Capitolo 16

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"Elizabeth, il tuo the verde è pronto!" Alzo la testa dal cellulare, assestando il mio sguardo sulla ragazza che mi ha chiamata da dietro il bancone.

Riconosco subito quella ragazzina che ormai più di un mese fa mi aveva confessato, senza troppi veli, la sua ossessione per Conrad.

Con un sorriso afferro il mio bicchiere di cartone e le lascio una piccola mancia nel barattolo in vetro che ha vicino.

"Grazie!" Afferma lei pimpante.

Io abbasso un po' la testa, in segno di riconoscimento, e mi avvio verso il mio ufficio. Aperta la porta del café vengo investita da un vento ghiaccio, dal quale riesco a ripararmi solo grazie alla gigante sciarpa in lana rossa che indosso fin sotto al naso, al mio fedelissimo cappotto nero invernale e ai miei guanti in pelle, ormai un po' usurati a livello delle dita.

Il primo inverno che ho passato a New York, sette anni fa, non ero affatto pronta per quanto potesse essere insidioso il clima qua. Dovetti subito regalare il cappotto che ero solita usare a Medford, perché troppo poco pesante per il tempo della costa est, e correre a comprarmi dei guanti per evitare che le mani mi andassero in ipotermia.

Mi fermo davanti alle strisce pedonali, aspettando che il semaforo diventi verde, approfittando dei pochi secondi per guardare i leggeri fiocchi di neve che stanno iniziando a cadere sulla Grande Mela.

Sono tornata a New York da due settimane.

Dopo il momento cuore a cuore che avevo avuto con Conrad, e soprattutto dopo essere passati dal bagno per nascondere le tracce di pianto dal mio volto, eravamo tornati alla festa tentando di far finta che non fosse accaduto nulla. Quella non era la nostra festa, ma dei nostri amici, e ci eravamo impegnati entrambi affinché l'attenzione rimanesse concentrata solo su loro due.

Tuttavia, a quanto pare, non eravamo stati abbastanza bravi a celare i nostri sguardi o evitare di cercare continuamente l'uno la mano dell'altra. Spencer ci avevo scovati dopo neanche mezz'ora e, con la sua sposa al fianco, era venuto a farci le congratulazioni.

"Quanto mi avete fatto preoccupare, voi due! Posso iniziare la mia vita da uomo sposato senza avere più la lagna di Conrad affianco, grazie Elizabeth!" Ci aveva detto asciugandosi una finta lacrima dalla faccia.

Conrad, dal suo canto, gli aveva tirato un pugno sulla spalla facendolo retrocedere di qualche passo.

"Non farmi elencare davanti a Brittany tutte le volte che mi hai chiamato, nel panico, perché pensavi che ti stesse per lasciare." Aveva ribattuto il biondo.

Fatto sta che Spencer, qualche giorno dopo, ci aveva chiamati entrambi per dirci che gli avevamo fatto il più bel regalo di matrimonio che potesse desiderare e che sperava di rivederci il prima possibile come testimone alle nostre di nozze.

L'avevo ripreso subito, intimandogli di non farsi idee strane, che io e Conrad stavamo riallacciando i rapporti e che ci saremmo dovuti impegnare molto per far funzionare le cose. Lui aveva ridacchiato dall'altra parte della cornetta.

"Vi do due anni al massimo, Elizabeth." Erano state le sue ultime parole prima di salutarmi.

Io e Conrad non ci vedevamo dal giorno del matrimonio stesso. Le mie ferie comprendevano anche il giorno successivo che, però, ho dovuto trascorrere nella sua interezza su aerei e navette per tornare a New York. Oltretutto mi ero anche ritagliata del tempo per fare delle scuse telefoniche a Miles al quale, dopo che l'euforia si era un po' placata, mi ero resa conto di essermi scordata di averle fatte.

In realtà era stato molto maturo, dicendomi che comprendeva la situazione e che in fondo tra di noi non c'era mai stato niente di serio, se non una sua speranza latente. Ci eravamo salutati promettendoci di andare a bere un calice di vino una sera; uno di quegli inviti che si fanno più per cordialità che per altro.

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