbracciarmi mentre mi veniva incontro.
Esitai un attimo, e tutti se ne accorsero.
Però poi mi rilassai e avvolsi le spalle della ragazza piccolina che mi cingeva la vita. Li ringraziai e, prima di andare via, accesi di nuovo la canna che Morgan aveva spento per non farla consumare.Tornai a casa con un po' di malinconia.
Era questo che si provava dopo aver lasciato persone con cui si era stati bene?
Non mi piaceva, questa sensazione. Per niente, no.
In casa c'era soltanto Shawn, che mi scrutò sospettoso mentre io cercavo in tutti i modi di non incontrare i suoi occhi. Ovviamente cedetti, e la sua espressione richiedeva subito spiegazioni.
«Sto benissimo, te lo assicuro» mandai la testa all'indietro, tenendo tra le mani la macchina fotografica.
«Spero almeno che chi ti abbia dato la roba fosse affidabile» disse soltanto.
Gli sorrisi, lasciandolo sorpreso.
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Grunge, karma, angel. (In revisione)
RandomElizabeth è solitudine e sofferenze. Non ha vissuto la sua adolescenza allo stesso modo dei suoi coetanei e fratelli. Ha vissuto la sua adolescenza cercando di scampare al dolore, cercando una distrazione tra le righe dei suoi libri e la musica dove...