Capitolo 10 ~ Una spiacevole emergenza

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Jess

Finalmente mi sono liberata di Nowak. Sono quattro giorni ormai che non lo vedo e non lo sento. Dopo la nostra interminabile serata insieme si è premurato il giorno seguente di spedirmi via email l'accordo di Kristen in versione rivisitata, mentre io mi sono limitata a firmarlo e farlo recapitare alla mia ex suocera senza avere contatti con l'avvoccato. Nonostante detesti ammetterlo ha fatto un ottimo lavoro. Al contrario di quanto stipulato nell'accordo precedente mi ha reso esente da responsabilità che riguardano complicazioni non prevedibili. Peccato che tutto questo non è andato a genio a Kristen, la quale mi ha fatto ricevere una terza versione rivisitata al mio arrivo in ospedale.
Mi sarebbe toccato richiamare Nowak e chiedergli di spiegarmi tutte le clausole contenute in quel dannato documento che, con molta probabilità, mi avrebbero incastrato, ma come ho già detto mi sono liberata di lui quattro giorni fa. Ho chiamato la sua segretaria, la graziosa bionda di nome Samantha, per disdire l'appuntamento di questa mattina. Le ho chiesto esplicitamente di assegnarmi a un altro legale del loro studio. "Uno che non va d'accordo con Nowak" ho specificato. "Ne è sicura?" si è accertata lei. Non potevo vederla ma avrei giurato che in quel momento le sue sottili sopracciglia bionde fossero aggrottate in un'espressione esterrefatta. "Il signor Nowak non la prenderà per niente bene" ha sospirato. Certo che ne ero sicura e certo che non l'avrebbe presa bene. Volevo farlo imbestialire di proposito. Quell'uomo, nonostante i suoi modi di fare garbati ed esageratamente rispettosi, era l'essere più presuntuoso e arrogante che avessi mai conosciuto. Una freccia scoccata dritta nel suo petto gonfio d'orgoglio sarebbe stata la mossa migliore per farlo scendere dal suo piedistallo dorato. "Ne sono più che sicura!" ho replicato convinta. "Mi assegni all'avvocato Jordan o mi rivolgerò a un altro studio legale" l'ho minacciata. Avevo sentito dire in giro, informandomi qua e là con i colleghi che praticavano il suo studio, che tra i due sembrava non scorresse buon sangue. Quale modo migliore di fargliela pagare se non scegliere di essere assistita dal suo rivale?
Ad ogni modo, nonostante gli ultimi quattro giorni siano stati un vero inferno per me, visto la preoccupazione che mi affligge con l'avvicinarsi dell'intervento di Evans e la sua disintossicazione, mi sento più leggera ora che ho dato a quell'avvocato arrogante e presuntuoso quel che merita.

Mentre sono concentrata a riparare l'arto del mio paziente, steso sul mio tavolo operatorio da quasi un'ora ormai, non faccio nemmeno caso al suono del telefono che squilla dentro la sala. Mi sento presa unicamente dal mio lavoro come non accadeva da tempo. Un infermiere si allontana per rispondere intanto che io chiedo allo strumentista di passarmi un bisturi dalla lama più piccola. «Dottoressa Sullivan è per lei» m'informa Lars, reggendo il telefono. Continuo indisturbata a svolgere il mio lavoro. Non sollevo nemmeno gli occhi dal tavolo operatorio. «Di che si tratta? Sono nel bel mezzo di un intervento. Non posso lasciare» replico distrattamente.
«Dicono che è importante. La desiderano urgentemente in reparto». Riporta le parole che gli stanno riferendo dall'altro lato della linea telefonica con un certo grado di allarmismo ed io mi agito di conseguenza. Interrompo i passaggi che stavo eseguendo per non distrarmi e concentrare la mia attenzione su di lui.
«Che succede? Evans sta male?» domando, temendo che si tratti di Kyle. Perché per qualche assurda ragione la mia mente torna sempre a lui, come se da un momento all'altro potesse accadergli qualcosa di brutto ed io non fossi lì per tempo, capace di salvarlo. Forse sono solo reduce dell'ansia e degli incubi che mi attanagliano da recente la notte, ma sto diventando più apprensiva del dovuto con quel narcisista biondo dagli occhi da cucciolo. «No dottoressa, non si tratta di Evans» mi rassicura Lars. «Dicono che c'è un'altra emergenza».
«Non c'è Mitchell di turno in reparto in questo momento?». Normalmente non farei tante storie per una chiamata d'emergenza ma sto eseguendo un passaggio delicato e preferirei non allontanarmi dalla sala proprio adesso.
«Chiedono di lei il prima possibile» dichiara, allargando le braccia come a dirmi che non ho altra scelta se non quella di andare.
«Va bene. Digli che sto arrivando» borbotto arresa. Per insistere tanto dev'essere davvero importante, non mi chiederebbero di lasciare la sala operatoria altrimenti. «Continua tu per favore» chiedo al secondo chirurgo, assistito dallo specializzando del primo anno. «Torno appena possibile». Esco dalla sala operatoria di fretta. Tolgo il camice e i guanti sporchi di sangue. Mi libero della mascherina e dalla cuffietta sulla testa. Lavo le mani e corro in reparto più velocemente che posso.
Non appena le porte dell'ascensore si aprono, affacciandosi sul piano superiore, mi aspetto come minimo un paziente in rianimazione o un reparto super affollato che Mitchell da solo non riesce a gestire. Invece regna la calma più assoluta. Davanti a me, in piedi al centro del corridoio, c'è l'uomo che è diventato la mia persecuzione. Dietro di lui Jenna che si gira tra le dita uno dei suoi riccioli neri e mi guarda con un'espressione di scuse che non basterà affatto a perdonarle questo stupido giochetto. Non posso credere che si sia lasciata corrompere dal fascino di Nowak. Potrei farla licenziare per quest'assurdo teatrino.
«Saresti tu l'emergenza?» domando andandogli incontro. Il tono duro e un'espressione incredula sul viso che nasconde l'ammontare di rabbia che ho dentro. Non può essere arrivato a tanto solo per capriccio. Mi sembra inverosimile. È davvero così egocentrico da pensare che debba prestargli attenzioni a discapito del mio lavoro? Crede forse di poter avere tutto il mondo ai suoi piedi?
«A quanto pare l'unico modo per mettermi in contatto con te era quello di fingere un infarto o dire di avere l'arteria femorale recisa. Ho preferito la seconda. Non sono mai stato debole di cuore» ironizza. Un sorrisetto beffardo prende forma sulle sue labbra carnose. Avrei voglia di toglierglielo dalla faccia a suon di schiaffi. Come può essere tanto arrogante?
«Ti rendi conto che mi hai interrotto nel bel mezzo di un intervento per i tuoi futili motivi egoistici?» ringhio, avanzando con passo minaccioso verso di lui. Gli occhi ridotti a due fessure che vorrebbero fulminarlo, anzi no tagliuzzarlo come se fossero lame appuntite.
Alza una mano come a volersi difendere dalla mie accuse e scuotendo l'indice nella mia direzione puntualizza il suo dissenso. Le sue iridi nere mi osservano cariche d'indignazione, neanche fossi io quella ad averlo interrotto durante un intervento delicato. «Non la metterei esattamente in questi termini. Non sono qui per egoismo ma per darti questa. La riconosci?». Solleva l'altro braccio e dondola davanti al mio sguardo meravigliato la borsa che mi è stata rubata quattro giorni fa. La regge trionfante con un dito. Uno smorfia compiaciuta prende vita sul suo volto dalla pelle olivastra.
«Devo ammettere che ti dona» commento tagliente, sfoggiando un sorriso derisorio mentre allungo una mano e provo a riprendermela. Lui la tira indietro di scatto, dondolandola a un altezza che non riesco a raggiungere. Prepotente. Vuole prendersi gioco di me?
«Stavo proprio pensando di comprarne una uguale, poi la polizia mi ha preceduto donandomi questa. Credo che la userò per le occasioni speciali. Potrei abbinarci una cravatta color pesca. Non trovi che si addica al mio incarnato?» osserva sarcastico, accostandosi al viso il manico rosa come se fosse realmente deciso a farne uso personale.
Infuriata saltello con le braccia rivolte verso l'alto e gliela strappo di mano bruscamente. Odio sentirmi così piccola in confronto a lui. Non è come stare accanto a Kyle ed essere la sua Puffetta. Da più l'impressione di essere al cospetto di un gigante dalle spalle insormontabili.  «Perché hanno chiamato te per il ritrovamento e non me?» mi lamento, abbassando gli occhi verso la borsa per perlustrarne velocemente l'interno. Sembra contenere più o meno gli stessi oggetti che ricordo di averci messo dentro, ad eccezione dei contanti e della carta di credito che ho già denunciato.
«Perché non rispondi alle loro chiamate e nemmeno alle mie» replica accusatorio. Non si premura neanche di nascondere il fastidio che viene fuori dalle sue parole. Pare non aver digerito il fatto che abbia ignorato ogni suo tentativo di mettersi in contatto con me.  
«Ero in sala operatoria» sbotto un po' troppo furente, sollevando lo sguardo verso il suo volto stizzito. Non devo spiegazioni a nessuno, tantomeno a un avvocato conosciuto per disgrazia quattro giorni fa.
«Che strano. Pensa che io ricordavo di avere un appuntamento con te questa mattina» afferma storcendo il muso e corrugando le folte sopracciglia scure in una velata intonazione provocatoria. «Saresti dovuta essere nel mio ufficio proprio adesso. Invece sei ancora qui». Solleva il polso e rivolge un'occhiata fugace al suo orologio costoso. «Sono le dieci e trentasette minuti. Sei in ritardo di più di mezz'ora a quanto pare, dottoressa» annuncia beffardo. Un'espressione sfrontata che divora da capo a piedi la mia figura minuta come se volesse imprimere nella mente ogni particolare della piccola creatura che l'ha sfidato deliberatamente.
«Ho chiamato la tua segretaria e ho disdetto l'appuntamento» lo informo, lasciando scivolare la borsa sul pavimento per incrociare le braccia al petto e reggere senza alcun timore il confronto con lui. Vuoi la guerra, avvocato? Non hai la minima idea di quanto possa essere vendicativa.
«Si da il caso che io non lo sapessi» precisa indispettito. «E anche se fossi stato avvisato per tempo non mi sarei trovato d'accordo con la tua decisione» ci tiene a farmi sapere, visibilmente irritato dal colpo basso che gli ho sferrato. «Non puoi giocare a tuo piacimento con i miei impegni. Le mie giornate sono frenetiche e i miei minuti preziosi. Credi che sia facile ottenere un appuntamento con me?».
«Perché credi forse che io passi le mie giornate a saltellare per i boschi?» prorompo adirata. Cristo! Cos'è quest'insana voglia che ho di urlargli addosso? Come fa a farmi andare su tutte le furie ogni volta? «Io mi prendo cura delle persone. Gestisco situazioni d'emergenza e non mi posso permettere di stare ai tuoi giochetti da maniaco del controllo» protesto, gesticolando animatamente per placare il desiderio di riversargli quei colpi contro il petto. «Ti rendi conto che cinque piani sotto di noi c'è un uomo con una caviglia aperta che stavo tentando di salvare?».
«E tu ti rendi conto che io non sono il tuo fattorino e mi hai costretto a venire fin qui perché non ti sei presentata nel mio ufficio?» chiede di rimando. Mi sorprende come possa riamanere perfettamente controllato e mantenere un volume di voce basso nonostante i suoi lineamenti rigidi dimostrino chiaramente quanto la cosa lo disturbi all'inverosimile. Sarà anche garbato, gentile e rispettoso, ma di certo non è abituato a prostrarsi al cospetto di qualcuno che l'ha rifiutato come ho fatto io. 
«Sei stato tu a insistere tanto affinché lasciassimo il tuo numero di telefono alla polizia» gli ricordo, allargando le braccia e sollevando le sopracciglia come a volermene tirare fuori e addossargli tutta la colpa.
«Ciò non includeva il fatto che avrei dovuto riportarti la borsa fino a qui» ribatte deciso. Fermo in quell'atteggiamento composto e dannatamente rigido, fasciato dal suo completo elegante che trasuda soldi e potere da ogni parte. No, direi decisamente che non è affatto abituato a prostrarsi per qualcuno come l'ho appena costretto a fare.
«Non ti ho chiesto io di farlo. Potevi lasciarmi un messaggio. Sarei venuta a prenderla più tardi» replico tranquilla, non badando minimamente a come questa mia calma apparente lo faccia imbestialire ancora di più. Lo capisco dal modo in cui sospira nel tentativo di mantenere il controllo poco prima di ribattere.
«Non rispondevi al telefono ed era urgente» sibila in sua difesa. Le iridi nere, stupende e ammalianti, che mi fissano indignate.
«Portarmi una borsa era più urgente dell'intervento che stavo svolgendo di sotto?». Dio, aiutami tu, ti prego! Aprigli la mente, concedigli una visione più chiara e completa delle cose altrimenti lo faccio fuori. 
