Capitolo 16 ~ Se non ti avessi con me

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Kyle

Ho trascorso la notte immerso in un sonno pesante, da cui riemergevo a singhiozzi e venivo risucchiato profondamente l'istante successivo. Papà dice che ho farneticato frasi senza senso e che non c'è nulla di allarmante in questo perché sono solo scombussolato dall'intervento. Io, al contrario, sono perfettamente consapevole del motivo dei miei deliri. La mia mente contempla spaventata l'inizio della riabilitazione e il terrore di non poter tornare più a giocare come prima. Il mio cuore grida come un forsennato di fare qualcosa per riconquistare Jess prima che sia troppo tardi. Ho una strana sensazione su di lei che mi serpeggia dentro e tenta di mandarmi dei segnali di pericolo. Una sorta di percezione che rende concreta la paura di perderla. Sento che mi sta sfuggendo di mano e da un momento all'altro potrebbe rifarsi una vita e lasciarmi indietro. Forse dovrei parlane alla mia psicologa durante la prossima seduta per confutare che la mia non sia solo paranoia. Sono certo però di aver intuito che qualcosa non andava in lei quando ieri sera è passata a salutarmi. Mi auguro che non c'entri il suo avvocato in tutto questo. Non vorrei che la sua presenza la stesse gradualmente allontanando da me, portandomi via ogni opportunità di rimettere le cose apposto tra di noi.

Quando finalmente la vedo entrare e annunciarmi il buongiorno qualcosa dentro me si rimescola. Il suo sorriso dolce e lucente illumina il mio cupo risveglio cancellando ogni timore. «Come stai oggi, Campione?». Mi sembra così diversa da ieri. È molto più raggiante e serena. Magari aveva davvero bisogno di tornare a casa e passare una serata tranquilla per riposare e riprendersi. Immagino che le abbia fatto bene prendere le distanze per un po'. Il suo sorriso mi contagiata e presto mi ritrovo con un'espressione da abete sul viso che la fissa assorto e imbambolato. «Bene. Mi sento bene». Nonostante il dolore che si irradia nella parte bassa del mio corpo provo un senso di intraprendenza che mi rende impaziente di scendere da questo letto e spaccare il mondo.
«Ottimo. Anche il gonfiore sembra diminuito» osserva, constatando visivamente le condizioni del mio ginocchio. «Se te la senti puoi provare a metterti in piedi e vedere che effetto ti fa».
«Non desidero altro». Ogni fibra del mio corpo comincia a pulsare trepidante all'idea di liberarmi di questo tutore e scendere giù dal letto.
«Allora vado a chiamare il dottor Olsen. Meglio farlo in sua presenza e vedere se sei pronto a iniziare con la terapia». Sparisce per andare a cercare il medico responsabile del mio percorso riabilitativo. Ho giá avuto modo di conoscerlo la settimana scorsa. Non mi fa molta simpatia ma sia papà che il coach della squadra sembrano avere molta fiducia in lui. L'hanno fatto venire da non so dove e vanta la fama di essere il migliore del paese in tecniche riabilitative, per tale motivo si fa pagare profumatamente. Personalmente non sono molto sicuro delle sue affamate doti, potrebbe anche essere un ciarlatano. Mi auguro soltanto che metta il mio ginocchio in condizioni di giocare entro i prossimi sei mesi, non voglio altro. «Eccoci. Sei pronto per cominciare?». La voce di Jess mi trascina via dai miei pensieri, regalandomi ancora una volta la visione del suo splendido sorriso, accompagnato dall'espressione impassibile di quel pagliaccio mangia soldi che le sta accanto. In un battito di ciglia me lo ritrovo su un lato del letto che mi offre le sue braccia come sostegno per mettermi in piedi. Mi acciglio contrariato. Come pensa che possa compiere un passo tanto importante affidandomi alla sua presa estranea? «Non voglio farlo insieme a lui, voglio farlo con te» metto in chiaro, rivolgendomi a Jessica con l'intento di ignorare deliberatamente il dottorino. 
«Kyle», mi ammonisce lei con quel tono a metà tra l'esasperazione e l'usuale dolcezza che la caratterizza. «Sarà il dottor Olsen a occuparsi del tuo percorso riabilitativo, lo sai. È bene ai fini della riuscita della terapia che instauriate un rapporto di fiducia sin da subito» spiega con calma e pazienza.
«Hai promesso che mi avresti tenuto per mano quando mi sarei rimesso in piedi» le ricordo. «Lo farò con te o con nessun altro» decreto intransigente. Lei sospira, arrendendosi difronte alla mia richiesta. Si scusa con il suo collega per il mio comportamento irrispettoso ma lui sembra non prendersela più di tanto. Mi ricorda velocemente quali movimenti devo compiere e le cede il posto al mio fianco. «Fa piano, mi raccomando. Non alzarti di colpo, sei ancora debole. Meglio se prima ti siedi con le gambe fuori dal letto e procediamo per gradi». Mi lascio guidare dalle sue indicazioni che m'illudo nascondano tra le righe il suo essere teneramente apprensiva nei miei confronti. «Ci sei?» chiede porgendomi le sue mani. Annuisco e le afferro entrambe saldamente. Non importa se sono piccole e la sua statura minuta verrà sovrastata dalla mia non appena mi metterò in piedi, io da quelle mani mi sentirò sempre supportato. Sono il porto sicuro in cui rifugiarmi. «Ok, coraggio». Spinto dal suo incoraggiamento mi faccio forza e mi tiro sù. Cerco di distendere lentamente la gamba operata ma non l'appoggio sul pavimento. La tengo sospesa a pochi centimetri da terra per abituarmi gradualmente al dolore e alla flessione del ginocchio. «Come va?» domanda scrutandomi con attenzione. Percepisco un pizzico di tensione nella sua voce ma credo sia dettata solo dall'ansia che possa scivolare e farmi male.
«Mi gira un po' la testa» ammetto, chiudendo forte le palpebre per poi riaprirle e sbatterle un paio di volte nel tentativo di mettere a fuoco il suo viso.
«È normale. Vuoi sederti e ricominciare da capo?».
«No, ce la faccio» insisto determinato. Mi concentro sulle sue mani che stringono forte le mie. Mi sforzo di regolare il respiro e mantenere la calma invece di farmi sovrastare dal dolore. «Come senti la gamba?» chiede, accorgendosi che fatico ad appoggiarla.
«Strana. Ancora rigida». Sospiro più forte. Mi scappa una piccola smorfia. 
«Il ginocchio è ancora gonfio. Il quadricipite non funziona completamente, non reclutando tutte le sue fibre, e la bio-meccanica del nuovo legamento è diversa. Ecco perché la senti strana» blatera il dottor Olsen, quasi volesse ricordarmi della sua presenza.
«Stai andando alla grande comunque» aggiunge Jess. Mi rivolge un sorriso d'incoraggiamento che m'infonde maggiore forza. «Ora prova ad appoggiare leggermente il peso del corpo sulla gamba». Faccio come dice e una fitta di dolore sopraggiunge lungo tutto l'arto, facendomi imprecare. Fa male da morire, diamine! Non mi aspettavo di non provare nulla ma nemmeno di avere la sensazione che il ginocchio sembri ricoperto di spilli. Annaspo. Per un attimo mi si annebbia persino la vista. Mi costringo a sollevarla di nuovo per mettere fine a quel calvario. «Non importa se ti fa male. Tieni la gamba appoggiata» insiste quell'idiota.
«Perché non ci provi tu? Coglione!» sbraito fuori di me.
«Kyle». Ignoro quel reclamo e lo guardo in cagnesco. Lo prenderei a calci se potessi. Non m'importa nulla delle sue acclamate competenze se poi non sa fare il suo dannato lavoro. «Kai smettila» mi richiama Jess una seconda volta. «Sta solo cercando di aiutarti».
Sbuffo e poso i miei occhi su di lei. «Non ce la faccio. Devo sedermi» affermo dopo aver tentato nuovamente di reggermi su entrambi i piedi.
«No, non così in fretta» ordina quell'imbecille. «Dobbiamo testare i tuoi limiti e scoprire quanto riesci a resistere».
«Ha detto che non ce la fa. Ha già raggiunto il limite» tuona Jess in mia difesa.
«Mi dispiace contraddirla, dottoressa Sullivan, ma non dobbiamo essere così clementi con lui. Bisogna spronarlo a dare il massimo o non riacquisterà la mobilità completa nei tempi stabiliti» la bacchetta quel cretino. Sto per inveirgli contro un'altra volta ma il mio corpo decide di cedere proprio ora e piegarsi al dolore. Traballo, sul punto di cadere. Lei mi regge forte impedendomi di scivolare.
«Va tutto bene. Tieniti a me. Ti riaccompagno a letto». La sua voce mi culla e quieta un po' il mio cuore agitato, ma sono determinato a dimostrare al dottor Olsen che si sbaglia, perciò punto nuovamente la gamba verso terra e mi sforzo di resistere più che posso. Nel giro di pochi secondi comincio a sudare freddo, gli spasmi diventano insopportabili e la gamba cede un'altra volta. «Scusa, non ci riesco» mormoro affranto, ricadendole tra le braccia.
«Non devi scusarti di nulla. Sono passate appena ventiquattr'ore dall'intervento. La ripresa richiede tempo e tu hai già avuto un ottimo inizio». Mentre mi aiuta a rimettermi seduto sul letto chiede conferma delle sue parole a quel decerebrato, nella vana speranza forse che anche lui mi dia un po' d'incoraggiamento. «Non è vero dottor Olsen? Lei cosa ne pensa?».
«Penso che abbiamo ancora tanto da lavorare. Imparerà a spingere e osare se vuole tornare a essere quello di un tempo. Questo è solo il primo impatto, ci può stare che non dia alcun risultato. Tornerò più tardi, forse sarà più motivato». La risposta gelida con cui si conceda la spiazza, ma so già che non parlerà male di lui per non incrementare la mia cattiva opinione al riguardo.
«Idiota! Già lo detesto», digrigno non appena si chiude la porta della stanza alle spalle.
«È un po' rigido ma sa fare molto bene il suo lavoro. Cerca di dargli una possibilità e fidarti di lui». Tenta di mitigare come immaginavo.
«Mi fido solo di te» affermo, senza lasciare la presa sul suo corpo. Piuttosto approfitto di questa vicinanza per soddisfare la voglia che mi ha pervaso da quando l'ho vista varcare la porta poco fa, stringendomela addosso.
«Non giocare la carta del povero cucciolo malandato solo per abbracciarmi» brontola, tentando di divincolarsi.
«Ancora un po' per favore!» la prego. «Resta tra le mie braccia ancora un po'. Stringerti mi fa sentire meglio. Non conosco modo di far passare il dolore, all'infuori della morfina, che non sia tu». Percepisco un brivido incresparle la pelle mentre le sussurro quelle parole all'orecchio. Forse, dopotutto, non le sono poi completamente indifferente come asserisce. «Kyle». Il modo in cui pronuncia il mio nome è così dolce e al tempo stesso sofferto che mi fa male, perché in fondo credo di sapere cos'è che la rende tanto triste.
«Lo sai che è così Puffetta» ribadisco. Lei sospira e ricambia la stretta arresa, avvolgendo le sue braccia intorno alla mia schiena ampia. Quel contatto ha un che di puro e nostalgico. Fa riemergere in lei un dolore così potente che sembra appiccicarsi alla mia pelle e farmi male in modo viscerale. «Mi sei mancata stanotte» confesso con il naso immerso tra i suoi capelli. S'irrigidisce di colpo nell'udire quella frase ma io continuo ugualmente a esporre ad alta voce i miei pensieri. «Mi manchi ogni notte da quando ci siamo lasciati» azzardo, abbracciandola più forte. Resta immobile come se le mie parole l'avessero gelata e non in bene a giudicare da come un attimo dopo si scioglie nervosamente dalla mia presa.
«Smettila Kyle, ti prego. Tutto questo non fa bene a nessuno dei due, lo sai». Non è scontrosa ma il modo severo in cui mi guarda fa più male di quanto farebbe la sua rabbia. Perché è come se mi stesse chiudendo in faccia le porte del suo cuore, barricandosi all'interno. Quella brutta sensazione che mi affliggeva stamattina adesso sembra essere diventata realtà ed io non sono come farci i conti. Mi ritrovo a fissarla disorientato, con un nodo alla gola. «Ti ho detto che voglio esserti amica ma per te sembra più difficile del previsto mantenere fede a quella richiesta».
«Ti ho solo abbracciato».
«Non è l'abbraccio il problema ma il tuo modo di fingere che tutto possa tornare come prima».
«Jess...». Faccio per parlare ma lei m'interrompe subito, consapevole che sto per accampare l'ennesimo discorso di scuse nel vano tentativo di persuaderla.
«No, Kyle, aspetta. Voglio essere chiara perché forse non lo sono stata abbastanza». I suoi occhi parlano prima che la sua bocca possa muovere quelle dolci linee che la delimitano e non mi suggeriscono nulla di buono. «Ho deciso di aiutarti perché ci tengo ancora a te. Ho messo da parte il mio rancore per provare a esserti amica e non gettare al vento quello che abbiamo vissuto negli ultimi cinque anni, finendo per trattarci come due estranei, ma non posso tollerare il tuo modo illusorio di fingere che provi ancora qualcosa per me». Mette dei limiti, ancora e ancora, come se tutto ciò che dicessi o che facessi fosse sempre troppo per lei. Mi chiedo se in realtà non mi odi per quello che le ho fatto. Se questo starmi accanto non le stia solo facendo provare altro rancore nei miei confronti fino a detestarmi del tutto.
«Non provare a respingermi o ad allontanarmi solo perché ti dico quello che provo. Ce la sto mettendo davvero tutta per farti capire che sono pentito di ciò che ho fatto». Non so se mi sto solo arrampicando sugli specchi nella disperata illusione che capisca quanto ancora la ami. So che ne vale la pena di fare un tentativo e non arrendersi anche se di possibilità lei sembra non volermene concedere.
«Ed io ce la sto mettendo davvero tutta a provare a perdonarti, ma la verità è che non ci riesco. Per quanto tu sia importante per me non riesco a superare il tuo tradimento. Non so se ci riuscirò mai». La schiettezza di quelle parole mi arriva dritta al petto come una stilettata al cuore. È più dolorosa e angosciante dell'astinenza contro cui ho dovuto lottare. È un muro di cemento che s'innalza imponente davanti ai miei occhi feriti.«Non m'importa se non sei disposta a perdonarmi e mi odierai tutta la vita per il male che ti ho fatto. Tu resta comunque al mio fianco, ti prego!». La mia è una supplica disperata a cui mi aggrappo miseramente perché troppo codardo per accettare il suo rifiuto.
«Cosa mi stai chiedendo esattamente, Kyle? Perché ti ho già dato tutto di me, fino all'ultima goccia, svuotandomi completamente. Non è rimasto più niente. Ti sei portato via ogni cosa e hai lasciato dentro me una voragine che ho tentato disperatamente di richiudere al meglio che potevo, eppure ti ostini ancora ad avanzare preteste. Cosa vuoi da me? Cosa vuoi più della mia amicizia e del mio aiuto?». Lo urla quasi mentre le sue iridi umide si specchiano nell'azzurro spento dei miei occhi. Non parlarmi così, ti prego. Non farmi sentire il bastardo traditore che ti ha ridotto a brandelli il cuore e chiede egoisticamente di averti ancora per sé. Sono uno stronzo capriccioso e viziato ma ti amo e questo non lo posso cambiare.
«Ti sto chiedendo di esserci come hai fatto finora, di sostenermi anche se non è sempre facile per te supportarmi. Voglio averti con me a ogni incontro con Olsen». Avanzo l'ennesima pretesa e lo so che meriterei un "no" secco come risposta, che dovrei rispettare il suo bisogno di staccarsi un po' da me e smetterla di essere tanto egoista da costringerla a seguirmi in questo lungo percorso, ma non so fare altrimenti. Non so fare altrimenti perché in ogni occasione importante della mia vita, da che lei ne fa parte, è sempre stata al mio fianco. Abbiamo sempre affrontato tutto insieme, uniti. Tutto eccetto che quel test di gravidanza che ci ha cambiato la vita. 
«Il mio mondo non gira intorno a te, Kyle Evans» puntualizza.
«Lo so ma in nome di quello che c'è stato tra di noi spero che continuerai a darmi il tuo aiuto». È l'unico modo in cui posso ancora starle accanto e provare a riconquistarla, altrimenti è finita davvero.
«Hai visto com'è quell'idiota. Non reggerei neanche un minuto da solo con lui. Ho bisogno della tua presenza per dare il massimo». Apri quello spiraglio Jess. Lasciami almeno uno spazietto per farmi largo ed entrare di nuovo nel tuo cuore.
«Va bene, lo farò in nome di ciò che ci ha uniti, ma i miei turni non combaceranno sempre con i vostri orari perciò non posso prometterti di esserci ogni giorno». Non posso che farmelo bastare al momento.
«È già qualcosa» affermo trionfante. «Per me conta davvero molto tutto quello che stai facendo. Lo so che ti costa un grande sacrificio» riconosco. Ieri, dopo l'intervento, appariva così stanca e tormentata che temevo di averle risucchiato via la forza che la tiene ancora in piedi nonostante tutto quello che ha passato. Invece resiste sempre e va persino contro se stessa per me.
«Vedi di non approfittarne troppo, Evans. Prima o poi la mia bontà finirá». Prego che quel giorno arrivi il più lontano possibile, Puffetta. Perché so che non saprei più come fare i conti con i miei problemi se non ti avessi con me.

 Perché so che non saprei più come fare i conti con i miei problemi se non ti avessi con me

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Buongiorno e buon inizio settimana.
A quanto pare Kyle non demorde ma Jess continua a mettere in chiaro le cose.
Chi preverrà?
A voi è mai capitato di avere un'ex come Kyle? Cosa avreste fatto al posto di Jess? 

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