Ci erano voluti due giorni per scoprire cosa non andasse con l'impianto elettrico del locale, e una volta individuato l'origine del malfunzionamento, il dolo era stato palese.
L'elettricista, che aveva preso a cuore i problemi di Jenny, si era dato una manata in fronte appena aveva scoperto dove stava l'inghippo.
«Come ho fatto a non pensarci prima?» aveva esclamato, sotto lo sguardo della ragazza, curiosa e, allo stesso tempo, speranzosa che la cosa fosse risolvibile.
«Ho controllato minuziosamente tutte le prese,» aveva continuato l'uomo «ma non ho pensato alle cassette di derivazione.»
Il problema, infatti, era che il colpevole, chiunque fosse, non aveva fatto altro che svitare la scocca, aprire la cassetta e tagliare un paio di fili causando l'interruzione della corrente elettrica in tutto il locale. Il professionista aveva, quindi, ricollegato i fili e ripristinato la rete in neanche venti minuti e Jenny era stata costretta ad ammettere che si era trattato di un piano geniale. Reduci, infatti, da un problema ben più serio a nessuno era venuto in mente di controllare una cosa banale come le derivazioni che erano state messe a nuovo di recente e, se lo scopo era quello di creare un danno economico, la ragazza pensava che in parte fosse stato raggiunto, il locale per quello scherzetto aveva perso l'incasso di due giorni.
Se da un lato l'obiettivo era più o meno intuibile, dall'altro, Jenny non aveva idea chi tra il suo staff potesse essere il responsabile. Per un mero ragionamento logico, si sentì di escludere i camerieri della sala e i due commis di cucina, nessuno di loro rimaneva mai al locale da solo, perciò la cerchia dei sospettati si restringeva a tre persone, ossia, le uniche, a parte lei e Mia, a conoscere il codice di allarme del locale: Olivia, José e Antonio che, di recente, aveva cominciato a sostituire il capo cuoco ogni tanto quando si trattava di ricevere i fornitori la mattina.
Per i crimini, però, sono altrettanto necessari l'opportunità e un movente, e se la prima ai tre non mancava di certo, il secondo risultava ancora occulto. A Jenny, infatti, sfuggiva quale potesse essere il motore che aveva alimentato quegli atti sconsiderati; se il pub rimaneva chiuso, ne perdevano tutti.
La ragazza aveva riaperto, quindi, il locale con un enorme peso sulle spalle e con la promessa di tenere gli occhi ben aperti.
Il lavoro, però, non era l'unica preoccupazione ad occupare la mente di Jenny. Recentemente sembrava che qualcosa non andasse neanche con Mia. L'umore della ragazza era un po' volubile: alle volte era scostante e scontrosa, come quella volta che era tornata a casa dopo aver cenato con le amiche e aveva trattato Jenny in malo modo; altre in cui aveva la testa tra le nuvole e non sembrava ascoltare quello che le si diceva e altre ancora, e fortunatamente per ora erano la maggior parte, in cui era la solita Mia.
A circa dieci giorni dalla riapertura, Jenny la trovò che parlava al telefono piuttosto seria e, nel tentativo di capirci di più, si avvicinò di soppiatto per ascoltare. Appena, però, scoprì con chi la compagna stava parlando, pensò che il suo malumore, stavolta, fosse più che giustificato.
«Mia sorella vuole vedermi in centro oggi pomeriggio. E io ho accettato.» disse Mia una volta chiusa la telefonata con lo stesso tono di chi aveva ricevuto una sentenza di morte.
Jenny si avvicinò alla compagna, la quale fino a poco prima preparava le attività scolastiche occupando il solito posto in un angolino del salotto.
«Non ne potevi fare a meno?» chiese accarezzando i capelli di Mia.«Come?! Se le avessi detto di no, sarebbe stata la quarta volta.»
«Pensa che almeno non ci sono i tuoi genitori. Si tratta solo di trascorrere un'oretta con lei. Ce la puoi fare.»
Mia si stropicciò gli occhi con la mano destra e disse:
«Di farcela, ce la faccio. Ma non credo di averne molta voglia.»
Jenny, allora, le prese per mano e la fece alzare.
«Vieni qui.» le disse stringendola tra le braccia.
«Non mi piace la mia famiglia.» disse la compagna mentre ricambiava l'abbraccio «Posso farmi adottare dalla tua?»
«Non ce n'è bisogno di renderlo ufficiale. Mia madre preferisce te a me.»
«Non è vero!»
«Ti giuro!» ridacchiò Jenny «Me l'ha detto lei stessa lo scorso Natale.»
Mia rise e strinse ancora più forte la presa.
«E comunque io e te siamo una famiglia.» aggiunse seria Jenny.
Mia si staccò quel tanto che bastava per guardarla in faccia e le rivolse un sorriso che sembrava un po' amareggiato. Poi le diede un bacio a stampo e disse:
«Ora però è meglio che continui a stampare le stagioni. Una bimba in classe l'altra volta mi ha chiesto se la neve esistesse davvero perché lei non l'ha mai vista.»
Jenny lasciò la compagna al proprio lavoro e quando fu il momento si preparò per andare al locale.
Erano le quattro e si apprestava ad uscire, dopo aver fatto due passi sul pianerottolo, però, tornò in dietro e chiese a Mia:
«A che ora ti vedi con tua sorella?»
«Mi ha dato appuntamento alle cinque e mezza, perché?»
«Allora, perché non vieni al pub e ceniamo assieme?»
«No, grazie amore, voglio tenermi libera nel caso la mia amorevole sorella volesse passare la serata con me.»
Jenny ci mise qualche secondo di troppo a cogliere il sarcasmo.
«Se succede, dimmelo, così chiudo il locale e mi preparo per l'arrivo dell'apocalisse.» rispose ridendo.
Mia le sorrise e chiese:
«Per le 20:30 va bene?»
«Mmm...facciamo ventuno.»
Mia annuì e Jenny lasciò l'appartamento.
Lungo il breve tragitto verso il lavoro, però la sua mente iniziò a vagare. Non era pienamente soddisfatta della conversazione che aveva avuto quel pomeriggio con Mia. Quando le aveva detto che loro due insieme erano una famiglia, si era spettata qualcosa di più di un sorriso e un bacetto sulle labbra. La compagna, invece, le aveva sorriso come se lei fosse un premio di consolazione.
Al di là di quella risposta poco soddisfacente, c'era un dettaglio che aveva colpito Jenny, ultimamente. Mia aveva preso a controllare in maniera quasi ossessiva il suo cellulare, verso cui aveva sviluppato una certa possessività. Inoltre, Jenny credeva che lo tenesse perennemente in modalità silenziosa; numerose volte l'aveva vista rispondere a messaggi che non aveva sentito arrivare.
Entrò nel pub vuoto con la mente ancora occupata da Mia e neanche la parlantina di Olivia, che arrivò poco dopo, riuscì a distrarla.
«Il tuo cellulare suona?»
Jenny aveva interrotto Olivia all'improvviso, senza rendersi conto che la domanda fuori contesto non poteva avere senso per la ragazza che infatti, sarcastica rispose:
«Il mio balla.»
Jenny rise e cambiò approcciò.
«Perché si mette il cellulare in modalità silenziosa, secondo te?»
«In genere per non disturbare o per non essere disturbati. Ma ho l'impressione che non è questo che vuoi sapere.» disse la ragazza che, adesso, guardava il suo capo con la testa piegata di lato e gli occhi semichiusi.
«Mi chiedevo se trovi che sia un atteggiamento, non so.... sospetto.»
«Beh sì, Jenny, credo che se metti il silenzioso e perché non vuoi fare sapere alle persone quanti messaggi ti arrivano. Soprattutto se sono molti.»
Una volta che lo aveva sentito pronunciato alta voce da un'altra persona, quel sospetto non poteva essere più ignorato.
Jenny guardò l'orologio e pensò che se si sbrigava faceva in tempo.
«Mi presti l'auto?» disse brusca a Olivia che a quella richiesta spalancò gli occhi.
«Per andare dove? Tra poco apriamo!»
«Te lo dico dopo promesso, ma posso prenderla?»
Olivia era perplessa, ma le porse le chiavi senza fiatare.
Jenny, per la prima volta nella sua vita, stava per fare qualcosa di cui non si credeva capace: seguire la propria compagna.
Raggiunse il loro appartamento e vide che l'auto di Mia era ancora parcheggiata. Aveva fatto in tempo per un pelo, perché neanche un minuto dopo il suo arrivo, Jenny vide la ragazza salire in auto. Era un po' troppo elegante per l'occasione, ma quello non era un indizio affidabile. Mia era sempre in soggezione quando si trattava di incontrare sua sorella ed era comprensibile che avesse messo più cura nel vestire.
Jenny ebbe non poche difficoltà a seguire la compagna senza farsi notare, ma riuscì nell'impresa e, arrivata a destinazione, parcheggiò a debita distanza e la seguì mentre entrava in un bar.
Mia si era messa seduta a uno dei tavoli vicino la vetrata e Jenny pensò che l'universo quel giorno le voleva bene perché in quella posizione non aveva nessuna difficoltà a vederla pur rimanendo lontana. Sapeva che la compagna non amava particolarmente sedersi vicino alle vetrate, perciò credeva che l'avesse fatto per avere l'illusione di avere una via di fuga dalla sorella.
Ammesso che fosse proprio la sorella che Mia stava per incontrare; la telefonata era stata reale, ma Jenny si era domandata se la compagna non l'avesse usata come scusa per vedere qualcun altro.
Appena, però, vide quella che in teoria doveva essere sua cognata ma che non si era mai definita tale, Jenny tirò un sospiro di sollievo e, per la prima volta in vita sua, fu felice di vederla. La donna entrò nel bar e si sedette di fronte alla sorella e lei, improvvisamente, si sentì colpevole, soprattutto adesso che, nonostante fosse piuttosto lontana, capiva quanto doveva essere tesa la sua ragazza per quell'incontro. Tornò sui suoi passi con la coda tra le gambe.
Jenny rientrò al locale appena qualche minuto dopo l'orario di apertura, nessun cliente era ancora arrivato e trovò Olivia che parlava al cellulare.
Appena la vide, la ragazza con espressione mortificata, indicò il telefono e mimò con le labbra la parola scusa, Jenny però scosse la testa e alzò la mano, per farle segno di non preoccuparsi.
Non aveva mai vietato l'uso del telefono ai suoi dipendenti perché confidava nel loro buon senso e Olivia ne aveva abbastanza.
Inoltre, Jenny aveva altro a cui pensare; si sentiva una stupida per aver seguito Mia, aveva bisogno di stare da sola per un po' nel suo ufficio, almeno fino a quando sarebbe cominciata la ressa.
Erano passati almeno una ventina di minuti quando qualcuno bussò alla sua porta.
Era Olivia che, all'invito di Jenny di entrare, si avvicinò alla scrivania.
«Allora, mi spieghi che hai combinato? Anche se ho il sospetto abbia a che fare con Mia.» chiese la dipendente.
«Te lo dico anche se non faccio bella figura. Mia aveva un appuntamento con la sorella e io l'ho seguita per vedere se fosse effettivamente la sorella la persona che doveva vedere.»
«Sei seria?!»
Olivia aveva cercato di celare il tono di rimprovero senza riuscirci.
«Te l'avevo detto che non facevo bella figura. Perché effettivamente Mia si è vista con la stronza della sorella.»
Jenny appoggiò i gomiti sul bancone della scrivania, si mise il volto tra le mani e continuò:
«Il fatto è che è strana in questo periodo: a tratti è nervosa, a tratti è distratta. E poi c'è la storia del cellulare...»
«...che è sempre in modalità silenziosa. È di questo che si trattava allora? Hai pensato che ti tradisse?»
«Sì.»
Olivia la scrutò per qualche secondo con le braccia incrociate.
«Perché invece di fare il detective non le chiedi cosa c'è che non va?»
«E se mi mentisse?»
«E se ti dicesse la verità?»
«Gliene parlerò stasera, verrà qua a cena.» concluse Jenny.
Olivia, dopo aver sorriso, fece per andare via, ma si fermò improvvisamente e disse:
«Dimenticavo che ero venuta per dirti una altra cosa. Mancano le bottiglie di Cognac; ho dovuto dire scontentare un paio di clienti. Ma non mi hai detto che mancava.»
«Non ti ho detto che mancava, Olivia, perché c'è. Nei due giorni che il pub è stato chiuso ne ho approfittato per fare l'ennesimo inventario.»
Olivia alzò le spalle, mentre Jenny, messasi in piedi, cercava qualcosa tra i fogli della scrivania.
«Dove l'ho messa....ah eccola!»
