14. Simone

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Oggi beccherò quel traditore di Ferrara con le mani nel sacco, finalmente! E farò vedere a Camilla chi è il farabutto che le infila la lingua in bocca ogni mattina fuori scuola e chissà quante altre volte nel weekend. Cazzo, quanto lo vorrei strozzare con le mie mani fino a vederlo diventare viola!

Intendiamoci, è un modo di dire. Non lo ucciderei mai. Ma sapere che Camilla possa entrare in intimità con lui mi fa ribollire il sangue nelle vene e sapere che lui la tradisce spudoratamente mi fa tremare ogni parte del corpo. Non lo sopporto! Non voglio più vederlo al fianco di Camilla, lei si merita di meglio.

E saresti tu il meglio?

Zitto, grillo parlante! Non ti impicciare di cose che non ti competono. E poi sì, forse potrei essere io il meglio per lei, chi può dirlo? Forse ho fatto una cazzata quando mi sono allontanato da lei, forse...

«Che merda stai cucinando?» La voce impastata di mio padre irrompe in cucina trascinandosi dietro un'aura di sudore e puzza d'alcol che mi fa venire il voltastomaco.

«Ringrazia il Cielo che ti faccio da mangiare, altrimenti ti sarebbe già venuta un'ulcera con tutto quello che ti bevi.» Replico io, pacatamente, forte del fatto che Filippo è da Rita e resterà lì anche per pranzo.

Giro il mestolo nella pentola e il profumo di ragù sorpassa il puzzo di mio padre per un attimo. Ricordo quando mamma lo preparava ogni domenica e la casa si riempiva di questo odore intenso e gustoso. La maggior parte delle volte lo preparavo insieme a lei e sono contento di portare avanti la sua ricetta tradizionale. Chissà, un giorno potrei insegnarla ai miei figli.

«Fai poco lo stronzo, ragazzino.» Sibila mio padre, affiancandomi.

Cerco di allontanarmi di un passo, giusto per non vomitare nella pentola. «Da quanto non ti fai una doccia?» Non lo guardo neanche.

«Perché, c'è qualche appuntamento in vista?» Afferra un pezzo di pane dalla busta e lo infila nella pentola per assaggiare il sugo facendo una sorta di scarpetta.

«Nessun appuntamento, ma potresti farlo per tuo figlio. Non per me, almeno per Filippo.» Replico, osservandolo di sottecchi. «Lui merita di avere un padre premuroso e che tiene almeno un po' a lui e a se stesso.»

«E da quando sei diventato così saggio?» Mi rivolge il suo sorriso più sprezzante.

«Da quando non c'è più la mamma.» Ora lo guardo anche io.

«Non la nominare!» Esclama a denti stretti.

«Io la nomino quanto mi pare, perché era mia madre!»

«Ed era mia moglie! Cosa cazzo ne sai tu, di noi? Cosa ne sai del matrimonio? Dell'amore?!» Si avvicina al mio viso con aria minacciosa, ma io non indietreggio e serro la mandibola. Stringo anche le nocche fino a farle sbiancare, fino a sentire il dolore nei palmi chiusi delle mani.

«E tu invece che ne sai? L'hai sempre trattata di merda e tratti anche noi di merda! T'importa solo di te stesso e del tuo vino e delle tue birre! Quando è stata l'ultima volta che hai fatto qualcosa per noi? Che ti sei preoccupato di Filippo? Gli sto facendo io da padre, quando dovresti essere tu a farlo. Non te ne frega niente di noi, non te n'è mai fregato niente!» Gli vomito addosso tutto il veleno che ho dentro, perché non ce la faccio più, non reggo più questa situazione.

E lui mi guarda con gli occhi spalancati e la bocca aperta, l'espressione persa e sembra quasi colpito dalle mie parole. Restiamo così, immobili, per qualche minuto. Nessuno dei due vuole fare un passo, fino a quando lui si passa una mano sul viso e scuote la testa. «Hai ragione.»

Cosa?!

«Cosa?!» Sbotto, incredulo.

«Hai ragione. Su tutti i fronti. Oggi penserò io a Filippo, hai la giornata libera.» Sfarfalla una mano per aria e si avvia verso il bagno, concedendomi questa domenica neanche fosse il mio capo in ufficio. «Vado a farmi una doccia.» Brontola dal corridoio, sparendo poi dietro la porta.

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