Capitolo 17 ~ Non ne vale la pena

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Jess

Da quando Kyle mi ha convinta a presenziare alla sue sedute con il dottor Olsen mi ritrovo costretta a vedere il suo bel faccino tutti i giorni. Interrogandomi su quanto sia sana per il mio cuore ferito questa nuova routine che lo vede protagonista. Ho deciso di dargli l'opportunità di riscattarsi, almeno come amico, ma la veritá è che la sua presenza mi rende nervosa. Tutte le volte che lo guardo ripenso alle nostre litigate e a quel bambino che non c'è più. Chissà se sarebbe stato biondo come lui. Se avrebbe avuto il colore dei suoi occhi o dei miei. Se con il suo sorriso adorabile e le sue guance paffutelle sarebbe stato in grado di tenerci uniti o ci avrebbe divisi ulteriormente. Le mie giornate si susseguono in un continuo e logorante "E se" che mi fa sognare ad occhi aperti quello che so non potrò mai più avere. Quei pensieri mi corrodono l'anima, infliggono martiri al mio cuore, ma sono anche l'unica maniera che conosco per aggrapparmi al ricordo di quella piccola vita che mi è stata strappata via ingiustamente. Se non fosse che nello sguardo di Kyle mi sembra di vederci quello di nostro figlio forse riuscirei a stargli accanto senza soffrire terribilmente, ma la mia mente non fa che propinarmi quella visione. Perciò direi che accettare di restargli vicino, seppur come amica, non è stata la scelta giusta per la mia sanità mentale.

Di positivo c'è che la mia presenza e i modi severi di Olsen lo spronano al punto da spingerlo a dare il massimo durante ogni seduta. Così, anche se a piccoli passi, in pochissimi giorni ha già fatto degli straordinari progressi. Ecco perché, per premiarlo, ho deciso di portargli la sua torta al cioccolato preferita. L'ho conservata nel frigo riservato al personale e ho intenzione di dargliela quando finirò il turno. Al momento sono troppo impegnata per fare un salto nella sua stanza. Oggi il reparto è particolarmente affollato e stiamo facendo un po' fatica a tenere tutto sotto controllo. In più l'orario di visita è appena cominciato e questo significa che presto un'onda di parenti preoccupati invaderà il corridoio.

Persa nei miei pensieri sfoglio le cartelle cliniche che ho sul tablet e cammino verso il bancone delle infermiere, ritrovandomi distrattamente a sbattere la faccia contro qualcuno. L'impatto mi fa rimbalzare ma non perdo l'equilibrio perché due braccia mi si parano attorno al corpo, pronte a farmi da sostegno qualora cadessi. Sollevo piano la testa e m'imbatto nella visione di un petto ampio fasciato da una camicia bianca. Ancora prima che i miei occhi marroni possano scontrarsi con il nero dei suoi ne riconosco il profumo. Ho quasi voglia d'imprecare. «Hector?». Gesù! Perché quest'uomo mi perseguita? Stavolta non sono colpevole di aver ignorato nessuno dei suoi messaggi, almeno credo. Ho il telefono chiuso nell'armadietto da questa mattina perciò potrebbe avermi tranquillamente intasato le notifiche senza che io ne sia a conoscenza.
«Stai bene Jessica? Dovresti guardare davanti a te quando cammini. Avresti potuto farti male o sbattere contro qualcosa di meno accogliente del mio petto». Come al solito manifesta i suoi modi apprensivi e cavallereschi con quel pizzico di supponenza che mi fa diventare matta.
«Che cosa ci fai qui? Non è un buon momento. Sto lavorando». Ignoro la sua ramanzina e parto agguerrita.
«Per te non è mai un buon momento a quanto pare ed io sono davvero stanc...».
«Stanco di rincorrermi, lo so». Finisco al posto suo, alzando gli occhi al cielo. «Eppure spunti sempre fuori, come i funghi» mi lamento incrociando le braccia al petto.
«Come che?». Si acciglia confuso. Quasi mi fa ridere la sua espressione perplessa.
«Come i funghi che proliferano svelti in una sola notte. Sei un fungo, ecco spiegato perché appari ovunque e non riesco a liberarmi di te». Un fungo insidioso, dall'aspetto incantatore e invitante, con la lingua decisamente troppo forgiata e un profumo dannatamente meraviglioso che stordisce i sensi.
«Voi italiani avete interessanti modi di dire. Lo prenderò come un complimento alla mia indole ostinata». Trova sempre il modo di uscirne vittorioso e con eleganza, a quanto pare.
«Cosa vuoi Nowak? Non ho tempo. È davvero un momento pessimo per fermarmi a parlare con te» ribadisco, accorgendomi del via vai di gente che ha cominciato a muoversi intorno a noi.
«Lo sai cosa voglio. Tra meno di dieci giorni devi presentarti in tribunale ed è mio compito preparati». Dio, quella dannata citazione mi sta incasinando sempre di più la vita!
«Va bene. Fissami un appuntamento e facciamola finita. Perché la tiri tanto per le lunghe?» obbietto, vedendo Jenna farmi strani segnali a distanza. Credo che voglia indicarmi la famiglia di qualche paziente che mi sta venendo incontro o qualcosa di simile. Non saprei. Alle volte si comporta in modo ambiguo.
«Perché ti ho già fissato un appuntamento per questo pomeriggio ma non ti sei presentata, di nuovo» replica intanto Hector, facendomi riportare lo sguardo sul suo viso indispettito.
«Un appuntamento di cui ne eri a conoscenza soltanto tu». Sono più che certa di non saperne nulla. Forse è talmente ossessionato dal mio caso che la notte sogna di avere queste conversazioni con me e fissarmi degli appuntamenti immaginari.
«Sai, esiste un aggeggio tecnologico chiamato telefono in cui la gente ti scrive e ti chiama per informarti di cose del genere. Se ti fossi degnata di dargli un'occhiata avresti scoperto che Samantha ti ha chiamato una decina di volte stamattina ed io ti ho scritto un messaggio in cui ti dicevo di avere uno spazio libero per te questo pomeriggio...». Straparla come sempre solo che stavolta non tengo testa ai suoi discorsi, perché mentre lui da voce ai suoi vocaboli articolati i miei occhi captano una figura dall'aria familiare incamminarsi in corridoio. L'ho sempre vista su internet e sui giornali, mai di presenza, ma mi basta osservare il modo in cui si è vestita e la maniera in cui si atteggia per riconoscerla. Minigonna, tacchi a spillo, camicetta trasparente che lascia ben poco all'immaginazione, capelli biondi tirati in una coda alta che mostra i lineamenti spigolosi del suo viso. Marcia lungo il corridoio come se fosse a una sfilata di moda, anche se a me fa pensare più a una prostituita che a una modella. «Jessica mi stai ascoltando?». La voce di Hector mi arriva lontana, ho perso il filo del suo discorso da un po' ormai. Non gli rispondo. Non riesco nemmeno a capire quello che sta dicendo perché la mia mente ha un unico ossessivo pensiero: "Cosa ci fa lei qui?". Credo di conoscerne il motivo e questo invece di rassicurarmi non fa che agitarmi perché pochi istanti dopo la sua camminata altezzosa si arresta fuori dalla stanza di Kyle, confermando i miei timori.
La mia mente si annebbia, offusca tutto ciò che di superfluo mi circonda per concentrarsi solo su di lei, che abbassa la maniglia della porta e gli corre incontro per stringerlo a sé nella stessa maniera intima che farebbe una fidanzata. Li fisso pietrificata attraverso la vetrata della stanza che mi consente una visuale scarsa e lontana di ciò che avviene al suo interno. Vedo ondeggiare i suoi capelli biondi sul corpo di Kyle, la sua testa fare capolino sul suo viso in cerca della sua bocca, ma non riesco a capire qual è la sua reazione al riguardo. Si sta lasciando baciare? Sta ricambiando la stretta? L'ha chiamata lui? Sono rimasti in contatto dopo quella sera? I quesiti mi attanagliano, si susseguono, mi incasinano il cervello. Non so cosa pensare. È tutto confuso. Non riesco a respirare. A giudicare dall'occhiata preoccupata che mi sta rivolgendo Hector il mio viso deve rispecchiare alla perfezione i miei sentimenti. Blatera qualcosa nel tentativo di accertarsi che stia bene ma continuo a ignorarlo. Allora i suoi occhi seguono la direzione in cui sono puntati i miei e in un istante capisce ogni cosa, perché lui ha questa straordinaria capacità intellettiva che lo porta un passo avanti rispetto a tutti, permettendogli di captare i segnali del mio corpo e leggermi dentro come pochi sanno fare. È solo che in questo momento non mi serve a nulla la sua comprensione. Non ho intenzione di passare nuovamente per la vittima della situazione.

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