Mostrò una ricevuta alla giovane bartender, che ora aveva un'espressione dubbiosa.
«Jenny, non so che dirti. Non le trovo.»
«Non è possibile che sia finito,deve essere da qualche parte.»
«Sento i ragazzi per vedere se qualcuno ha spostato qualcosa, o peggio ancora rotto le bottiglie, anche se me ne sarei accorta se l'avessero fatto.»
La carne mancante, le birre sbagliate, l'impianto manomesso e adesso le bottiglie che si erano volatilizzate......un pensiero fugace attraversò la mente di Jenny: no, non erano coincidenze, erano tutte opere della stessa persona.
Fu tentata di chiedere ad Olivia se mancava qualcos'altro, poi però si disse che avrebbe fatto meglio a controllare personalmente.
Il resto della serata procedette senza altri colpi di scena, e quando Mia arrivò all'orario stabilito, Jenny aveva tutto sotto controllo e poté sedersi insieme alla compagna.
Notò che era vestita diversamente da come l'aveva vista poche ore prima, era meno elegante, ma sempre bellissima. Sicuramente si era messa in tiro per sua sorella e quando era tornata a casa aveva optato per qualcosa di più comodo.
Jenny strinse in un abbraccio la compagna, la quale però, scura in volto, aveva ricambiato in maniera piuttosto fredda.
«Allora come è andata con tua sorella?» chiese dopo aver portato la loro ordinazione in cucina.
Mia non rispose e si limitò a mettere una busta da lettera sul tavolo. Jenny l'aprì e lesse il contenuto.
«Ma manca un botto di tempo al compleanno dei gemelli.»
«Oddio, Jenny, credi sia questo il problema di questo invito? Leggi bene.»
Jenny scosse la testa perché non capiva.
«C'è solo il mio nome.» spiegò Mia.
«Beh... tua sorella avrà pensato che se scriveva anche il mio nome l'invito avrebbe preso fuoco per autocombustione.»
La battuta era sembrata divertente a Jenny, ma la compagna non rideva.
«Non c'è il tuo nome perché non sei invitata.»
Jenny sospirò. Onestamente, non le importava niente; non aveva nulla contro i bimbi, per carità, avrebbero avuto comunque il regalo di compleanno da parte sua, ma, pur comprendendo le implicazioni di quel mancato invito, non si sentiva legata a loro particolarmente da prendersela. Per Mia però era diverso, era la sua famiglia ed era normale che ci fosse sentita rifiutata.
Gettò uno sguardo verso il bancone dove c'era Olivia che le guardava. La ragazza le fece un sorriso, forse per incoraggiarla a seguire il consiglio che le aveva dato poco prima, ma adesso che si trovava di fronte a Mia sconvolta, come troppe volte era accaduto, a causa della sua famiglia, non ritenne fosse il caso di affrontare le questioni che la turbavano. Decise di rimandare.
La cena fu piuttosto silenziosa e appena finito di mangiare, Mia con la scusa che era stanca abbandonò il locale dopo appena un'ora che ci aveva messo piede.
Jenny,nel corso della serata, rifletté sulle innumerevoli le volte in cui Mia aveva avuto dei dissapori con la sua famiglia e, a dirla tutta, escludere la compagna da una festa di compleanno, non era la cosa peggiore che avevano fatto nei suoi confronti. Eppure, invece di dare in escandescenza come faceva di solito, la ragazza, questa volta, era diventata laconica e lunatica. Era piuttosto atipico. Mia doveva essere proprio ferita.
«Allora com'è andata?» chiese Olivia a Jenny, quando il locale fu abbastanza vuoto da permettere loro di scambiare quattro chiacchiere.
«La sorella di Mia ne ha combinata un'altra delle sue e non mi è sembrato il caso di turbarla con le mie paranoie. Ti giuro, Olivia, la sua famiglia è insopportabile. Non capisco perché non li mandi definitivamente a quel paese!»
«Non capisci, Jenny, perché hai una madre che ti adora. Non è così per tutti, compresa la sottoscritta. Si tratta pur sempre della sua famiglia e non deve essere facile per lei. Sa che starebbe meglio senza di loro, ma vuole loro bene e non può fare a meno di illudersi che andrà meglio. Fidati, è così, io mi sono illusa per anni.»
Il discorso di Olivia non conteneva nessun biasimo, Jenny lo sapeva, tuttavia non riuscì ad evitare di sentirsi in difetto e, quindi, cambiò argomento.
«Hai avuto modo di scoprire se qualcuno ha rotto qualcosa?»
«Giurano tutti che non hanno toccato niente, ma tu sei sicura che le bottiglie sono effettivamente arrivate?»
«Ti ho mostrato la ricevuta, no?»
«Sì, ma circa due settimane fa lo hanno fatto con le birre, non è detto che non sia successo la stessa cosa con il Cognac, magari ti è sfuggito, voglio dire, è comprensibile hai pensieri per la testa per via di Mia.»
Ancora una volta, Jenny sapeva che non era nelle intenzioni della ragazza rimproverarla, ma si sentì comunque piccata. Inoltre, non aveva apprezzato quel riferimento alla sua vita privata.
«Olivia, non mi sono rincoglionita! Quelle bottiglie c'erano, punto.»
La giovane bartender assunse un'espressione di scuse, anche se Jenny non credeva che fosse del tutto sincera. Era evidente che pensava si trattasse di una svista, ma anche se era pronta ad ammettere che ultimamente era un po' distratta da Mia, non lo era così da fare un casino con gli ordini.
Olivia si scusò e stava per tornare a lavoro, ma Jenny meditabonda la fermò:
«La maggior parte dei clienti qua ordina birra o vino, confermi?»
«Sì, più rosso che bianco, per essere precisi.»
«Il resto è occasionale, no? Voglio dire, quanti cocktail servi in una serata?»
«Pochi, e la maggior parte sono a base di rum....ohhh»
Olivia si interruppe, era arrivata a quello che il suo capo stava cercando di dirle.
«Stai dicendo che qualcuno potrebbe averle rubate?»
«Pensaci, Olivia, prendere una cosa che non si usa spesso, dà meno nell'occhio.»
La ragazza scosse energicamente la testa interrompendo Jenny.
«So che può sembrare così, ma ci sono delle cose che non tornano. Innanzitutto, non credo che nessuno dei ragazzi del bar abbia idea della frequenza con cui serviamo le cose, quindi non sono in grado di fare questa differenza, secondo, non credo che nessuno di loro sia il tipo da fare una cosa del genere. Voglio dire Jenny, rischieresti di perdere il posto di lavoro, per quanto, poche centinaia di euro? Perché è di questo che stiamo parlando, se ho fatto bene i conti. Perciò, capisco la tua sicurezza e so che sei una persona precisa, ma dai un'occhiata approfondita agli ordini. Secondo me la soluzione è lì.»
Il ragionamento di Olivia era perfettamente logico e nessuno meglio di lei conosceva il bar, tuttavia Jenny rimase infastidita dall'ultima frase che aveva un vago retrogusto di accondiscendenza.
Fece un debole cenno di assenso con il capo e la ragazza, che forse pensava di aver convinto il suo capo, sorrise e si allontanò.
Jenny incrociò le braccia e si appoggiò con in fianchi sul bancone del bar. In piedi, da lì, poteva osservarlo quasi tutto. Aveva comprato quel posto cinque anni prima, ed era riuscita a farlo, soprattutto, grazie all'aiuto di sua madre. Motivo per cui, il locale portava il nome della donna, Dalia, la quale, quando aveva scoperto come la figlia aveva nominato il pub, aveva esclamato: "ma non sono mica morta!"
Quando Jenny aveva raccontato quella aneddoto a Mia, durante uno dei loro primi appuntamenti, la ragazza aveva riso, ma poi seria le aveva detto che era una cosa molto dolce che avesse pensato alla madre e che si vedeva che teneva molto al suo lavoro.
E proprio perché c'era molto in ballo, Jenny non era mai approssimativa o superficiale, perciò, Olivia poteva dire quello che voleva, ma lei sapeva, anzi era certa, che qualcuno a lei vicino, forse addirittura la ragazza stessa, stava cercando di affossare il pub e aveva tutte le intenzioni di non mollare finché non avesse scoperto il colpevole.
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Nulla all'infuori di sé
RomanceMia e Jenny stanno insieme ormai da tre anni. A minare la stabilità del loro rapporto, sarà un uomo entrato per caso nel pub di cui Jenny è la proprietaria. L'incontro con Max infatti, costringerà le donne a fare i conti con le dinamiche del loro...