«No, era urgente che mi spiegassi perché diamine non ti sei presentata nel mio ufficio e solo dieci minuti prima del nostro appuntamento ho scoperto che hai cambiato avvocato. Come hai potuto farlo?». Il modo permaloso e risentito in cui pronuncia quelle parole e mi punta addosso il suo sguardo rancoroso, come se avessi inconcepibilmente ferito il suo orgoglio, mi strappa una risata sardonica. A quanto pare ho ottenuto esattamente quello che volevo. Uno a zero per me, avvocato.
«Ti avevo avvisato. Se solo mi avessi ascoltato l'altra sera, invece di ignorare le mie parole e farneticare una strategia di difesa, la mia decisione non ti avrebbe sorpreso poi così tanto» mi discolpo con un'espressione noncurante sul volto che mira a farlo innervosire ancora di più.
«Non mi avevi detto che avresti scelto Jordan come tuo avvocato. Quello è...». Fa una smorfia prima di trovare le parole esatte per manifestare il suo screzio.
«Il tuo avversario?» concludo al posto suo, faticando a trattenere il sorriso divertito che vorrebbe esplodermi sulla faccia. Per qualche assurda ragione adoro farlo uscire fuori di testa.
«Stavo per dire "peggior associato"» mi corregge. Le palpebre socchiuse che esprimono dissapore. «Patteggerà e quella non è una causa per cui vale la pena patteggiare. Lo sai questo, vero?» grugnisce contrariato. «Se mi lasciassi fare il mio lavoro, come avevamo concordato all'inizio, ti scorderesti anche di aver ricevuto quella citazione».
«Certo e vuoi che ti offra una cena in cambio» borbotto scocciata. Proprio quando pensavo di essermi liberata di lui eccolo che si ripresenta più agguerrito che mai.
«Fanculo la cena, Jessica! Non m'importa di mangiare ostriche e caviale insieme» sbotta improvvisamente, trasudando di una nuova determinazione che sembra nascere dall'affronto insostenibile di essere stato sostituito con il suo avversario. «Tu non puoi permettere a un demente come quello di rovinarti la carriera. Lascia che me ne occupi io» mi prega, anche se sono più che certa che non userebbe mai esplicitamente il verbo pregare o supplicare nei confronti di qualcuno.
«Perché?» domando a quel punto, curiosa. Ci sarà una ragione che lo spinge a volersi occupare a tutti costi di questa faccenda.
«Perché sono il migliore. È ovvio» risponde. Un'espressione orgogliosa e piena di sé si forma sul suo bellissimo volto sfrontato. Soffoco a fatica la voglia di tirargli un ceffone solo per scalfire quelle labbra perfette e insolenti che si ritrova.
«No. Voglio sapere perché dovrei lasciartelo fare visto che nemmeno lo volevi accettare il mio caso. Cos'è cambiato adesso?» indago, incrociando nuovamente le braccia al petto in attesa di una spiegazione esaustiva, decisa ad arrivare al nocciolo della vicenda.
«È una questione di principio» ribatte spavaldo, riassumendo quella posizione rigida e altezzosa che sembra usare come arma di difesa quando vuole rivendicare il suo potere.
«Quindi riguarda sempre te. Tutto ruota intorno all'egocentrico Hector Nowak il cui orgoglio non può essere intaccato dalla perdita di questa partita con la sottoscritta». Scuoto la testa mentre sbatto le palpebre incredula. Dovevo immaginarlo che riguardasse semplicemente il suo ego. Non gli importa davvero di me, della mia innocenza o di risolvere i problemi in cui mi sono imbattuta. È megalomane proprio come pensavo. «Sai che c'è? Ho sentito abbastanza, Hector. Me ne vado!». Stanca di perdere altro tempo con lui gli volto le spalle infuriata e m'incammino verso l'ascensore che conduce alle sale operatorie. Ho di meglio da fare che stare qui a battibeccare con un arrogante avvocato di Manhattan.
Ad accompagnare la mia camminata isterica ci pensa il suono del suo respiro rumoroso, chiaro segno che non ha gradito il mio velato invito ad andarsene a fanculo. «Perché mi hai ricordato cosa mi ha spinto a diventare avvocato» ammette a gran voce, a quel punto, rispondendo alla mia precedente domanda. Mi fermo di colpo. Sbaglio o si è appena arreso? Mi giro piano nella sua direzione e inarco un sopracciglio in attesa che continui. «Non sono i soldi, il successo e i clienti importanti che mi hanno reso quello che sono, ma la sete di giustizia e la voglia di lottare per gli innocenti. Per chi come te si spende per il prossimo e merita di essere difeso e protetto difronte le accuse ingiuste di uno scellerato ricco e impulsivo che è solo in cerca di una vittima sacrificale». Adesso ha catturato completamente la mia attenzione. Avanzo di qualche passo per accostarmi nuovamente difronte al suo corpo massiccio. I miei occhi dalle sfumature verdi e marroni si scontrano con il nero luccicante dei suoi, finalmente privi di ogni altezzosità per rivelarmi la bontà che custodiscono. «Ho studiato legge perché volevo proteggere i più deboli e dimostrare al mondo che questa città merita di meglio di discriminazioni, attentati, rapine, maltrattamenti e violenze» continua. «Perciò se vuoi che uno stupido idiota che è entrato ad Harvard solo per nepotismo ti faccia patteggiare in una causa come quella fai pure, non ti impedirò di farlo, ma se vuoi vincere con un avvocato che crede nel suo lavoro e condivide i tuoi stessi ideali allora lascia il caso nelle mie mani». C'è qualcosa nel suo sguardo, nel tono della sua voce, nella sincerità delle sue parole, che nasconde delle ferite ancora aperte. Un dolore acuto che si ostina a camuffare dietro quella corazza di arroganza e sfrontatezza che lo rende più forte. Forse dovrei lasciar perdere tutto, voltargli le spalle e andare via, ma la mia empatia mi costringe a restare, a indagare, a scoprire quale torto gli è stato fatto per avere una tale sete di giustizia. Quel lato di me fragile intravede in lui le similitudini che affliggono il mio cuore da quando ho perso papà. Mi fa pensare che se io ho scelto di prendermi cura del prossimo con dedizione, solo per alleviare le sofferenze degli altri e impedire loro di patire il dolore alla mia stessa maniera, probabilmente anche lui ha deciso di schierarsi a favore della giustizia per il medesimo motivo. «Mi hai convinta, Nowak. Il caso è tuo» accetto, spinta dal tormento racchiuso nei suoi occhi. «Dovrai anche rivedere quel dannato accordo perché la dottoressa Evans me ne ha fornito una nuova versione» borbotto, scuotendo la testa esasperata al pensiero di dover affrontare nuovamente Kristen.
«Vorrà dire che le faremo il culo» afferma lui con un sorrisetto trionfante, felice di aver ottenuto il mio consenso a procedere. «Ti aspetto alle quattro, nel mio ufficio, giovedì pomeriggio. Non un minuto più tardi, mi raccomando» precisa puntiglioso.
«Vada per la quattro» acconsento, nonostante vorrei oppormi per il semplice gusto di contraddirlo. «E grazie» aggiungo riconoscente. «Per la borsa intendo». La sollevo da terra per portarla con me e chiuderla nell'armadietto dove finalmente sarà al sicuro. In fondo, nonostante l'arroganza con cui si è presentato qui, è stato gentile a riportarmela.
«A giovedì, dottoressa» mi saluta. Accenna un sorriso e aspetta che scompaia dalla sua vista prima di andarsene. Sfugge un sorrisetto pure me. Come mi sono imbattuta in un tipo così affascinante e al tempo stesso odioso? Mi avrà anche convinta ad affidargli il caso ma ciò non significa che ignorerò il siparietto che ha messo in atto oggi. Non ha la minima idea di quello che gli farò patire per vendicarmi di questa irragionevole interruzione.

Eccomi qui con un nuovo capitolo su Hector 😊 Il prossimo dovrebbe essere su Kyle, ma ci tengo a precisare nuovamente che ho fatto delle modifiche alla parte iniziale della storia e ho rimosso 12 capitoli per accorpare tutto e rendere le cose più ...

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Eccomi qui con un nuovo capitolo su Hector 😊 Il prossimo dovrebbe essere su Kyle, ma ci tengo a precisare nuovamente che ho fatto delle modifiche alla parte iniziale della storia e ho rimosso 12 capitoli per accorpare tutto e rendere le cose più scorrevoli, perciò se volete potete dare una veloce rilettura al libro.

So già che si sono formati due team:
Team Kyle e Team Hector.
Mi fa piacere vedervi così appassionati nei loro confronti ma ci tengo a precisare che visto che ho rivalutato la storia e deciso di impostarla in maniera diversa vi inviterei a essere più aperti nei confronti di entrambi i personaggi. C'è ancora tanto da scoprire su di loro e spero di travolgervi come sempre ❤️

A presto 😘

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