14. LAS VEGAS

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 Charles posò i bagagli e osservò la stanza. «Bella, no?»

Gli lanciai un'occhiata furiosa e lui mi guardò perplesso. «Che c'è?»

La lampo della valigia stridette quando la aprii. Scossi la testa: riuscivo a pensare solo alle varie strategie e alla mancanza di tempo. «Questa non è una vacanza. Non dovresti essere qui, Charles.»

Si avvicinò e mi cinse la vita con le braccia. «Io vado ovunque vai tu.»

Gli appoggiai la testa sul petto e sospirai. «Devo andare al casinò. Tu puoi stare qui o dare un'occhiata allo Strip. Ci vediamo dopo, va bene?»

«Vengo con te.»

«Non ti voglio là, Charles.» Lui sembrò deluso. «Se devo vincere quattordicimila dollari in un fine settimana, ho bisogno di concentrarmi. Non mi piace la ragazza che si siederà a quei tavoli e non voglio che tu la veda, va bene?» aggiunsi toccandogli il braccio.

Charles mi scostò i capelli dagli occhi e mi baciò sulla guancia. «Va bene, Sunshine.»

Uscendo dalla stanza, fece un cenno ad Sonia che mi raggiunse indossando lo stesso abito che portava alla festa per coppie. Io mi cambiai scegliendo un vestito dorato corto e un paio di scarpe con il tacco. Mi guardai allo specchio con una smorfia. Sonia mi pettinò i capelli all'indietro e mi porse la trousse.

«Ti servono almeno altri cinque strati di mascara e, se non ti metti più fard, capiranno subito che hai un documento falso. Ti sei scordata le regole del gioco?»

Presi il mascara e mi truccai per altri dieci minuti. Quando terminai, avevo quasi una maschera sugli occhi. «Maledizione, Sofia, non piangere», mi dissi alzando lo sguardo e tamponandomi le palpebre con un fazzolettino.

Sonia mi prese per le spalle mentre mi guardavo per l'ultima volta allo specchio. «Non devi farlo. Non gli devi niente.»

«Deve dei soldi a Benny, Son. Se non faccio qualcosa, lo uccidono.»

Sul suo volto notai compassione. In passato mi aveva guardato spesso così, ma ora sembrava disperata. Lo aveva visto rovinarmi la vita più volte di quante entrambe potessimo ricordare. «E la prossima volta? E quella dopo ancora? Non puoi continuare ad aiutarlo.»

«Ha detto che mi lascerà in pace. Mick Rinaldi ha tanti difetti, ma non è un imbroglione.»

Ci avviammo in corridoio ed entrammo in un ascensore vuoto. «Hai tutto quello che ti serve?» chiesi, pensando alle telecamere.

Lei tamburellò le unghie sulla patente falsa e sorrise. «Sono Candy. Candy Crawford», rispose con impeccabile accento del Sud.

Tesi la mano. «Jessica James. Piacere di conoscerti, Candy.»

Ci mettemmo gli occhiali da sole e restammo impassibili quando l'ascensore si aprì sulle luci al neon e la confusione del casinò. Persone di tutti i tipi camminavano in ogni direzione. Las Vegas era un inferno sublime, l'unico posto in cui coesistevano pacificamente ballerine truccate e vestite di piume, prostitute in abiti succinti ma decorosi, uomini d'affari con completi lussuosi e famiglie oneste. Avanzammo impettite lungo un corridoio fiancheggiato da cordoni rossi e mostrammo i documenti a un uomo in giacca rossa. Mi fissò per un istante e io mi tolsi gli occhiali.

«Magari prima che faccia notte», esclamai annoiata.

Ci restituì i documenti e si scostò lasciandoci passare. Superammo file e file di slot machine, i tavoli del black-jack e ci fermammo alla roulette. Scrutai la sala studiando i tavoli da poker e mi concentrai su quello a cui sedevano i giocatori più anziani.

Lottando per l'Amore: Il Cuore del Campione; Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora