Hawke.
Ventinove Gennaio - 9:47.Ero quasi del tutto sicuro che Beth stesse evitando qualcosa. O meglio, qualcuno. Volevo sapere perché non si era più fatta vedere, perché avesse rifiutato ogni uscita organizzata con i ragazzi. Forse voleva solo stare un po' da sola, o forse era semplicemente impegnata e tutto ciò faceva parte delle mie paranoie.
Scrissi un messaggio a Gwen, chiedendole se a casa andasse tutto bene. Mi rispose che, si, andava tutto bene, e che era solo tornato Gabriel a casa dopo mesi. Da quel che sapevo ultimamente Gabriel aveva avuto problemi a lavoro e che non era potuto tornare in Canada neanche per le feste di Natale e Capodanno. Era comprensibile, quindi, che Beth volesse stare con suo padre, ma una domanda mi restava fissa in testa: perché non le arrivavano i miei messaggi?
Gwen mi scrisse dopo qualche minuto che se volevo potevo andare da loro.Di Beth non ce n'era traccia, ma Gabriel mi sorrise non appena mi vide. Gli abbracci che mi dava ogni volta che avevamo l'occasione di incontrarci mi riempivano una parte del cuore. Essendo amico di Shawn da tanti anni avevamo avuto modo di creare un rapporto con Gabriel che un po' riempiva il vuoto lasciato da mio padre. Ora che io e Beth stavamo insieme... chissà se ne era a conoscenza — se glielo aveva già detto —, o se stava aspettando di farlo in un momento giusto.
La ragazza bionda, appunto, apparve in cucina.
Mi osservò con le sopracciglia corrugate. Mi fece un cenno con la testa, e la seguii senza dire nulla. Si era fermata sotto il portico, le braccia conserte e lo sguardo perso.
«Non hai risposto ai miei messaggi» mi disse a voce bassa.
«I tuoi...» aggrottai le sopracciglia, afferrando il telefono.
Toccai l'app dei messaggi, che era ben diversa da Whatsapp, e notai le 6 notifiche.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» Domandò.
Sollevai di scatto la testa, fissando la sua espressione tormentata.
«Assolutamente niente, angioletto» infilai il telefono nella tasca della tuta, per avere le mani libere quando mi sarei avvicinato per abbracciarla. «Non mi erano arrivate le notifiche, ultimamente la linea non funziona. Mi dispiace, Beth.»
Le posai le mani sui fianchi, sentendola rabbrividire.
«Ti ho scritto lì perché il telefono si è rotto, mi è caduto» spiegò, ma neanche stavolta sollevò lo sguardo. «Volevo chiamarti ma il MacBook ultimamente non mi permette di avviarne una» aggiunse.
In quel momento capii perché nelle chiamate partiva la segreteria.
«Ecco perché non mi rispondevi...» sospirai di sollievo. «Pensavo che non volessi vedermi.» Solo a quel punto mi puntò gli occhi addosso.
Vidi una tristezza infinita, così addolcii il sorriso e le avvolsi le spalle con entrambe le mie braccia. La differenza era tanta, tra le mie braccia e le sue, ma... Dio, se mi faceva impazzire.
«Non ti lascio, Beth, te l'ho promesso.»
Mosse la testa, appoggiandola poi sulla mia spalla.
Fece un sospiro, successivamente mi strinse con quanta più forza poté.
«Non ho ancora detto a papà che stiamo insieme» mi informò. «Volevo che ci fossi anche tu, con me, per dirglielo.»
Dio, quanto la adoravo.
«Facciamolo, allora» conclusi deciso.
La baciai prima sulla testa, infine sulla fronte.
Quando ci staccammo, Beth mi prese il viso nelle mani già fredde. Mi attirò a sé, facendo scontrare in un modo incredibilmente fantastico le nostre labbra. Non ci eravamo mai scambiati un bacio così.
«Andiamo, o potrebbe prendermi un infarto se Gabriel non saprà di noi tipo adesso» mormorai, in preda all'ansia.
Mentre andavamo in cucina, e Gabriel sorrideva teneramente a Kelly, pensai che non ce l'avrei proprio fatta.
Ma poi Beth mi fece sedere, e si accomodò sulle mie gambe. Arrossii fino al midollo, perché lo sguardo di Gabriel cadde su entrambi in un millisecondo. Aggrottò le sopracciglia, e con un sorriso a malapena percettibile aprì il giornale sulla sua faccia e finse di leggere.
«Gabriel, potresti togliere quella cartaccia? Non ti vediamo da mesi!» Rimbeccò Kelly, schizzando suo marito con la spugna grondante.
Noi quattro scoppiammo a ridere, mentre Gabriel scattò in piedi.
Aveva una grossa macchia bagnata sulla maglia, ma si mise ugualmente a ridere.Beth mi pregò di restare a dormire da lei.
Adoravo la sua stanza, c'era sempre questa strana atmosfera... questo strano e piacevole caldo, diverso da quello che ti seguiva nel resto della casa. Forse era l'incenso, o forse era semplicemente la stanza di Beth che urlava il suo nome da ogni centimetro.
Mi stiracchiai, girandomi sul fianco per abbracciarla.
«Sei sveglia?» le domandai piano, lasciandole un piccolo bacio dietro l'orecchio.
In risposta mosse la testa, spingendosi un po' di più contro il mio petto.
Erano le due passate di notte, ed ero sicuro al cento per cento che avesse finto di dormire solo per far addormentare prima me. Le posai una mano sul fianco sporgente, sollevando la testa.
«Beth, va tutto bene? Non mentirmi.»
Sentivo come respirava, il modo in cui si dondolava con il fianco — quello dove avevo posato la mano — e il tremolio che le colpiva le mani.
C'era qualcosa che non andava.
«Io...» emise un breve sospiro. «Credo... credo di aver bisogno...»
Tornai a stendermi, avvicinandola quanto più possibile al mio corpo.
«Puoi contrastarlo, piccina» le strinsi le dita esili nelle mie, dopo aver fatto passare il braccio sotto il collo di Beth. «So che ne sei in grado. Ricordati che sei riuscita a spegnerlo per due mesi, non mollare ora.»
Sapevo quanta forza ci volesse, l'avevo vista.
Beth non aveva usufruito dell'autolesionismo per tutto dicembre e questa buona parte di gennaio. Erano due mesi, dunque, e stava facendo un ottimo lavoro. Io cercavo di aiutarla il più possibile, ma dovevo anche lasciarle lo spazio di cui aveva bisogno.
«Ricorda cosa ci siamo promessi, Beth» la baciai tra i capelli.
Le sue dita sottili mi strinsero un po' più forte i palmi.
E non mi importava dei graffi o del dolore che mi avrebbe procurato. Volevo che stesse bene, la volevo sorridente e spensierata, fuori da ogni pericolo e dai brutti pensieri. Non volevo che le accadesse nulla.
«Una volta papà mi ha costretto a dare un pugno a un mio compagno di classe dopo che lui mi prese in giro» sussurrai.
«Perché?»
«Perché così mi avrebbe lasciato stare» risposi. «Era la spiegazione semplice e lineare che lui mi aveva dato. Capii solo dopo, da solo, che non era quello il modo di affrontare i problemi. Okay, eravamo alle elementari ed eravamo bambini, ma imparai presto la lezione.»
«Successe altre volte?»
«Cosa? Che papà mi costringesse ad usare la violenza?» Annuì. «Si, all'incirca una decina, ma non gli diedi ascolto neanche mezza. Iniziai ad odiare la violenza da quel momento, nonostante lui ne facesse spesso arma contro la mamma.»
«Mi dispiace» mi strinse un po' più forte la mano sinistra.
«A me dispiace che lei ne abbia sofferto» sospirai.
Restammo in silenzio per qualche lungo minuto.
«Sei forte, Hawke» sussurrò lei.
Aggrottai la fronte, anche se non poteva vedermi.
«Stai parlando di qualcosa che ti fa male per distrarmi, e sta funzionando» fece un respiro profondo.
«Vorrei avere anche solo un quarto della tua forza» continuò, «sono riuscita a stare senza tagliarmi solo per due mesi, e non l'ho fatto neanche da sola.»
«Non c'è nulla di male, nel chiedere aiuto» sorrisi leggermente.
«Vorrei non aver dovuto chiederti aiuto, ma l'ho fatto inconsapevolmente quella sera a casa di Jesse» ammise, e io trattenni il respiro. «Non me ne ero neanche resa conto, ma quando accettai l'appuntamento... hai colto inconsciamente la mia richiesta di aiuto, e da quel momento mi hai aiutata, ogni minuto di ogni giorno. Forse... non te ne sei accorto, ma neanche io l'ho fatto.»
Solo in quel momento realizzai, ma le domandai tutt'altro.
«Anche tu mi hai aiutato, lo sai questo, vero?»
Si voltò per guardarmi, e dalla poca luce che la luna emanava dall'enorme finestra, intravidi il suo, di sorriso.
«Almeno tu hai avuto il coraggio di chiedermelo» le accarezzai una guancia.
«Non si tratta di coraggio o di forza, neanche di chiedere» mi avvicinai leggermente alle sue labbra. «Quando c'è di mezzo l'amore non si tiene conto di nient'altro, se non della persona di cui siamo innamorati. Ed è così, Beth. Per me non esistono i tuoi problemi o chissà cos'altro... per me esisti tu, e tutto quello di bello e concreto che hai.»
Le asciugai le lacrime dalle guance, accogliendo il ringraziamento silenzioso che mi stava mormorando e l'amore che mi stava insegnando a dare. A darle.
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Grunge, karma, angel. (In revisione)
RandomElizabeth è solitudine e sofferenze. Non ha vissuto la sua adolescenza allo stesso modo dei suoi coetanei e fratelli. Ha vissuto la sua adolescenza cercando di scampare al dolore, cercando una distrazione tra le righe dei suoi libri e la musica dove...