La compriamo?

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«Bishopstreet 87! Ce la puoi fare Emily. Fai in modo che sia rapido e indolore!»
Salì in auto diretta a casa di Max, vestita come sempre, in completo da ufficio, la piega perfetta, le unghie smaltate di fresco e ovviamente, le immancabili scarpe con tacco.

Appena arrivò di fronte all'indirizzo giusto, parcheggiò e rimase lì. Ferma, immobile, trattenuta a quel sedile solo dal pensiero di avere quel dannato certificato per il lavoro, ma morendo all'interno dal desiderio di rimettere subito in moto l'auto e fuggire a bere qualcosa. Da sola.

Osservò la casa dalla facciata bianca, una casa normale, con una poltrona a dondolo sul patio. Dei vasi con i fiori appesi alla staccionata.
Madonna santa, Cucciolo come minimo vive ancora con la mamma, pensò. Ma pensò anche che doveva farla finita con quella storia.
Inspirò a fondo, mise la mano sulla maniglia della portiera e, prima che potesse ripensarci, aprì di botto, scese dall'auto e si diresse a passo spedito verso la porta d'ingresso.

I suoi tacchi scricchiolarono sulla ghiaia sottile del vialetto. Mentre posava piede sul patio, la porta di ingresso si aprì e sulla soglia apparve Max, vestito come sempre di nero, con in mano un controller di una qualche consolle e le enormi cuffie nere appese al collo.

«Ciao.» sul volto aveva un timido accenno di sorriso.

«Ciao. Guarda , spero che sia una cosa rapida perché odio cucinare, ma se hai cambiato idea posso sempre comprarla e dire che l'abbiamo fatta. Non preoccuparti, mento io, sono abituata!» esordì lei varcando la soglia, ritrovandosi in un ingresso salotto piccolo ed essenziale. Un divano, una grande tv e un tavolino basso. Era tutto pulito e curato.

«Buonasera signora! Non si preoccupi, andrò via presto.» Alzò la voce in direzione delle porte chiuse.

Max la guardò inarcando un sopracciglio e lei se ne accorse.
«Che c'è, saluto tua madre! Non vivi con lei?»

Max avrebbe tanto voluto ridere di gusto, tuttavia pensò che lo avrebbe guardato malissimo e se ne sarebbe andata. Sempre che prima, non gli avesse lanciato addosso di tutto dandogli dell'idiota. Così si limitò a sorridere, ma sempre e solo curvando appena gli angoli della bocca verso l'alto.

«No. Vivo solo.»
Il tono di voce era sempre basso, ma rispetto all'ultima volta era udibile.

«Ah. Sei meno Cucciolo di quello che pensavo. Oh guarda, la cucina. Facciamola finita.»
Si incamminò da sola, senza aspettare risposta, dando solo una breve occhiata alle immagini sulla tv. Un carro armato avanzava tra i resti di una città. Max la seguì, sollevando non visto, gli occhi al cielo. Gli ingredienti erano pronti sul mobile al centro. L'arredo era in legno chiaro e la luce del forno, già acceso, rendeva tutto caldo e accogliente.

Emily pensò al suo attico open space, con la sua cucina a vista, lucida e moderna, che non aveva mai usato, tranne che per il frigobar. Per un effimero istante sentì stringersi lo stomaco. Ma al diavolo, lei era una donna in carriera, non aveva tempo per le cose inutili come cucinare. Perché mai perdere tempo quando potevi, in tutta comodità, ordinare da un qualsiasi rinomato ristorante e fartelo consegnare a domicilio? Sempre buono, sempre perfetto, niente impegno. Aveva già il lavoro su cui concentrarsi.

                            ~~~~~~

Nello stesso momento, a casa di Ava, si presentarono Olivia e Charlie. Lei li accolse con l'immancabile calice di vino rosso in mano.
«Ho portato il gelato!» esordì la dolce veterinaria sollevando il sacchetto che teneva tra le mani.
«Pistacchio e gianduia!»

«Brava ragazza, hai buon gusto!»
Ava le prese la busta dalle mani.
Charlie le porse la sua che conteneva una scatola di cioccolatini. Aveva preso quelli ripieni, allo Cherry. Inutile dire che Ava ne fu soddisfatta.
«Dovremmo vederci più spesso!»

Oggy si presentò a fare gli onori di casa, passò da Charlie e gli si strusciò sulle gambe. «Ehi, ciao gatto!»

Poi il felino si diresse verso Olivia.
«Ma che meraviglia che sei, vieni!»
Si abbassò sulle ginocchia e lo chiamò con le mani.
Oggy gonfiò il pelo e le soffiò contro. Le soffiò con serietà e compostezza, come se fosse stato una qualche nobile maestà e lei una popolana a cui rivolgersi con tono stizzito: "ehi non osare, lurida donna plebea!"
Il rancore del mondo racchiuso in un batuffolo peloso a strisce.

Lo sguardo di Olivia cambiò rapidamente e divenne triste.
«Lo sai pure tu che non sono brava, vero?»
Sospirò mentre si rialzava dalla posizione in cui si era accucciata. Il creato non faceva altro che lanciarle segnali affinché cambiasse mestiere, ne era sempre più convinta.

«Tesoro, non sei tu, è lui che è uno stronzo, anzi ringrazia che non ti ha vomitato sulle scarpe. D'altronde era il gatto di Lars, non potrebbe essere diversamente.»
Si diresse in cucina con le mani occupate dal gelato e dalla cioccolata. Mise uno nel freezer e l'altro sul ripiano.
Aveva preparato, prima che loro arrivassero, tutti gli ingredienti per un classico ciambellone, così mise Charlie alle fruste e Olivia all'inserimento degli ingredienti. Lei si sedette su uno degli sgabelli e cominciò a dare indicazioni ai due, che la guardarono perplessi.

«Che c'è? Vi offro la cena dopo, non guardatemi a quel modo.»
Così a casa di Ava, poco dopo, nell'aria si sparse il profumo del suo ciambellone al limone. Appena lo tolse dal forno, mise al suo posto una teglia di lasagne e si sedettero a bere del vino. Non fu una grande conversazione, ma tanto bastò a fare sì che, per qualche ora, ognuno di loro tre si dimenticasse del proprio pensiero fisso. Ed era con esattezza ciò di cui avevano bisogno.

                                ~~~~~

A casa di Max, invece, Emily guardava perplessa gli ingredienti sul tavolo e si aspettava che lui facesse tutto da solo.
Ma lui non era della stessa idea. Così le chiese di aprire le uova, di versare il latte, di pesare la cioccolata.
Lei, nervosa e contrariata come al solito, pensò che da un momento all'altro sarebbe andata via. Detestava ricevere ordini. Lei era abituata a darli. Anche se quelli di Max non si potevano certo definire tali. Erano quasi una supplica.

Fu quando le chiese di aprire il sacchetto della farina che la cosa cambiò. Già nervosa dal principio, lo aprì con una tale forza che le esplose tra le mani, imbiancando ovunque. Una nuvola di farina ricadde su di lei, sui suoi vestiti, sulle sue scarpe, sul piano della cucina, sul pavimento, ovunque.
Sulla faccia di Max stava scritto a chiare lettere: "NON RIDERE, FINGITI MORTO."

Lei chiuse gli occhi, si strinse con le dita il ponte del naso, e, mentre sentì montarle la rabbia dall'interno, pronta ad abbattersi sul mondo intero come un gigantesco tsunami, contò fino a dieci. Poi la vera Emily prese il sopravvento.
«Conta, conta un cazzo!» Esplose lanciando il sacchetto, o meglio, ciò che ne rimaneva, all'indirizzo di Max. Ma non colpendolo nemmeno e vedendo che sul suo viso stava comparendo l'ipotesi di un ironico sorriso, prese, più veloce di una gazzella, l'unica cosa che si trovò sottomano. Un uovo.

Con una mira degna di un lanciatore di baseball, il povero guscio atterrò giusto giusto, sulla fronte di Max. Si sentì un debole crack e i suoi occhiali e la sua faccia furono imbrattati nella frazione di un attimo. Si creò un momento surreale, la quiete prima della tempesta. Nessuno dei due muoveva un muscolo, come in un fermo immagine. Finché Max non riuscì più a trattenersi. Incurante del pericolo, e cosciente che sarebbe morto, esplose in una grossa, rumorosa risata. Rideva davvero di gusto, e pensò che, anche se lo avesse ucciso, ne sarebbe comunque valsa la pena.

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Max sta rischiando, voi che dite?
Arriverà vivo alla prossima seduta con la dottoressa Carter? Non vi resta che attendere i prossimi capitoli.
A presto,
Hailey 🖋️❤️

Ridere per guarire - disavventure terapeutiche Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora