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L'imminente compleanno dei suoi nipotini, evento che a quanto pareva l'aveva segnata più del dovuto visto che si era alzata con la nausea, non era l'unica preoccupazione di Mia.
Quando era arrivata a lavoro, infatti, una delle mamme l'aveva presa da parte nel cortile della scuola e le aveva rivelato, in confidenza, che c'era un gruppo di genitori che erano andati dal preside a lamentarsi di un insegnante di cui la donna non aveva captato il nome, ma che credeva fosse proprio Mia. Sembrava, addirittura, che alcuni genitori avessero chiesto al preside di sospenderla. Il preside aveva rifiutato di accogliere quella richiesta, ma la donna che adesso stata parlando con Mia pensava che dovesse tutelarsi.
«Maestra,» aveva concluso «dia retta a me, si faccia trovare preparata, si rivolga a un sindacato o un avvocato perché questi la vogliono fare fuori.»
Non c'era bisogno di essere dei mentalisti per sapere che dietro quelle rimostranze ci fosse Teresa, la mamma di Matteo, la quale aveva problemi con l'orientamento sessuale del corpo insegnanti.
In  altre circostanze, Mia non se ne sarebbe interessata, era abituata al pregiudizio della gente, il preside, tuttavia, all'ultimo momento, aveva indetto un incontro con tutti gli insegnanti, un evento troppo strano perché si trattasse di una coincidenza.
E, infatti, la preoccupazione della mamma che l'aveva fermata quella mattina non era infondata. Il preside, appena riunito tutto il corpo insegnanti in una delle aule più grandi, con un'espressione avvilita, che però a Mia era sembrata fasulla, esordì annunciando che alcuni genitori avevano presentato delle lamentele formali.
«Che vuol dire formali?» domandò Cristina interrompendo con prepotenza il dirigente.
«È stato presentato un esposto all'ufficio scolastico regionale.» disse l'uomo, in evidentemente difficoltà.
A quelle parole seguì un brusìo generale che si trasformò in una vera e propria protesta quando il preside aggiunse:
«Ci accusano di non essere in grado di svolgere correttamente il nostro lavoro e di recare danno ai bambini.»
Era chiaro che la mamma di Matteo aveva alzato la posta e non avrebbe mollato la presa.
«Lo sai che è tutta colpa tua, vero?»
A rivolgere questa domanda a Mia era stato un collega, che le aveva persino puntato il dito contro.
«Come può essere stata colpa mia, Piero?»
«Andiamo, Mia, sappiamo tutti chi c'è dietro tutto questo e sappiamo tutti che è con te che ce l'ha. Se gli avessimo permesso di fare quello che volevano per una minima parte, non si sarebbero rivolti al Provveditorato.»
«Ti ricordo che non sono stata l'unica ad oppormi alla folle idea di formare un consiglio di genitori che approvasse i libri.»
«Lo so, e neanche io ero pienamente d'accordo, ma se glielo avessimo permesso, avremmo impedito questa crociata che, lasciamelo dire Mia, è puramente contro di te, perché ad alcuni genitori non piace che la maestra dei loro figli sia lesbica.»
«Piero, per favore...» tentò di intervenire il preside, chiaramente in imbarazzo per la parola usata, ma Mia fu più veloce a rispondere.
«Ammesso che debba, possa o, soprattutto, voglia fare qualcosa a riguardo, lavoro qui da tempo e non ho mai nascosto la mia relazione. Tu stesso hai conosciuto Jenny. Allora, perché il problema sorge solo adesso?»
«L'anno scorso Matteo non era nella tua classe, Mia,» intervenne un'altra collega in maniera più diplomatica «purtroppo sua madre crea problemi ogni anno e stavolta è toccato a te.»
«L'esposto, però, riguarda tutti.» ribatté Piero con rabbia.
«Diamoci una calmata!» intimò il preside alzandosi in piedi.
«Innanzitutto,» continuò l'uomo con più calma, ma senza sedersi «non è colpa di nessuno. Le accuse sono false ovviamente, ma ci sarà un'indagine da parte delle autorità competenti. Voi continuate a fare il vostro lavoro, come sempre, e non vi fate intimidire, tuttavia sebbene anche io sia convinto che l'esposto nasca da una ripicca personale, e non da una genuina preoccupazione, vi consiglio vivamente, da questo momento in poi, di astenervi dal parlare con i genitori di cose che non riguardano specificatamente i bambini. In poche parole niente chiacchiere che vadano al di là dei convenevoli, o del semplice "come stai? bene, grazie." So che ci sono genitori che hanno portato più di un figlio in questa scuola e che quindi quelli di voi che sono qui da tanto hanno un rapporto amichevole con loro, ma sappiamo tutti come funzionano i pettegolezzi. È necessario che qualcuno, anche senza malizia, dica qualcosa di ambiguo e boom, improvvisamente diventiamo brutti e cattivi. Perciò, signori e signore, discrezione.»
Forse era per gli attacchi  che aveva ricevuto, ma Mia aveva avuto l'impressione che il preside quando aveva parlato di pettegolezzi aveva guardato proprio lei.
Il discorso del dirigente aveva calmato gli animi e la riunione era continuata con toni più calmi e Piero aveva persino chiesto scusa a Mia per aver alzato la voce.
Chi, al contrario, non aveva parlato per niente era stata Maria. Così una volta che la riunione fu finita Mia, ignorando la volontà dell'amica di evitarla, le corse dietro nel cortile della scuola.
«Maria, aspetta.»
L'amica continuò a camminare e senza neanche voltarsi disse:
«Non ora, devo tornare a casa.»
Mia allungò il passo, raggiunse l'amica e dopo averla costretta a fermarsi, parandosi davanti a lei, chiese:
«Non hai detto una parola dentro, va tutto bene?»
Maria emise un sospiro. Era seccata.
«Sì, Mia, a parte mio figlio che mi sta facendo uscire fuori di testa. Sta mettendo i denti e piange in continuazione, giorno e notte. Quindi delle stronzate della scuola mi importa poco. Anzi mi hanno fatto perdere tempo.»
«Capisco, Maria, e se sei stanca e tu e Sandro avete bisogno di una mano, sono disposta a tenere Lorenzo un giorno di questi. Lo sai che puoi contare su di me.»
A Maria sfuggì una risata sprezzante.
«Non è necessario, grazie.»
«Credi che non lo intenda sul serio?» chiese Mia risentita.
«Non è questo, solo, sai, non vorrei toglierti troppo tempo che potresti passare con il tuo fidanzato.»
Infastidita dalla risata beffarda dell'amica, sbottò:
«Si può sapere che cazzo di problema hai con questa storia? Ti ho detto che ci ho dato un taglio e che Max, ormai, appartiene al passato. Capisco che non approvi quello che ho fatto, ma ricevere il trattamento del silenzio dalla mia migliore amica, è un po' eccessivo, non credi?»
Maria incrociò le braccia e guardò Mia con un espressione severa.
«Jenny, però, non sa niente e io penso che se non glielo hai detto è perché forse non hai ancora concluso con lui. Ma, come ho detto, ho le mie grane non posso occuparmi pure delle tue.»
«Max non significa niente per me e sarebbe da egoisti confessare a Jenny quello che ho fatto solo per pulirmi la coscienza, le farei solo del male. Perciò, no, non glielo dirò, e mi terrò le mie colpe per me.»
«Wow, credo di non aver mai sentito una paraculata simile!» disse Maria sarcastica.
«Maria, andiamo, mi conosci meglio di chiunque altro...»
«Non ti conosco affatto, invece. Per esempio, credevo che la mia migliore amica non fosse capace di fare una cosa del genere!»
Mia corrugò la fronte, Maria aveva completamente perso la testa per quella storia e iniziò a pensare che il suo malumore non fosse causato solo dalla stanchezza. Si trattava di un atteggiamento troppo duro da tenere solo per principio o per lealtà nei confronti di Jenny e aveva l'impressione che l'amica stesse proiettando su di lei qualcosa di personale.
«È di questo che si tratta, Maria, o di qualcos'altro? Perché ho l'impressione che ci sia qualcosa sotto.»
«Sì, si tratta solo di questo, non farti i film, Mia.» disse l'amica, abbandonando il sarcasmo, però «Ora se permetti, devo tornare a casa dal bambino.»
Mia a questo punto la lasciò andare, conosceva Maria e se non voleva parlare era inutile insistere.
Arrivata al pub di Jenny, dove avrebbe dovuto prendere i regali dei gemelli, Mia decise di non dire niente di quanto successo a scuola. Il locale stava dando parecchio da pensare alla compagna e Mia non voleva infierire.
Dopo aver salutato Jenny con un bacio e caricato i regali in auto, si diresse verso la ludoteca dove sua sorella aveva organizzato la festa.
Angela, si era data parecchio da fare e aveva messo su party, che se non fosse stato per la presenza dei gonfiabili, poteva essere scambiato per una festa aziendale, tanto l'atmosfera era formale. Infatti, insieme animatori che plasmavano i palloncini a forma di animali o al mago che faceva trucchetti di magia, c'erano anche dei camerieri in divisa che passavano con dei drink e i tavoli allestiti per il buffet, avevano del cibo troppo pretenzioso per una festa di bambini.
La prima cosa che Mia fece, appena arrivata, fu abbracciare i suoi nipotini, i quali dopo aver ricambiato il suo abbraccio con entusiasmo, come era prevedibile, domandarono di Jenny. Ovviamente, mentì ai gemelli e disse loro che l'altra zia purtroppo doveva lavorare, tutto questo sotto lo sguardo attento di sua sorella, la quale probabilmente temeva che Mia si lasciasse sfuggire la verità.
«Tranquilla, non dirò ai tuoi figli che non hai invitato la zia alla loro festa di compleanno.» disse alla sorella appena i bambini tornarono ai loro giochi.
«Non è la loro zia.»
«Loro la pensano diversamente, hai sentito pure tu, no? L'hanno chiamata zia Jenny.»
«Smettila di tenere il muso perché non ho invitato la tua amichetta alla festa. Cresci Mia.»
Angela si allontanò senza dare il tempo alla sorella di ribattere, come faceva sempre: mollava il tavolo quando stava vincendo, per non rischiare che la situazione si ribaltasse.
Mia sentì un improvviso bisogno di bere qualcosa, perciò camminò verso il piccolo bar che era stato allestito fuori per l'occasione e chiese alla cameriera che lo gestiva un bicchiere di vino.
Concentrata com'era a guardare la ragazza che, secondo lei, di vino rosso non ne stava versando abbastanza, non si accorse che sua madre si stava venendo in quella direzione.
«Cara, è da tempo che non ci vediamo.» esordì la donna.
Le parole erano state accompagnate da un tono di accusa, che la madre non si era preoccupata di camuffare.
«Ciao, mamma. Sì, siamo state impegnate ultimamente.»
«Persino per  una chiamata?»
«Se proprio ci tenevi, avresti potuto chiamare tu. Papà dov'è?»
«In giro, l'ho perso di vista. Non mi sorprenderebbe, però, se lo trovassi vicino al mago con i bambini. Jennifer, invece, non poteva venire?»
Mia guardò con sospetto la madre, si chiese quanto, in realtà, la donna sapesse di quello che aveva combinato la figlia più grande.
«Angela non l'ha invitata.»
«Ah.» rispose la madre in tono asciutto.
«È tutto quello che hai da dire, mamma?»  disse Mia irritata, ma non per niente sorpresa. Non si era di certo aspettata empatia da parte di sua madre.
«Che vuoi che ti dica, Mia?»
A quella domanda Mia si arrabbiò ancora di più. Sua madre sapeva benissimo che cosa la figlia voleva da lei, eppure faceva finta di niente.
«Potresti dire, per esempio, che Angela ha sbagliato.»
La donna alzò le spalle e gesticolò come per cercare le parole.
«Tesoro, tua sorella avrà avuto i suoi motivi.»
Mia era di fronte a un bivio: litigare con la madre davanti a tutti o lasciar perdere. Optò per la seconda scelta e disse sarcastica:
«Immagino che siano dei motivi molto validi, madre.»
E così come Angela aveva fatto con lei, Mia diede le spalle alla madre senza che questa avesse il tempo di rispondere.
Prese a girovagare per il giardino. Era lì da meno di dieci minuti e già aveva voglia di andare via. La serata sarebbe andata meglio se avesse trovato qualcuno con cui scambiare due chiacchiere. Ma gli adulti che erano a quella festa erano amici di Angela, e forse era un pregiudizio, ma se erano amici di sua sorella, era improbabile che li avrebbe trovati piacevoli.
Finalmente scorse un volto amico tra la folla, quello di suo cognato Gigi che appena la vide, agitò la mano con entusiasmo. Nell'altra invece teneva una spada fatta con dei palloncini, che la ragazza era sicura che il cognato si fosse fatto fare per uso personale.
«Ti piace, la mia spada, Mia?» disse, infatti, l'uomo appena la raggiunse.
«Ehilà, Gigi!»
Mia era talmente contenta di vedere qualcuno che le stava simpatico, che abbracciò il cognato, cosa che di solito non accadeva.
«Senti Mia, per quanto riguarda Jenny,» disse l'uomo con una serietà che cozzava con l'oggetto che aveva nelle mani «ho provato a convincere Angela ad invitarla, ma non ne ha voluto sapere.»
Finalmente qualcuno mostrava del buon senso.
«Tranquillo, Gigi so come è fatta mia sorella e devo ammettere che la cosa non mi ha affatto sorpresa, anche se questo non mi ha impedito di rimanerci male.»
Gigi le mise una mano sulla spalla e con espressione mortificata disse:
«Mi dispiace.»
Poi aggiunse, con aria maliziosa:
«Ho visto quello che tu e Jenny avete regalato ai gemelli.»
«Se n'è occupata Jenny.»
«Beh allora puoi dirle che la missione è andata a segno, tua sorella li odia.»
Mia sorrise e poi accettò l'invito del cognato a trovare un tavolo che non contenesse cibo che lui aveva definito snob.
«Andiamo, troviamo il tavolo delle pizzette, prima che i bambini le finiscano tutte.» aveva detto.
Mia e Gigi non avevano trovato le pizzette, ma un cameriere aveva appena appoggiato sul tavolo un vassoio di mini hot dog. Gigi ci si era buttato a capofitto, mentre la ragazza, appena l'odore le arrivò alle narici, si sentì disgustata. La nausea le era tornata.
Angela li raggiunse, e si rivolse al marito che già stava ingurgitando il secondo panino.
«Gigi, amore, al bar ci sono i genitori di Michele che ti vogliono salutare. Ho detto loro che li avresti raggiunti lì.»
L'uomo si pulì distrattamente la mano sui pantaloni e si allontanò, ma Angela non lo seguì immediatamente. Si voltò verso Mia e la guardò come se la volesse fulminare.
Mia sapeva qual era la causa di quell'astio, la donna aveva sempre odiato la complicità che c'era tra i due cognati e le aveva dato fastidio aver trovato la sorella insieme al marito.
Non potendolo dire ad alta voce, però, perché sarebbe suonato piuttosto meschino, provò a rifarsi su Mia in un'altra maniera.
«Ti raccomando, Mia, lascia qualche hot dog anche ai bambini. Non sta bene abbuffarsi. È un miracolo che con tutto quello che mangi, tu non sia più grassa di come sei.»
Anche se Angela non se ne fosse andata dopo quella cattiveria, Mia non avrebbe saputo comunque come rispondere. Non era la prima volta che faceva alla sorella una battuta del genere, Angela aveva il dono di fare sentirla insicura anche per le cose che di solito non la turbavano, come per esempio il suo fisico.
Mia posò l'hot dog che non aveva neanche assaggiato sul tavolo e andò alla ricerca di un bagno. Le parole della sorella avevano acuito la sensazione di nausea che l'odore del cibo le aveva provocato.
Dopo una rapida ricerca, trovò un bagno piuttosto isolato, al secondo piano della ludoteca e ci si chiuse dentro. L'intento era quello di bagnarsi la faccia con dell'acqua fredda, ma fece appena in tempo a girare la chiave della porta, prima riversarsi sul water e vomitare.
In quel momento, Mia sentì di odiare sua sorella, i suoi commenti taglienti erano stati la ciliegina sulla torta e alla fine il suo stomaco non aveva retto. Odiava il potere che Angela esercitava su di lei e odiava che a causa sua adesso aveva la testa ficcata dentro il water di un bagno pubblico. Di chi altri, se non di Angela poteva essere la colpa? Al secondo conato di vomito, però, Mia fu assalita da un enorme dubbio.
Non ci aveva fatto caso, perché era stata distratta da altro; il pub, la scuola, la sua famiglia, l'avevano stressata ultimamente e quando il ciclo non era arrivato non aveva ceduto agli allarmismi. Aveva già avuto sporadici episodi di amenorrea causati dallo stress, non era niente di preoccupante, Mia si era fatta controllare.
Questa volta, però, era diverso, era andata a letto con un uomo, per due volte, e la seconda volta, Max con aveva usato nessuna precauzione. Mia ricordava che era accaduto il pomeriggio del suo incontro con Angela.  Era sconvolta e una volta arrivata a casa del ragazzo gli era saltata addosso e, presi dalla passione, i due non avevano usato il preservativo. Solo che il ragazzo, Mia lo ricordava distintamente, era stato attento a non eiaculare dentro di lei. La possibilità che fosse rimasta incinta, quindi, era statisticamente irrilevante, eppure adesso era inginocchiata sul pavimento di un bagno di dubbia pulizia, a rimettere.
Mia si alzò in fretta e dopo essersi lavata la faccia, lasciò il bagno, intenzionata ad andare via. Aveva bisogno di sapere se i suoi sospetti erano supportati da qualcosa di più di un semplice calcolo matematico. Doveva andare in farmacia e comprare un test.
Arrivata in fondo alle scale che aveva fatto correndo, si scontrò con Gigi che stava venendo dalla direzione opposta.
«Ehi, dove corri?»chiese.
«Ehm.. devo andare, scusa, dai un bacio ai gemelli da parte mia.»
«Aspetta, Mia,» Gigi la fermò allarmato  «che succede?»
«Niente di grave, mi sento poco bene.»
«Si tratta di Angela? Avete discusso?»
«No...cioè sì, ha fatto la stronza come al solito, ma non sto andando via per questo.»
«Ce la fai a tornare a casa da sola? Hai una faccia.»
Mia cercò di tranquillizzare il cognato con un sorriso forzato.
«Sì, tranquillo, grazie.»
Gigi, anche se scettico, la lasciò andare e Mia, senza preoccuparsi di salutare la sua famiglia, salì in auto e sfrecciò via.
Mia una volta a casa pensò che la parte difficile era stata entrare in farmacia, a ridosso dell'orario di chiusura e chiedere un test di gravidanza; ma si ricredette quando realizzò che il bastoncino di plastica sul quale aveva fatto pipì avrebbe stabilito la misura in cui la sua storia con Jenny era rovinata. Perché, era ormai fuor di dubbio, che lo fosse. La ragazza aveva, infatti, deciso che, qualsiasi fosse stato il risultato di quel test, avrebbe parlato con Jenny. Fare un test di gravidanza era una cosa troppo importante e non poteva tenerla nascosta alla sua compagna.
I minuti che Mia dovette aspettare per sapere il risultato furono estremamente lunghi, e quando i suoi timori furono confermati, sperò che la compagna tornasse a casa presto. Fu in parte accontentata, Jenny entrò a casa che erano da poco passate le undici e questo poteva solo voler dire che la serata era andata male.
Questo pensiero la fece sentire ancora più colpevole, perché tra qualche minuto Mia con le sue cattive notizie avrebbe aggiunto il carico da novanta alla brutta giornata di Jenny.
Non aveva il coraggio di guardare la compagna in faccia; e anche quando questa, allarmata dai suoi occhi gonfi, le aveva chiesto se fosse tutto a posto, la ragazza cercò di evitare il suo sguardo più possibile.
«Jennifer, dobbiamo parlare.» disse Mia finalmente.
«Jennifer? Se mi chiami così, mi fai preoccupare.»
Mia chiuse per un attimo gli occhi, poi fece segno a Jenny si sedersi affianco a lei.
«Mia, stai bene?»
Presto, pensò Mia, la preoccupazione di Jenny avrebbe lasciato il posto alla delusione e alla rabbia.
Era inutile cercare giustificazioni, o tirarla per le lunghe, perciò dopo aver preso un lungo respiro, tenendo lo sguardo basso, Mia disse:
«Ti ho tradita, Jenny.»
Mia sentì distintamente il rumore della compagna che deglutiva.
«C...cosa?»
«Ti ricordi il tizio per il quale abbiamo litigato in paio di mesi fa?»
Jenny annuì a fatica.
«Ti ho mentito, non gli ho detto che ero impegnata, perciò lui mi ha lasciato il numero e si è preso il mio. Ti giuro, Jenny, che non avevo cattive intenzioni e i messaggi che ci siamo scambiati all'inizio non avevano nulla di male. Un giorno, però, mi ha chiesto di uscire e io ho accettato. Ci siamo visti e sentiti per un paio di settimane, su per giù, e, Jenny, ci sono andata a letto solo due volte, credimi, ma ho chiuso con lui, promesso.»
Jenny non parlava e Mia le lasciò il tempo per elaborare la cosa.
«Come si chiama?»chiese Jenny dopo un po'.
«Si chiama Max e fa il vigile del fuoco.»
Jenny si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro per il salotto.
«Ecco perché eri così scontrosa e lunatica» disse senza fermarsi «e perché stavi sempre al telefono; parlavi con lui, non è vero?»
«Sì, Jenny.»
«E quel giorno, al mare, quando ti ho chiesto se c'era qualcosa che non andava e mi hai risposto che si trattava di tua sorella hai mentito, sbaglio?»
«No, non sbagli. Ma ti giuro Jenny che quando siamo andate al mare assieme avevo già chiuso con lui.»
«Aspetta,» disse Jenny fermandosi improvvisamente «è per lui che hai litigato con Maria? Ed è per questo che non si è fatta più vedere né sentire.»
«Sì, il giorno che sarebbe dovuta passare dal pub, Max si è presentato a scuola, Maria l'ha visto e si è arrabbiata.»
«Mia, questo è successo dopo la nostra giornata al mare, se avevi chiuso che ci faceva a scuola? Cazzo, continui a mentire!»
Mia alzò le mani per fare segno a Jenny di calmarsi.
«Jenny, amore...»
«Amore un cazzo!»
Mia sospirò e ricominciò.
«Jenny, non sto cercando di giustificarmi e non ti sto mentendo. Quello che ti ho detto all'inizio è la verità, l'ho frequentato per un paio di settimane, ma poi ho chiuso. E sì, lui si è presentato a scuola perché voleva un'altra possibilità e  ammetto che la cosa mi ha causato dei dubbi, ma non ho ripreso a frequentarlo. Ho capito che lui non era mai stato niente per me e che amo solo e unicamente te. E io non volevo neanche dirtelo, perché non ne vedevo il senso, scaricarti questa cosa addosso non serviva né a me né a te, ma....»
Mia esitò. Il nodo alla gola che le si era formato le impediva di parlare.
«Ma, cosa?»
«Sono incinta, Jenny.»
Jenny, che fino a quel momento si era mossa avanti e indietro per il salotto, era, ora, come bloccata e l'espressione con cui guardava Mia racchiudeva tante cose. Mia ci vide, non solo la rabbia e la delusione, preventivare, ma anche il dolore.
Lentamente Jenny avanzò verso una delle poltrone e si sedette, ma non sembrava avere intenzione di parlare.
Mia, per la quale quel silenzio stava diventando insopportabile, impaziente disse:
«Jenny, di qualcosa...»
Jenny esitò ancora qualche secondo, poi imperturbabile disse:
«Devi andare via da questa casa.»
«Ti prego, parliamone, non essere precipitosa ..."
«No, Mia, non c'è niente di cui parlare. Voglio avere dei figli con te e lo sai. Ne abbiamo parlato fin dai primi mesi della nostra relazione, ci siamo sempre dette che quando saremmo state pronte e un po' più stabili con il lavoro, ci avremmo provato, e, invece, arriva uno stronzo che ti scopa un paio di volte e puff, sei incinta, ma questa non è neanche la cosa che mi ferisce di più. A farmi male è che hai mentito a lui su di me. Ti sei finta una donna libera per fare i tuoi comodi, nonostante tu sappia, perché mi conosci, che se fossi venuta da me subito e mi avessi detto che eri confusa, che provavi attrazione per qualcun altro, io ti avrei ascoltata e capita e avremmo trovato una soluzione insieme.»
«Jenny, io non pensavo...»
Mia non finì la frase perché Jenny disse:
«Basta, Mia. Porta via lo stretto necessario, il resto della roba lo potrai prendere in un altro momento.»
Mentre Jenny si alzava, Mia, disperata, l'afferrò per il braccio.
«Jenny,» insistette «rimarrò qui sul divano per stanotte, ma ti supplico parliamone.»
Jenny con un gesto brusco si sottrasse alla presa di Mia.
«Esci fuori da casa mia.» ordinò perentoria.
Jenny, da quando lei si era trasferita, si era sempre riferita a quell'appartamento come “casa nostra”, anche se sul contratto c'era solo il suo nome. Sentire, adesso, che la ragazza si riferiva alla casa intenzionalmente come sua, aveva fatto capire a Mia sarebbe stato inutile insistere e, in lacrime, non poté fare altro che raccogliere tutto ciò che le sarebbe servito per i giorni successivi in una valigia, e fare quello che le era stato ordinato.
Prima di uscire, Jenny la richiamò e per un attimo Mia si illuse, senza averne le basi, che avesse cambiato idea, ma fredda come il ghiaccio la ragazza disse:
«Lascia le chiavi.»
Un altro colpo al cuore per Mia. Quella frase era un altro mattoncino sul muro che avrebbe potuto segnare il distacco definitivo tra loro due.
Ma la cosa che più faceva male era che era stata lei stessa a mettere le fondamenta di quel muro quando aveva accettato il numero di Max e via via aveva aggiunto un pezzo ogni volta che aveva ceduto alle sue attenzioni.
Salita in auto, Mia gettò uno sguardo in direzione dell'appartamento che aveva lasciato, mentre si asciugava le lacrime che, per tutto il tempo,  non avevano smesso di cadere.
Smise di singhiozzare. Jenny era ferita ma la loro storia non era ancora finita. Mia aveva fatto una cazzata, ma amava troppo la sua compagna per permettere che questo le separasse. Perciò, avrebbe lottato con tutta sé stessa ad abbattere il muro che aveva costruito e se si fosse rivelato necessario, ci avrebbe provato persino per un secolo intero.
Il futuro di Mia era assieme a Jenny e quella che adesso stava guardando era ancora la loro casa.

Nulla all'infuori di séDove le storie prendono vita. Scoprilo ora