Capitolo 24 ~ Via i Prosciutti

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Jess

Una fastidiosa melodia mi squilla nelle orecchie. Mugolo assonnata mentre muovo alla cieca un braccio nel tentativo di scovare il cellulare e farlo smettere di suonare. La mia mano va a tastoni guidata dal buio della mia mente ancora assopita. Tasta la prima superficie solida che trova, strusciandosi su di essa con tocchi malfermi prima di accorgersi che ciò su cui è adagiata non è il materasso del mio letto né un cuscino del divano, bensì i muscoli solidi di un pettorale allenato. Sobbalzo e spalanco le palpebre di scatto.
Ma che diamine...?
Mi guardo attorno circospetta. Sono distesa sul divano con la testa appoggiata dolcemente sulla spalla di Hector. Il suo collo è inclinato verso di me. Il capo posato sulla spalliera e il resto del corpo contorto in una posizione scomoda a metà tra il bracciolo imbottito e il mio busto.
Come ci siamo finiti così vicini?
L'ultima cosa che ricordo di ieri sera è che dopo il nostro scambio di battute, un po' fuori le righe, mi sono appoggiata tra i cuscini e mi sono addormentata sotto il suo sguardo ardente che nascondeva una miriade di pensieri inespressi. Non saprei dire quando e come di preciso ci siamo ritrovati avvinghiati. È una situazione ai limiti dell'assurdo. Fino a ieri mattina non faceva che premurarsi di mantenere il nostro rapporto all'interno dei confini lavorativi, mentre adesso mi risveglio in questa insolita posizione domandandomi quando esattamente abbiamo abbassato la guardia per rendere possibile una simile mancanza di razionalità.

Scosto leggermente il viso dalla sua spalla. Il suo respiro mi scivola sui capelli e mi accarezza la fronte mentre sollevo delicatamente il volto per poterlo guardare. Persino immerso in un sonno pacifico è ciò di più divino e peccaminoso che si possa desiderare. La personificazione di un dio che si professa dannato e cela la propria condanna in quei lineamenti scolpiti dai più abili scultori celesti. Le labbra carnose, leggermente schiuse, fanno fremere i miei arti, impossessati dalle più indiscrete intenzioni. La mascella squadrata, ricoperta dalla barba incolta che ne risalta le linee, rende il suo fascino più virile e magnetico. Un connubio di seduzione e potere che mi fa girare la testa. Sono sempre stata attratta dagli uomini come lui, mori e dalla carnagione olivastra, nonostante stessi per sposare un giocatore di basket biondo con gli occhi azzurri, ma l'attrazione che sento di provare in questo momento va ben oltre la bellezza palesemente indiscussa di Hector. È qualcosa di innegabilmente forte e spaventoso che risveglia i miei sensi, intorpiditi dal gelo che li aveva assiderati dopo un anno passato a raccogliere i resti del mio cuore spezzato. Quello stesso cuore che nelle ultime ore sembra aver preso coscienza di qualcosa a me ancora ignoto, decidendo di sfuggire al mio controllo e battere a un ritmo frenetico e tutto suo.

Quel rumore fastidiosamente insistente che mi ha svegliata s'insinua nei miei pensieri una seconda volta, spezzando quell'aura di quiete e bellezza che mi circondava. Il suo squillo petulante solletica le orecchie dell'avvocato strappandolo via dalle profondità del suo sonno. Una suoneria molesta che rimbomba imperterrita nella tasca dei suoi pantaloni, rimbalzando con il suo vibrato contro il mio fianco sinistro. Le sue palpebre si sollevano piano, rivelando la profondità ipnotica delle sue iridi nere, per incontrare il mio viso ancora beatamente adagiato sul suo braccio. La distanza tra le nostre labbra non è che una spanna. I nostri occhi si guardano per un istante di troppo. Mi osserva rapito, disarmato, bellissimo, prima che possa realizzare ciò che sta accadendo e si ridesti. Svelto sposta con delicatezza il braccio su cui ero adagiata e si affretta a rispondere alla chiamata, mentre io mi premuro di prendere le distanze dal suo corpo con altrettanta frenesia. Mi passo una mano tra i capelli e cerco di ricompormi intanto che lo guardo tirarsi sù dal divano e camminare irrequieto sopra il tappeto. Mi sono appena svegliata e non capisco la ragione per cui il mio muscolo cardiaco si stia schiantando veloce contro la gabbia toracica come se fossi sotto l'effetto di epinefrina. Il mio corpo è febbricitante. La mia testa vortica ubriaca dell'odore della sua pelle che sembra aver impregnato i miei vestiti, il mio divano, la mia casa, l'aria che respiro. È un tornado inaspettato che ha travolto all'improvviso il mio mondo lasciandomi disorientata. Sui suoi occhi balena un fastidioso sguardo di rimorso che inspiegabilmente mi provoca una dolorosa fitta alla bocca dello stomaco. La sua testa si starà riempiendo di taciti ammonimenti, maledicendosi per aver perso il controllo al punto da permettermi di superare le sue barriere spinose e lasciarmi avvicinare alle sue fragilità. Mi aspetto che ribadisca la sua posizione in merito al nostro rapporto per quella che è: un avvocato che ha erroneamente valicato il confine tra etica professionale e vita privata per aver ceduto a un misero tocco inopportuno dettato dal nostro incontrollato subconscio. Invece mi ritrovo ad ascoltare la conversazione telefonica che sta avendo con la sua segretaria. «Cosa vuoi, Samantha?». Guarda di sfuggita l'orologio che ha al polso e impreca sottovoce, realizzando che l'alba è sorta da qualche ora facendo saltare i suoi impegni lavorativi mattutini. «No, è tutto ok. Non sono affari tuoi» decreta severo, passandosi nervosamente una mano sul viso ancora assopito su cui si sta già formando un cipiglio nervoso. «Si, sto bene. Te l'ho già detto» ripete, lanciandomi una fugace occhiata indecifrabile che sembra trapassarmi il petto e inchiodarmi in questo dannato divano, colpevole nella sua apparente ingenuità di averci condotto in un contatto più intimo di quanto avremmo voluto. «No, non l'ho dimenticato. Di' al cliente che sono bloccato nel traffico. Sarò in tribunale tra mezz'ora». Il suo respiro si fa più pesante mentre ascolta la risposta della bionda dall'altro capo del telefono. «Persuadi il giudice Thompson. Inventati una cazzo di scusa per temporeggiare. Fai qualsiasi cosa per impedire a John di mandare Jordan al posto mio o giuro che al mio arrivo in ufficio ti licenzio» tuona sprezzante, chiudendo bruscamente la chiamata. Immagino quella povera ragazza sbattere le lunghe ciglia chiare, in un'espressione sottomessa, al suono di quella minaccia. So che Nowak è meticoloso e intransigente a lavoro, ma la maniera in cui sbuffa pesantemente mi suggerisce che il suo umore inquieto sia dettato da qualcosa di diverso della sua dedizione per la professione che ha scelto.

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