Capitolo 11 ~ È normale avere paura

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Kyle

È stata la settimana più infernale della mia vita. Una continua lotta per superare il crescendo di sintomi che l'astinenza ha provocato e non cedere alla tentazione di ricadere vittima della mia dipendenza.
Nausea, vomito, crampi allo stomaco, totale rifiuto verso il cibo e frequenti sbalzi d'umore hanno accompagnato questa lunga agonia durata ben otto giorni. Poco più di una settimana trascorsa in trappola tra queste quattro mura a subire le fastidiose sedute con la psicologa che zio Jack mi ha mandato e fare i conti con le mie debolezze per riuscire a sconfiggerle. Detesto quell'ora in cui sono costretto a esaminarmi e capire perché sono arrivato al punto di voler mettere a tacere il mio dolore con la morfina, piuttosto che affrontarlo e accettare le cose come stanno vorrei evadere da quest'ospedale. La dottoressa Miller non fa che ripetermi che devo concentrarmi sulle cose positive che mi circondano invece che su quelle negative, che mi spingono verso una spirale buia, ma quando mi guardo attorno non posso fare a meno di vedere i problemi e il vuoto immenso che mi avvolgono. Ho dovuto mettere in pausa la mia carriera per questo maledetto infortunio e della mia relazione con Jess non è rimasto che il ricordo di ciò che abbiamo condiviso. Sembra non essere disposta a concedermi nulla di più del suo aiuto e questa è una delle ragioni principali per cui vorrei che tutto tacesse, trascinato via dalla droga.

Essere chiuso qui mi aiuta a non ricadere negli stessi errori ma non aiuta a tenere a bada i miei pensieri. Senza distrazioni non faccio che pensare alla misera condizione in cui mi ritrovo. Mille paure mi assalgono. A partire dal timore che possa essere tanto debole da ricadere nei miei vizi una volta fuori di qui, alla paura che l'intervento al ginocchio possa non andare come previsto.
E se il danno ai miei legamenti fosse più esteso di quello che appare dagli esami? Se una volta inciso un taglio nella carne si rendessero conto che non c'è più niente da fare? Non riesco a liberarmi di quest'ansia nonostante la mia psicologa mi aiuti a prenderne coscienza e affrontarla. Come se non bastasse mia madre sta gravando il peso dei miei pensieri facendo un inutile tragedia per quel dannato accordo che Jess ha fatto rielaborare dal suo avvocato. Non ne posso più di sostenere la pressione che mi mette addosso dopo ogni loro battibecco. Vorrei solo che tutto andasse per il verso giusto invece sembra che attorno a me ci siano tensioni e incomprensioni. Persino Cole non è più lo stesso. Sento che si sta allontanando da me. Non so se sia per colpa di mia sorella o di qualcos'altro, ma mi manca dannazione! Perché in mezzo a questo casino lui sarebbe dovuto essere l'unico a capirmi e a donarmi un po' di spensieratezza, invece è assente, confuso, misterioso. Jess d'altro canto non è da meno. Oltre alle normali visite giornaliere che mi fa per assicurarsi che stia bene, non mi presta le attenzioni che vorrei. Ho persino udito voci di corridoio che insinuano una sua presunta frequentazione con il bell'avvocato che si sta occupando della sua citazione. Non so quanto di quello che pettegolano le infermiere sia vero, ma ho sentito diverse di loro commentare la presenza sempre più assidua di questo tizio al fianco di Jess e questo non fa che incasinarmi il cervello. Ho bisogno di uscire da questa stanza e vedere con i miei occhi quello che sta succedendo. Voglio indagare sulla questione e scongiurare ogni dubbio per comprendere fino a che punto dovrei preoccuparmi di questo tipo. E se il vero motivo dei suoi atteggiamenti tesi e distaccati fosse proprio lui? Se non mi permettesse di riconquistarla perché si fosse invaghita di un altro? Lei bazzica in giro con un altro uomo ed io come un povero idiota sono bloccato in questo dannato letto lontano da tutti.

Forse è per questo che a un certo punto della giornata non ne posso più di starmene fermo sotto a queste lenzuola e me ne libero d'impulso, mettendomi a sedere sul bordo del materasso per assecondare la pazzia che mi balena in mente. A fatica allungo un braccio verso le stampelle appoggiate alla testata del letto e facendo peso su di loro con le braccia mi metto in piedi. Il dolore al ginocchio si propaga subito lungo tutta la gamba, dandomi la sensazione che l'intero arto stia andando a fuoco. Me ne frego. Faccio un respiro profondo. Stringo forte i denti e comincio a muovermi. Detesto questi dannati sostegni che mi fanno sentire malato a ogni passo che compio, ma so che se me ne liberassi non mi reggerei in piedi per più di tre secondi.
Trattenendomi dall'impulso di urlare per il fastidioso dolore irritante che mi sta indebolendo, apro la porta della stanza con l'aiuto di un gomito e mi affaccio in corridoio. Le infermiere dovrebbero passare a somministrarmi la terapia entro la prossima mezz'ora, perciò mi accerto che nessuna di loro sia nei paraggi o la mia fuga verrebbe ostacolata. Una volta appurato che il corridoio è deserto mi incammino, o forse dovrei dire mi trascino visto che il peso della gamba sofferente mi rallenta, fino alla stanza riservata al personale medico.
Voglio trovarla. Ho bisogno di rivederla.
Ogni metro che mi separa da quella stanza si fa sempre più difficile da percorrere. Non sono più abituato a muovermi come un tempo. Sono fuori fase. Sto perdendo forza e massa muscolare. Ho il respiro affannato. Le fitte attorno al ginocchio sono così forti che comincio a sudare freddo. Non mi arrendo. Vado avanti anche se sto soffrendo da morire perché devo dimostrare a lei e a me stesso che stavolta faccio sul serio. Non mi lascerò fermare da nessun ostacolo, che sia questa dannata gamba infortunata o il terribile errore che ho commesso un anno fa.

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