Dottoressa Carter

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La risata è il sole che spinge via l'inverno dal volto umano.
                                                 Victor Hugo

                *Studio di psicologia
                     Dott.ssa Carter*

Così era inciso sulla grande placca dorata, scintillante, al di fuori del portone principale e così era segnato sulla targa, più modesta, in plastica nera accanto alla porta del quinto e ultimo piano del palazzo d'epoca, situato nella raffinata periferia cittadina. Questa zona, un quartiere tranquillo e ben tenuto, era abbellita da ampi spazi verdi e fiori dai vivaci colori, che punteggiavano il paesaggio con la loro bellezza.

Mentre la dottoressa Carter entrava nell'ascensore come ogni mattina, la sua segretaria, già in studio, rifletteva sul fatto che non avesse mai incontrato una persona più eccentrica di lei. Un'irresistibile eccentricità, per essere precisi.

Sarah Carter premette il tasto 5, il quale si accese con una luce blu tenue e attese con pazienza finché la porta scorrevole non si schiuse rivelando il pianerottolo. Il suono nitido dei suoi tacchi risuonò sul marmo screziato, disturbando la tranquillità di quel fresco lunedì mattina. Estrasse di nuovo le chiavi dalla tasca e si preparò ad aprire il modesto portoncino in legno scuro.

Poggiò le chiavi all'ingresso, chiudendosi la porta alle spalle e procedette lungo il corridoio coperto di moquette soffice, sentendosi quasi come se camminasse tra le nuvole, diretta alla macchina del caffè. Ogni mattina, lì lo trovava, il loro piccolo unico vizio personale, pronto a regalare a entrambe quel momento perfetto.

«Una mattina senza caffè è come un abbraccio mancante.»
Così diceva sempre, prima di sparire nel suo piccolo ufficio di scartoffie. Prima che arrivassero i pazienti, anche se lei non li chiamava mai pazienti. Li chiamava gli impazienti.

«Non sono pazienti per niente,» frase a cui seguiva sempre un'immancabile risata.

Sembrava che fossero costantemente di corsa. Che fosse la fretta di lasciare il suo studio, la fretta di essere ascoltati o la fretta di aspettarsi tutto nell'immediato, inclusa la completa guarigione dopo soli cinque minuti di conversazione, non si rilassavano mai. Una fretta che li spingeva a interrompere gli incontri al minimo disagio.

E invece, pensava, se solo fossero stati più pazienti.

Il profumo avvolgente del caffè iniziò a diffondersi nell'aria appena qualche istante prima che la dottoressa Carter, o Sarah, come preferiva essere chiamata, varcasse la soglia. Ogni suo ingresso era un evento rumoroso, senza eccezioni.

I suoi tacchi risuonarono in anticipo rispetto alla sua figura. Passi rapidi e decisi. Come fosse in grado di mantenere l'equilibrio su quei trampoli che lei considerava scarpe, rimaneva un mistero per tutti.

Spalancò la porta con la forza di un Panzer, riempiendo immediatamente l'ambiente con la sua rotonda presenza. Inalò il profumo del caffè con entusiasmo, e il suo sorriso si allargò al massimo. I suoi capelli biondi ornati da accessori eccentrici, che forse sarebbero stati appropriati solo per undicenni, fluivano in morbide onde giù sulle spalle, sfiorando la gigantesca collana composta da anelli di legno scuro.

Il suo abbigliamento altrettanto eccentrico la vedeva strizzata in un vestito corto che arrivava appena al ginocchio. Era nero, ma decorato con macchie che andavano dal bianco al fucsia, attraverso ogni tonalità di rosa immaginabile. Per completare il look, aveva indossato quella mattina un maglioncino cortissimo di un vivace viola.

«Buongiorno Nicole. Grazie, come sempre. Perché una mattina senza caffè è...?»
Afferrò la tazza di caffè che la donna le porgeva.

Nicole completò la frase come ogni mattina:
«È come un abbraccio mancante.»

La dottoressa sollevò la tazza al suo indirizzo, come se fosse un invisibile brindisi.

«Nicole, posso avere le cartelle fisiche che ti ho domandato ieri sera prima di andare via? Perdonami, ma il mio computer è di nuovo andato in blocco. Dovrò decidermi a cambiarlo.»

Nicole sorrise, contagiata da tutta quella esplosione di colori e allegria.

«Certo, le cerco subito, dottores... Sarah.» concluse dopo essere stata interrotta da uno sguardo truce, un fulmine che passò in un istante.

La Carter si ritirò nel suo studio, mentre Nicole si preparava a cercare le cartelle che le avevano occupato gran parte della precedente serata lavorativa.

Si avvicinò alla sua scrivania, situata accanto alla porta, la sua postazione di lavoro. Si adagiò sulla poltrona girevole, dinanzi a una scrivania dalle curve eleganti, un modello moderno, con il telefono che spiccava con eleganza sulla destra. Un portaritratti mostrava un'immagine di sé con il suo gatto, un gigantesco Maine Coon nero, regalo che le aveva fatto il suo ex fidanzato. Lui se ne era andato, ma Belzebù era rimasto.

Aprì il piccolo archivio alla sua sinistra, composto da tre cassetti, e iniziò a cercare i fascicoli richiesti dalla dottoressa. Aveva bisogno di cinque precise cartelle:

Emily Parker.

Charlie Ross.

Ava Hughes.

Max Adams.

Olivia Torres.

Dopo una breve ricerca le trovò, le impilò una sull'altra e si diresse verso la porta dello studio. Bussò, attese un breve istante ed entrò. La dottoressa, che in quel momento era impegnata in una conversazione telefonica, alzò il dito indice facendole segno di attesa.

«Sì... Sì... Sì... Ora devo andare. Sì. Sì. Fai tu. Ciao... Sì.»

Nicole la guardò e la vide fare un'espressione comica, mentre faceva roteare gli occhi al cielo.

Appena la dottoressa Carter mise giù il telefono, un sospiro di sollievo sfuggì alle sue labbra.

«Ora dimmi tu se mia madre deve tormentarmi mentre sono al lavoro solo perché non riesce a decidere il colore del nuovo divano! Cielo santo, il mondo è pieno di colori, basta sceglierne uno, no?»

La ragazza ridacchiò, poggiò le cartelle che le erano state chieste e tornò alla sua postazione di lavoro, pronta a cominciare una nuova giornata e ad accogliere altri impazienti.

La dottoressa Carter osservò i fascicoli poggiati sulla scrivania e riflettè sulle persone il cui nome, scritto in bella e chiara grafia, faceva mostra di sé.

Cinque persone. Cinque persone del tutto diverse tra loro, eppure così simili. Venivano da altre esperienze di psicanalisi. Esperienze che era ovvio, avevano abbandonato troppo presto per pensare di averne tratto dei benefici a lungo termine.

Aveva riflettuto a lungo su di loro, prima di prendere una decisione definitiva. Era giunto il momento di sperimentare un approccio diverso. Era l'ora di abbandonare le sessioni individuali e intraprendere un'ultima strada: le sessioni di gruppo.

Sicuramente avrebbero sollevato obiezioni, ma lei non era disposta a rinunciare facilmente. E inoltre, avevano firmato il consenso, cosa che nessuno nei suoi moduli leggeva mai. Con un sorriso, compose personalmente uno per uno i loro numeri per comunicare che purtroppo doveva rimandare l'appuntamento per un imprevisto.

Assegnò a ciascuno di loro una nuova data per la seduta e questa data era la stessa per tutti, anche se loro non potevano ancora saperlo. Infine, si appoggiò allo schienale della sua sedia girevole; un sorriso di soddisfazione si dipinse sul suo viso. Ripose le cartelle e si immerse nel resto della giornata lavorativa.

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E così cominciò questa storia. Spero che sorriderete con i miei buffi personaggi e che non prendiate niente sul serio. Prendetela per ciò che è. Una commedia.
A presto.
Hailey 🖋️

Ridere per guarire - disavventure terapeutiche Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora