Cinquantatre - Una Via Di Fuga.

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Hawke.
Quattro Settembre - 10:16.



Non riuscivo a trovare un momento per liberarmi e tentare di scappare. Neanche di notte, solo perché quel cretino di Hayes mi colpiva in un punto strategico che mi faceva crollare e risvegliare il mattino successivo. Avevo studiato, però, gli orari in cui si davano il cambio e di solito a Nash toccava la notte. Apparentemente era quello più silenzioso e non veniva mai a controllarmi, quindi dovevo cercare di non farmi colpire da Hayes e provare a scappare.
Non sapevo dove avrei preso le forze per fare una cosa simile, visto che non mangiavo da giorni per non rischiare di rimanere avvelenato.
Ma ci avrei provato, fino alla fine.
Fin quando le stelle non si spegneranno...
Hayes venne a buttare un'occhio, prima di lasciare il turno a suo fratello maggiore. Mi osservò a lungo, poi rise e si avviò alla porta «patetico.»
Cazzo. Le mie preghiere erano state ascoltate.
Attesi, forse un'ora e mezza.
E quando una canzone rap iniziò a rimbombare nell'altra stanza, iniziai a sfregare i polsi come mi aveva insegnato papà anni fa. Sfregai anche quando le braccia incominciavano a stancarsi e la pelle bruciare. Continuai, ancora, stando attento al minimo rumore e alla minima ombra.
«Andiamo, andiamo...»
Soffiai, cercando di togliere i capelli dagli occhi.
Mi dimenai quando le corde si allentarono ed ero libero. Sciolsi anche le caviglie, e afferrai comunque la corda. Trovai il mio telefono, lo accesi e inviai un messaggio a Beth dicendole di chiamare la polizia, inoltre le mandai la mia posizione attuale. Notai che non ero troppo lontano da casa, potevo resistere.
Setacciai la stanza mentre aspettavo una risposta, ma lei visualizzò e basta.
Non c'era nulla che potessi usare come arma qui dentro. Sbirciai dal buco della porta, prima di aprirla molto lentamente e trovare Nash concentrato a girarsi una canna. La musica era alta quindi non sentì nulla. Gli andai alle spalle, mi avvolsi le estremità della corda attorno ai palmi e con tutta la velocità che avevo la feci girare attorno al collo di Nash. Il ragazzo lasciò cadere ciò che aveva in mano. Tabacco ed erba si sparsero sul pavimento, il filtro improvvisato rotolò da qualche parte mentre la cartina rimase attaccata alle sue dita, rompendosi.
«Cazzo...» imprecò, con voce strozzata.
Mi diede una gomitata nello stomaco, facendomi piegare in due.
«Come cazzo ti sei liberato?» Domandò, mettendosi in piedi e a distanza.
Ripresi fiato tenendomi la pancia con una mano.
Intanto Eminem continuava a cantare: voleva dire che ci saremmo picchiati con stile.
«Se te lo dicessi non sarebbe più un segreto» mi avvicinai in uno scatto, e lo colpii sul naso con un pugno carico di rabbia.
Mi guardò sorpreso, pulendosi le labbra con il dorso della mano.
Mi diede un pugno a sua volta, ma glielo lasciai fare. Avevo bisogno di un altro pretesto per lasciare libera la parte di me che cercavo di tenere a bada. Ma, a quel punto, se dovevo finire in prigione o essere accusato per qualcosa, lo avrei fatto per una buona causa. E con la certezza di averlo fatto davvero.
«Paura, Davis?»
«Ti piacerebbe.»
Gli saltai addosso, caricando un pugno dopo l'altro sulla sua faccia.
Non gli diedi il tempo di respirare, avevo troppa rabbia repressa da sfogare. Non riuscivo neanche a fermarmi, era questo il problema principale. Non sapevo come, ma Nash riuscì a liberarsi del mio peso e rotolammo un paio di volte a terra, sbattendo contro sedie e mobili della cucina.
«Dimmi, cosa cazzo vuoi ancora da Elizabeth?»
Scoppiò a ridere, e in quel momento gli lessi la follia nello sguardo.
«Niente che ti riguarda, amico» rispose.
«Direi che mi riguarda, invece» lo afferrai per la felpa, «e non sono tuo amico.»
«Voglio farle quello che ho fatto alle altre» sentii qualcosa dentro di me congelarsi. «Voglio sentire la sua disperazione, voglio provare il piacere di uccidere. Perché ho scelto lei anni fa, e lei deve sparire.»
Gli diedi un altro cazzotto.
«Non mi crederai» emise un colpo di tosse «ma Elizabeth è davvero una tosta. Ha proprio deciso di non voler morire.»
Un altro pugno.
«Chissà se dovrò essere io ad ucciderla o lo farà da sola quando...»
Non ascoltai altro.
Gli urlai di stare zitto, ma non bastava, perché mentre rideva la mia rabbia prendeva il sopravvento in un modo che non avevo mai visto prima. Sapevo che sarebbe stata la fine ancora prima di sedermi su di lui per prendergli la testa.
Smisi di ascoltare il mondo attorno, Eminem non era più così divertente come lo era prima. Un colpo, un altro, un altro ancora. Il pavimento si riempì di schizzi rossi ad ogni urto. Poi, lentamente... una pozza di sangue andava allargandosi e la bocca di Nash mi chiedeva di fermarmi.
Due paia di braccia mi sollevarono, e mi resi conto di star urlando fino a perdere la voce. Gli urlavo di lasciarla stare, di lasciar stare la mia Beth. La mia Beth che non vedevo da nessuna parte. C'era Shawn, c'era anche Kelly, la mamma e anche Dylan. Ma lei non era qui.
Mi dimenai.
Chiesi sull'orlo di una crisi, di portarmi da lei, ma nessuno che mi accontentasse. Nessuno si preoccupava di me e di lei. Volevo solo calmarmi e senza lei non ci sarei riuscito. Infine sentii una botta dietro la testa, e il mondo si spense lentamente.

Grunge, karma, angel. (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora