- 9 - Ufficiale e gentildonna

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Dietro la disinvolta sigla D.S. SEAD si nascondeva in realtà il pomposo ed esteso titolo del Dipartimento di Studi Sociali, Economici, Attuariali e Demografici, il cui corpo studentesco e di ricerca era, curiosamente, in gran prevalenza di sesso femminile.

L'antica palazzina a tre piani che ospitava il dipartimento spiccava in mezzo alle altre per la ricca vegetazione di palme ed edere rampicanti che ne adombravano l'ingresso.

Quel lunedì pomeriggio di un soleggiato primo giorno d'inverno, Flavio ne varcò il familiare cancelletto d'ingresso, salì al terzo piano, percorse qualche breve e angusto corridoio e sboccò in una saletta d'attesa con pareti e porta di plexiglas scurito, incorniciato da infissi d'alluminio.

Si sforzò di non sbirciare oltre i limiti della discrezione l'attraente ufficiale seduta in composta ma femminile eleganza sul divanetto e, simulando disinteresse per quel corpo statuario ammantato da una spettacolare e impeccabile divisa militare, tirò dritto verso il telefono a muro a fianco alla porta. Compose il numero dell'interno del professor Enrico Nasoni fissando il telefono per evitare, sul plexiglas scuro, il riflesso della ragazza in uniforme alle sue spalle. Al ricevitore, sentitosi chiedere chi fosse, si identificò: «Mancini».

«La faccio chiamare io» gli disse Nasoni, «si metta pure comodo, c'è un po' di attesa.»

Senza spostarsi di un passo, Flavio sedette sul divanetto di fianco alla porta, trovandosi difronte all'ufficiale. Notò che la ragazza vantava mostrine da capitano, poi i suoi occhi scivolarono per un attimo alle gambe toniche e snelle di lei, che in quella posizione da seduta erano orlate ben sopra il ginocchio dalla gonna dell'uniforme. Flavio si sentì subito punito per aver ceduto a quella tentazione indiscreta: la ragazza lo stava fissando dritto negli occhi. Cercando la fuga dal bollore che minacciava di assediargli il volto, Flavio distolse lo sguardo e ruotò il collo verso la pianta da vaso che decorava un angolo del salottino.

La ragazza inclinò allora il busto in avanti e gli domandò: «Tu... sei Flavio, vero?»

Flavio la guardò, si accertò di non averla mai incontrata prima e si chiese chi le avesse parlato di lui e se, davvero, ci fosse una cospirazione che lo sorvegliava e interferiva costantemente nella sua vita. Il capitano sorrideva e si stava già alzando per tendergli la mano. Una volta in piedi, la sua gonna si distese e occultò tutti quei centimetri di gamba che doveva coprire.

«Sì» rispose Flavio tendendo a sua volta la mano.

«Io sono Cristina, un'amica di Claudia» si presentò.

A lusingare Flavio erano bastati il sorriso caloroso e il tono amabile, tutt'altro che affine agli indumenti marziali che indossava. I capelli castani di Cristina, raccolti ordinatamente dietro la testa, brillavano lisci e tesi sotto il berretto militare. Sugli occhi scuri e le guance arrotondate dall'espressione di cordialità, un trucco leggero e formale esaltava la delicata finezza dei lineamenti. Sebbene l'altezza fuori dal comune di Flavio la sovrastasse, la statura di Cristina avrebbe abbondantemente superato quella di Claudia e le sue forme, disciplinatamente modellate da regolari allenamenti, evidenziavano una sensualità più matura rispetto a quella dell'amica.

«Claudia Felicetta?» volle sincerarsi Flavio. Solo a nominarla il cuore prese a battergli più forte mentre i pensieri già gli si annebbiavano un poco.

«Sì, proprio lei, la studentessa di architettura. Mi parla davvero tanto di te...» sorrise allusiva Cristina.

Le dichiarazioni di apprezzamento erano rare nella vita di Flavio. Non poté non sentirsi ancora più lusingato. La simpatia e la complicità che gli stava dimostrando questa ragazza appena conosciuta arrivavano a crogiolarlo, senza dargli possibilità di opporre resistenza, nel pensiero della stima che Claudia doveva averle espresso su di lui.

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