Capitolo 12 ~ Quei dannati Popcorn!

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Jess

Tra le mille cose che mi riempivano la mente, compresa l'ormai onnipresente figura di Nowak nella mia vita, credevo di non dovermi più preoccupare degli improvvisi colpi di testa di Kyle. Questo pomeriggio invece ho realizzato di sbagliarmi. A quanto pare quel narcisista biondo riesce a trovare sempre il modo di mettere sottosopra il mio mondo e trascinarmi nei suoi problemi. Non mi aspettavo di ritrovarmelo davanti, spalmato tra il pavimento e il muro, in un agonizzante smorfia di dolore. Tutti i limiti che mi ero imposta di mantenere sono andati in frantumi mentre accorrevo in suo soccorso. Vederlo soffrire in quel modo, con gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo affranto, mi ha fatto più male di quanto mi costasse ammettere, tanto da mandare al diavolo il rancore per il suo tradimento e premurarmi di tranquillizzarlo.
L'ho aiutato a rimettersi in piedi e quando il suo corpo malmesso si è aggrappato al mio, in quell'abbraccio disperato e del tutto inaspettato, mi sono paralizzata. Spiazzata dal disagio che ho provato nel saperlo di nuovo così vicino e rendermi conto di provare solo tanta tenerezza per lui. Kyle si sentiva perso e smarrito nonostante si stesse liberando delle sue dipendenze e stesse seguendo una terapia con la psicologa, perché forse quello di cui aveva davvero bisogno andava ben oltre il semplice supporto medico. È solo che mentre il suo corpo atletico mi stringeva forte a sé ho capito che non posso essere io a dargli quello che vuole. Mi ha ferita troppo in profondità per lasciare ancora spazio nel mio cuore al sentimento che nutrivo per lui. Ciononostante volevo smetterla di vivere nel dolore del passato e dargli modo di riconquistare la mia fiducia per riallacciare un minimo il nostro rapporto. Glielo dovevo in nome di quello che ci aveva tenuto uniti per cinque anni. Così eccomi qua, intenta a valicare la porta della sua stanza con in mano un sacchetto di popcorn.

«Ti prego, dimmi che sono al caramello!», esordisce, indicando la busta di carta che ho tra le mani. Annuisco e gli mostro il contenuto. «Oh si! Lo sai che sono i miei preferiti!» esclama, strappandomeli di mano non appena gli sono abbastanza vicino da afferrarli. Ne infila un paio in bocca, gustandone impaziente il sapore. «Quanto mi sono mancati! Non li mangio da...da quando...». La voce gli muore in gola all'improvviso, scemando l'entusiasmo con cui mi ha appena accolto, nel rendersi conto di quello che stava per dire. Non sa se è il caso di continuare la frase. Desolato solleva lentamente lo sguardo per scrutare il mio viso e scorgere la mia reazione prima di aggiungere qualcosa.
«Da quando sono corsa in bagno a vomitare perché mi davano la nausea?», finisco al posto suo, togliendolo dall'imbarazzo che inevitabilmente lo rende impacciato. Annuisce debolmente. Le sue iridi azzurre si scusano in silenzio per aver rievocato inconsciamente quei ricordi. «Nemmeno io li ho più mangiati da allora. L'odore mi da ancora la nausea, perciò...temo che dovrai sacrificarti e mangiarli tutti tu» concludo, sistemandomi sulla poltroncina accanto al suo letto. Sfoggio l'espressione più neutra e impassibile che sono in grado di fare, fingendo che quel piccolo dettaglio non abbia rievocato in me la paura e la confusione di quella sera. È da quando sono andata a comprarli nella camionetta in fondo alla strada, in realtà, che ripenso alla sua espressione allarmata e smarrita quando ha temuto che fossi incinta.
«Se ti danno così tanto fastidio possiamo anche buttarli, non m'importa. Preferisco averti accanto che mangiarli». Abbandona la busta di carta sul comodino e mi osserva amareggiato, con la bocca incurvata all'ingiù da un'espressione delusa. «Non mi sono seduta lontano da te per via dei popcorn» chiarisco, rannicchiandomi con le ginocchia sulla poltrona per mettermi più comoda. A giudicare dal modo in cui le sue labbra si aprono e poi si richiudono, sembra stia faticando per trovare le parole giuste da dire. Mi aspetto che mi chieda il perché di quel distacco invece trova da sé la risposta. «Jess per favore non affrontiamo questo discorso proprio adesso. Volevo solo passare una serata tranquilla con te senza pensare ogni due minuti alla situazione in cui ci troviamo e al male che ti ho fatto. Perciò ti prego non lasciare che quei ricordi rovinino questo momento e mettiti qui, vicino a me». Il modo in cui m'implora m'intenerisce ma mi fa anche imbestialire, perché ho come l'impressione che stia minimizzando quello che provo. Indugio ancora qualche secondo sulla poltrona, indecisa su come comportarmi. «Coraggio Puffetta! Ho promesso che ti avrei fatto scegliere il film» mi incalza. Sospiro. Dopotutto ha ragione. Rimuginarci ancora sù non ha senso. È solo che ripensare al disprezzo che gli deformava il viso all'idea di avere un bambino mi fa ancora male come quella sera. È uno di quei ricordi che quando tornano in mente fanno riaffiorare tutte le emozioni negative che gli girano intorno, riportando a galla quel dolore a lui ignoto. «Va bene, arrivo» sussurro arresa. «Ma tieni quei popcorn al caramello lontani da me» lo avverto mentre mi appoggio sul letto, stando ben attenta a non toccarlo. Non voglio essere scontrosa ma nemmeno fingere che abbia dimenticato le frasi che mi ha urlato addosso quella notte.
«Vieni più vicino» si lamenta.
«Sto bene dove sono» borbotto, accucciata su me stessa con la schiena contro la sponda del letto opposta a lui.
«Non è vero. Sei tutta storta e da lì non vedi nemmeno bene lo schermo del PC» obietta aprendo il portatile.
«Ci vedo benissimo invece».
«Dio, Jess! Continuerai a mantenere le distanze per tutta la sera o la smetterai di essere arrabbiata per uno stupido litigio avvenuto più di un anno fa?». Oh come mi conosce bene!
«Non è stato uno stupido litigio, lo sai» rettifico ferita.
«Lo so», sospira debolmente. «E mi dispiace ma credo che tirarlo fuori adesso non faccia bene a nessuno dei due. Scusami se ho riportato tutto a galla con quella frase, non volevo farti stare male. Sembra che non ne combini una giusta. Temo di non possedere la garbatezza e il linguaggio eloquente del tuo affascinante avvocato tutto d'un pezzo, ma ce la sto mettendo davvero tutta per rimediare». Apprezzo le sue scuse ma non riesco a dargli i dovuti riconoscimenti perché il suo cenno a Nowak mi coglie di sorpresa. «Aspetta un attimo. Come fai a sapere di Hector? Chi ti ha parlato di lui?» mi ritrovo a chiedere accigliata. Sapevo che i pettegolezzi su di me e l'avvocato giravano tra i gossip di reparto ma non credevo che sarebbero arrivati a lui.
«Lo chiami persino per nome» sbotta sconcertato. «Allora è vero che vi frequentate. È per questo che sei così distante da me ultimamente?» insinua, accampando ipotesi infondate.
«Come puoi dire che ti sto distante se vengo a visitarti praticamente ogni giorno?». Questo suo continuo chiedermi di concedergli di più sta diventando estenuante. Ho promesso che gli sarei stata accanto e gli avrei dato il mio aiuto, ciò non significa che possa avanzare pretese di altro genere. «E poi chi ti ha detto che io ed Hector ci frequentiamo? Startene chiuso qui dentro a origliare i pettegolezzi delle infermiere ti sta dando alla testa» osservo, specchiandomi nel suo sguardo irrequieto.
«Può darsi ma non girarci intorno. Voglio sapere se è vero» insiste imbronciato, come se potesse permettersi di mettere sù il muso e indagare sulla mia vita privata.
«Per la cronaca non credo di doverti dare delle spiegazioni su chi frequento» ci tengo a precisare. «Ma giusto per fugare ogni dubbio ti garantisco che si sbagliano. Non c'è niente tra me e lui. Sono solo una sua cliente» chiarisco, nonostante una piccola parte di me non è del tutto certa di quello che dico.
«Allora perché sembrate molto in confidenza e vi hanno visto insieme in reparto già ben due volte?» continua imperterrito, in possesso di più dettagli e informazioni di quante immaginassi. Gesù! Devo tappare la bocca a quelle pettegole. «Perché è il mio avvocato e discutiamo degli assurdi accordi che mi rifila tua madre». Evito di raccontargli della nostra serata insieme, della faccenda della borsa, della maniera in cui ci piace sfidarci a vicenda e dei suoi modi di fare estremamente protettivi. Non ho ancora ben capito che genere di rapporto si stia instaurando tra ed Hector e non credo proprio che metterlo a nudo con Kyle sia la cosa migliore da fare. «Quindi non è vero che è pazzo di te e flirta sfacciatamente?» indaga circospetto.
«Certo che no! Hector non lo farebbe mai». È un uomo troppo rispettoso e controllato per assumere un atteggiamento così impudente.
«Ce l'ha un cognome quest'avvocato o ti rivolgi a lui chiamandolo solo per nome?» starnazza fumante di gelosia.
«Non sono affari tuoi» replico incrociando le braccia al petto.
«Invece lo sono perché mentre io sono bloccato in questo dannato letto, dentro questo cazzo di ospedale, lui fa spudoratamente la corte alla mia ragazza!» protesta, scompigliandosi nervosamente le ciocche bionde.
«Ex ragazza» lo correggo istantanea, nel caso quel piccolo dettaglio gli fosse sfuggito di mente.
«Non fa alcuna differenza» sorvola con una scrollata di spalle.
«Oh eccome se la fa!» preciso stizzita.
«No, non la fa perché tu sei ancora mia Jess» asserisce con estrema convinzione. «Devo solo riuscire a farmi perdonare ma il tuo cuore non ha mai smesso di appartenermi». La maniera disarmante in cui i suoi occhi chiari puntano il mio viso, reclamando ciò che sostiene appartenergli ancora, dovrebbe rispolverare in me un'emozione inaspettata o anche solo un formicolio sulla pelle, invece non fa che innervosirmi. Perché io sua non lo sono più da tempo e questo lo sa benissimo visto che è stato lui a decidere di sostituirmi con un'altra. «Un po' presuntuoso da parte tua pensarla così, Evans, non trovi?» lo rimbecco sulla difensiva.
«Credevo avessi un debole per i narcisisti presuntuosi». Non lo definirei debole quanto più una stramaledetta calamita.
«Sei fuori strada», taglio corto, ma lui non demorde. Accosta il viso al mio, accorciando ogni genere di distanza da me imposta. «Penso proprio di essere su quella giusta, invece». Mi ritrovo a fissare la sua bocca mentre pronuncia quelle parole a un soffio dalla mia. Le sue dita si sollevano caute, posandosi sulla mia guancia. Con il pollice mi accarezza piano gli zigomi. Una consuetudine di gesti familiari che risvegliano la nostalgia di quell'amore passato che abbiamo condiviso, ma che accendono anche un irrefrenabile rabbia per l'errore che ha commesso. «Smettila Kyle» mi lamento sottraendomi al suo tocco.
«Di fare cosa?» chiede con aria innocente.
«Di giocare con il mio cuore. Non farlo. Non confondermi ulteriormente le idee. Abbiamo detto che avremmo provato a essere amici, questo non ti da il permesso di toccarmi in quel modo». Non voglio essere scostante o fargli credere che non m'importi di lui, ma non posso nemmeno fingere che mi stia bene il suo modo di fare. Siamo adulti e maturi abbastanza da capire che anche se l'amore che ci ha uniti è stato intenso non c'è più possibilità di tornare insieme. Non è un semplice strappo che bisognerebbe rattoppare ma tante piccole spaccature che un po' per volta hanno disintegrato quello che avrebbe dovuto tenerci uniti. «Sto solo cercando di dimostrarti che ci tengo ancora a te» sussurra, affondando le dita tra i miei capelli in quella stessa maniera che era solito fare quando stavamo accoccolati nel nostro letto. D'improvviso diventa tutto troppo forte e intenso da sopportare. Sento di essere sul punto di esplodere. «Perché non l'hai fatto prima allora?». Lo allontano di scatto. Ho bisogno di guardarlo negli occhi mentre gli rivolgo quelle accuse. Ho bisogno di leggere nel suo sguardo la verità sui dubbi che mi attanagliano da mesi. «Perché hai aspettato così tanto tempo e non hai cercato di rimediare subito?» lo accuso.
«Perché faceva troppo male in quel momento» ammette rammaricato. «Non avevo il coraggio di guardarti negli occhi e vederci riflesso il dolore che ti avevo causato». Il suo volto si rabbuia, infestato dai sensi di colpa, il mio si angoscia consapevole della codardia emersa in quelle parole. Quelle piccole spaccature adesso sembrano espandersi fino a lacerare ogni cosa. «Sei fuggito via perché credevi che fosse più facile andarsene piuttosto che affrontare la situazione» realizzo ferita, anche se in fondo è quello che ho sempre sospettato. «Mi hai lasciata da sola a fare i conti con quel dolore devastante per un anno intero e adesso pretendi che io faccia finta di nulla, mi lasci toccare da te e tutto torni come prima solo perché rivedermi ti ha fatto capire quanto sia stato stupido il tuo comportamento». Sospiro. Fa male in una maniera che non guarirà mai. Lui non ha la minima idea di quello che ho vissuto, del vuoto che mi è rimasto dentro e mi fa sentire incompleta ogni stramaledetto giorno quando mi guardo allo specchio, accarezzo la pelle nuda e ripenso che hanno scavato nel mio ventre per portarsi via una parte di me, di noi. Non voglio litigare adesso, dirgli quello che sono certa non capirebbe in ogni caso, ma sono davvero stanca di dover lottare con il peso di questo asfissiante dolore. «Non è così che funziona» concludo affranta.
«Lo so». Si stropiccia il viso sbuffando pesantemente. «Lo so che è tutta colpa mia. Ho rovinato il nostro rapporto perché non comprendevo quanto fosse speciale quello che avevamo, ma da quando ti ho persa l'ho capito. Ho capito che vivere senza di te non è lo stesso. Persino giocare senza saperti lì a fare il tifo non mi suscita più le stesse emozioni. E adesso mi ritrovo qui, da solo, chiuso in questa stanza a pensare di continuo a noi due, a te. Io ti rivoglio nella mia vita Jess. Sto impazzendo senza di te. Sono disperato». La percepisco davvero quella disperazione. La riconosco la frustrante sensazione di desiderare qualcuno al tuo fianco consapevole che non puoi riaverlo indietro. È la stessa logorante pena che mi ha dato il tormento quando lui è andato via.
«Mi dispiace, non ho mai voluto che soffrissi così e detesto l'idea di saperti chiuso qui a torturarti giorno e notte». Sono sincera, voglio che sappia che nonostante tutto non gli augurerei mai di stare male. «Però sii onesto con te stesso, Kyle. Come credi che possa fidarmi di te adesso? Chi mi garantisce che alla prima difficoltà non fuggirai un'altra volta?». Non mi aspetto una risposta che mi assicuri che tutto d'un tratto possa tornare a fidarmi di lui. Voglio solo che capisca perché non sono in grado di ricominciare da capo.
«Posso garantirtelo io» afferma senza indugio. «Sono cambiato. La tua mancanza mi ha cambiato. Sono un uomo devastato ora, che farebbe qualunque cosa per riconquistarti». La sua ostinatezza mi sorprende ma non basta a rassicurarmi. Scuoto la testa. So quali sono i miei sentimenti per lui e non voglio cadere un'altra volta in quella spirale negativa. Noi due siamo in grado di infliggerci le peggiori pene quando le cose non vanno secondo i nostri piani. Non possiamo ricostruire una relazione se continuiamo ad avere vedute diverse sul futuro e il passato grava come un macigno sui nostri cuori. «Mi stai incasinando il cervello, come sempre» borbotto, nascondendo il volto tra le mani. Non posso permettermi questo genere di distrazioni adesso, non mentre cerco di rimanere concentrata per il suo intervento e devo occuparmi di quella dannata citazione.
«Sapessi quanto è incasinato il mio!» dichiara, costringendomi a tirare sù il viso e scontrarmi con i suoi occhi. «Eppure non ho dubbi su noi due». Quella dichiarazione schietta mi sbatte addosso come un pugno sul naso. Mi stordisce e non fa che confondermi. Vorrei tanto dirgli che anch'io non desidero altro che noi due insieme come una volta, ma la verità è che io di dubbi in testa ne ho un miliardo e non virano certo verso un futuro felice insieme. «Mi dispiace Kyle...io...». Cerco di trovare le parole giuste per non ferirlo, quando il suono del mio cercapersone mi distrae. Sono reperibile in reparto perciò mi affretto a vedere di che si tratta. «Scusami, devo andare. Hanno bisogno di me in sala operatoria» lo informo, tirandomi su per correre a cambiarmi.
«Te ne vai via così? E il film?» si lamenta. A giudicare dall'espressione delusa che ha sul volto il nostro confronto appena terminato non è andato per il verso che sperava, tutt'altro sembra averlo angosciato ancora di più. Vorrei rimediare e lasciarlo più sereno e meno afflitto di così, ma non ho molto tempo a disposizione da dedicargli.
«Mi dispiace non posso trattenermi. Ti porto la colazione domani mattina per farmi perdonare» gli prometto, cercando di mostrarmi più amichevole.
«Per poi fuggire via e tornare a lavorare?» brontola. Non aspetta nemmeno che gli risponda per dare voce ai suoi desideri. «Non è la colazione che voglio ma te».
«Kyle...». Mi prendo un momento per raccogliere le idee e trovare le parole giuste per chiarire la mia posizione. «Io ci sarò sempre per te quando ne avrai bisogno. Puoi chiamarmi in qualsiasi momento e parlarmi di quello che vuoi, ma non chiedermi più di questo. Non posso darti altro che il mio sostegno e la mia amicizia».
«Non credo che mi basti, Jess. Io rivoglio indietro anche il tuo cuore». I suoi occhi avviliti mi trafiggono il petto. Non ho mai voluto che tra di noi finisse così. Non è colpa mia se tutto è andato in frantumi invece di resistere alle intemperie. Vorrei potergli dare una speranza a cui appigliarsi, dirgli che forse con il tempo andrà meglio, ma non ho intenzione di illuderlo. «È troppo tardi per quello, mi dispiace» mi limito a mormorare tristemente, lasciando la stanza.

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