Ventotto - Paradise.

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Elizabeth.
Sette Novembre - 23:57.




«No, Timothy! Quello quando arriva!» Sussurrò la mamma di Hawke, cercando di salvare uno degli sparacoriandoli rimasti.
Che cazzo!
Che fine avevano fatto gli altri tre che avevamo comprato? Mike e Dylan si erano divertiti così tanto a usarli per spaventare Lavender. Che, tra le altre cose, era anche la figlia piccolina del primo dei due ragazzi.
«Qualcuno può spegnere le cazzo di luci? Mancano tre minuti!»
E quella era decisamente la voce di Gwen.
Mia sorella si voltò verso di me, chiedendomi aiuto con lo sguardo. Allora mi avvicinai agli interruttori sulla parete, e spensi tutte le luci della sala. Il silenzio arrivò pochi secondi dopo, e durò all'incirca due minuti. Hawke aprì la porta, e prima che potesse anche solo allungare la mano, riaccesi le luci e il ragazzo castano indietreggiò sorpreso.
«Buon compleanno, Hawke!»
L'ormai venticinquenne sorrise, arrossendo di colpo.
«Entra, dai!» Esclamai io, prendendogli il polso per farlo entrare, seguito da Tanya e Christine; mi sorrise ancora più felice, se possibile.
«Ci sei anche tu» sembrava sollevato da ciò.
«Certo! Perché non dovrebbe, se è stata lei a organizzare tutto?» Esclamò Timothy, a
qualche metro da noi.
Le sopracciglia scure di Hawke scattarono, fissandomi più intensamente.
Le luci si spensero di nuovo, tranne quelle del corridoio, che rendevano l'atmosfera più tenue e permettevano di vedere il minimo indispensabile. Jenna si avvicinò con una torta alla vaniglia. Le candele con il venticinque perfettamente dritte. Tutti iniziarono a cantare, tranne me, che ero troppo impegnata a scambiare uno sguardo con lui. Sorrisi il poco necessario da indurlo a soffiare per spegnere le candeline.

«Davvero è stata una tua idea?» Mi chiese Hawke più tardi.
Tutti stavano bevendo o ballando, ma io e Hawke eravamo usciti a smezzarci una Winston e parlare senza dover urlare per capirci.
«Più o meno, Jenna ci aveva pensato ma ormai era tardi per organizzarsi da sola, allora ho preso l'iniziativa e tutti hanno messo una piccola parte» lo guardai dal basso.
Mi sorrise, espellendo il fumo.
Poggiò il sedere sul muretto, che circondava il porticato sul retro di casa sua, invitandomi ad avvicinarmi. Mi porse la mezza sigaretta rimasta, che accettai volentieri. Nel frattempo lui finì il suo drink, lasciando il bicchiere da parte.
Spensi la sigaretta su un cubetto che si stava sciogliendo, rimanendo a mani vuote. Hawke mi osservò giocare con una ciocca bionda, quasi senza sapere cosa farne delle mie dita. Mi prese le mani, accarezzando le nocche con i pollici.
«Sei un Angelo, Elizabeth.»
A quelle parole arrossii.
Non avevo avuto molte opportunità di vederle, ma il sorriso che mi rivolse in quel momento gli fece sbucare le due fossette, profonde, ai lati della bocca. La sinistra era più accennata. D'istinto portai l'indice in quel punto, toccandola con il polpastrello. Scoppiai a ridere, senza nessun apparente motivo. Non avevo neanche bevuto, se non un bicchiere di Vodka Lemon che reggevo senza problemi.
«Ti piacciono le mie fossette?»
«Mi fanno impazzire, le tue fossette.»
Mi avvolse le braccia attorno la vita, attirandomi a sé per un abbraccio.
I punti in cui i nostri corpi si toccavano mi davano una sensazione poco familiare, ma che non mi dispiaceva. Certo, non che mi capitasse di abbracciare qualcuno con molta frequenza, ma Hawke era di gran lunga una delle poche persone a cui concedevo di toccarmi in quel modo. E mi piaceva.
Gli spostai il ciuffo, già in precedenza scompigliato, sistemandolo lontano dagli occhi blu che mi osservavano illuminati. Mi feci più vicina, facendo scontrare il mio petto con il suo, tanto che le nostre labbra si trovavano a una decina di centimetri di distanza.
«Beth...» iniziò a dire «non vorrei interrompere questo momento, ma se lo stai facendo per accontentarmi nonostante tu...»
«Hawke» lo bloccai, tenendo il tono di voce basso. «Sto facendo esattamente quello di cui ho bisogno. Non voglio più sprecare un secondo della mia vita per colpa del passato. Se questo mi aiuterà ad andare avanti... se tu mi aiuterai ad andare avanti... allora voglio tutto questo adesso, senza più rimuginarci sopra all'infinito.»



Hawke.



Le sue parole mi sorpresero, ma allo stesso tempo mi fecero scattare. Posai le mani sulla sua vita esile, tenendola, per quanto possibile, ancora più stretta a me. Non sapevo se ero stato io o se era stata lei, magari entrambi, ma le nostre labbra si scontrarono senza esitazione.
Pensai che se prima mi trovavo in paradiso, in quel momento lo stavo assaggiando. Non mi persi neanche un centimetro delle sue labbra, che erano soffici e inesperte, e sapevano di limone e tabacco insieme.
Il bacio che non avrei mai dimenticato.
Le mie mani e le mie gambe erano tutte un tremolio, lo stomaco un groviglio di alcol e vaniglia, e la mente era la parte del mio corpo che era messa peggio.
Non ci stavo capendo più nulla.
Quando entrambi ci staccammo, di soli pochi centimetri, il giusto per guardarci negli occhi... non vidi neanche il minimo rimorso nelle iridi verdi. Stava sorridendo, e alla sola idea che lo stava facendo grazie a me... faceva agitare ancora di più il mio cuore.
Non avevo ancora capito come o quando era nato questo sentimento per lei, ma sapevo che non avrei smesso. Non in quel momento e non presto.

«Stai bene?» Le domandai.
«Sto benissimo» rispose a bassa voce.

Grunge, karma, angel. (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora