Max

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Si può uccidere il male seppellendolo di risate.
                                            Stephen King

Il luminoso ufficio, con le sue postazioni composte da scrivanie bianche e poltroncine nere, quella mattina era parecchio rumoroso. Insieme al tichettio prodotto sulle tastiere dei computer, si udiva un gran vociare di sottofondo simile al ronzare di un alveare.

Max pensò che avrebbe tanto desiderato una stanza insonorizzata piuttosto di poter lavorare da casa pur di non dover stare lì in mezzo a loro. Ai suoi colleghi.

Nonostante lavorasse in quell'azienda da ben cinque anni, non conosceva il nome di nessuno. Nella sua mente li identificava solo come "il tizio con gli occhiali" oppure "la donna con i capelli biondi" e così via.

In cinque lunghi anni, se non fosse stato per il nome scritto sul cartellino, nemmeno "loro" avrebbero saputo il suo nome. Max arrivava, si serviva un caffè dalla macchinetta dopo aver percorso un breve tratto camminando sopra della moquette blu e si sedeva alla sua postazione senza alzare lo sguardo dal monitor se non quando era il momento di concludere la giornata.

I suoi colleghi lo consideravano un po' strambo e qualcuno aveva detto che sembrava uno di quei matti che prima o poi sarebbe piombato in ufficio con un fucile per fare una strage.

Solo la ragazza nel monitor accanto ogni tanto lo guardava o gli domandava una penna o un foglio. Lui allungava l'oggetto richiesto senza quasi girarsi. Non perché la ragazza non fosse carina, ma perché Max non sapeva proprio come rapportarsi con le persone.

Persino il suo migliore amico, James, lo prendeva in giro, dicendogli sempre che avrebbe dovuto smetterla di guardare film su internet e cercarsi una ragazza reale.

Gli squillò il cellulare nell'unico momento di silenzio e tutti gli sguardi vennero puntati su di lui.
"Quante probabilità c'erano che accadesse una cosa simile?" pensò in soggezione.

Rispose alla chiamata con una serie di sì, dopodiché mise giù. Era la sua nuova psicoterapeuta. Quella donna colorata e stravagante. Lei incarnava tutto ciò che lui avrebbe voluto essere, ma che non osava. Colorato, divertente, espansivo.

Max desiderava uscire da quella sua bolla di timidezza, diventare sfacciato come nei film dove il protagonista rimorchiava al bar la più bella ragazza presente. Ma, invece, per paura di fare brutte figure o di ricevere dei rifiuti, finiva sempre il suo orario di lavoro e tornava a casa.

Relazioni sociali? Quasi nulle. Amicizie femminili? Inesistenti. Amicizie maschili? Quasi introvabili. Max si sentiva esausto. Desiderava, ma non osava e quella mancanza lo consumava.

Lui, nonostante sembrasse asociale e psicotico agli occhi degli altri, era solo terribilmente timido e spaventato dal rifiuto. Queste paure irrazionali condizionavano tutta la sua vita.

Per cercare di superare questa situazione, aveva così preso la decisione di iniziare la terapia. Aveva già cambiato due terapeuti prima di trovare la dottoressa Carter. Lei gli era piaciuta fin dal primo incontro e, dopo la prima seduta, aveva subito fissato un secondo appuntamento. Max sperava che questa volta potesse una volta per tutte trovare una soluzione ai suoi problemi.

Forse avrebbe trovato il coraggio di chiedere alla sua vicina di scrivania di uscire. Sarebbero potuti andare a cena, al cinema e magari condividere un piacevole dopocena, chi lo sa.

Ma alla fine, quando il suo turno di lavoro terminava, timbrava il cartellino, abbandonava l'ufficio e si dirigeva verso casa sulla sua bicicletta, indossava le cuffie e si perdeva nella sua playlist preferita.

Ogni tanto, si fermava al parco cittadino e si sedeva su una panchina per leggere o per nutrire i piccioni. Avrebbe potuto optare per una panchina centrale e fare conversazione con qualcuno, invece sceglieva sempre la panchina più isolata finendo col rimanere in quella sensazione di solitudine ingombrante.

Poi tornava a casa, nel suo appartamento e si dedicava un po' al computer. Di solito giocava a qualche gioco online sulla nuova consolle, l'unico luogo in cui riusciva a essere davvero se stesso.

Pensava che il mondo virtuale fosse perfetto. Lì, ognuno poteva essere ciò che desiderava: bello, forte, simpatico, sicuro di sé, senza timidezze o incertezze.

Aveva parlato con molte persone e conosciuto diverse ragazze online, ma non aveva mai avuto il coraggio di organizzare un incontro. Preferiva rimanere nella sua bolla di sicurezza, evitando sia gli appuntamenti che i potenziali rifiuti. Senza appuntamenti non c'erano rifiuti e senza rifiuti non c'era sofferenza.

Quel giorno, dopo essere tornato a casa, spense il computer e si concesse una doccia. Poi, chiudendo l'acqua, uscì e si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi. Si diresse verso lo specchio, tolse la condensa con una mano e si osservò con attenzione.

Non pensava di essere particolarmente attraente, ma nemmeno brutto. Si considerava una persona normale, senza caratteristiche straordinarie. Aveva capelli corti e curati, occhi castani e una barbetta ben tenuta.

Aveva notato la sua vicina di scrivania più volte. Lei, a differenza sua, era ciò che definiva bella. Con i suoi capelli castano dorato, gli occhi color miele e le labbra carnose, attirava la sua attenzione ogni volta che poteva osservarla di nascosto.

Nel suo mondo immaginario, avrebbe trovato il coraggio di avvicinarsi a lei in ufficio, le avrebbe portato il caffè, le avrebbe regalato un sorriso sicuro e le avrebbe chiesto: "Ciao, stasera danno un film bellissimo al cinema, ti piacerebbe andare insieme?"

Nel suo mondo immaginario, ovviamente, lei avrebbe risposto con un entusiastico "sì" senza alcuna esitazione. Così, quella mattina, Max si armò di coraggio, entrò nell'ufficio con un caffè in mano, determinato a portarglielo.

Percorse la distanza che lo separava dalla sua scrivania, ma, prima che potesse aprire bocca, inciampò nei cavi che giacevano per terra. Il caffè finì rovesciato, una parte sulla sua postazione e una parte sulla ragazza, che si alzò di scatto.

Fu un momento imbarazzante e umiliante, soprattutto per la già fragile autostima di Max. Se solo avesse reagito con una risata, avrebbe potuto salvare almeno metà della situazione. Invece, il suo viso diventò rosso come un peperone, balbettò qualche scusa e si incartò ulteriormente, inciampò ancora nei cavi mentre cercava con disperazione della carta dal distributore a muro per asciugare quel disastro.

Se Max non fosse stato così preso dal panico, avrebbe notato che la ragazza gli aveva regalato un sorriso comprensivo mentre si asciugava la camicia e la scrivania. Ma era troppo concentrato a dare a sé stesso del cretino per accorgersene.

Quella situazione imbarazzante si era risolta quando lei aveva deciso di lasciar perdere e gli aveva detto:
«Non importa, non preoccuparti.»
Poi si era concentrata sul suo lavoro.

Max, ormai passato il momento di ilarità dei suoi colleghi, aveva abbassato la testa sul monitor sperando di diventare invisibile...

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Max è forse il più tenero della combriccola. Sono stata molto timida per tanti anni nella mia vita, prima di diventare la faccia da coolo che sono ora. Perciò so cosa prova.

Ve l'ho detto, c'è una parte di me in ognuno di loro.

A presto.
Hailey 🖋️

Ridere per guarire - disavventure terapeutiche Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora