25

56 6 0
                                    

Era trascorsa un'altra settimana e il giorno delle dimissioni di Mia era finalmente arrivato; Jenny, però, era talmente impaziente all'idea di riportare la compagna a casa che non era riuscita a chiudere occhio quella notte.
Arrivò, infatti, in ospedale con abbondante anticipo, intenzionata a dare una mano a Mia ad uscire da lì prima posso, ma l'infermiere che l'aveva fatta entrare in reparto la bloccò all'ingresso.
«Non c'è bisogno di andare in stanza. Sua moglie sarà qui tra un paio di minuti,» la rassicurò «il tempo di firmare il foglio dimissioni.»
Jenny annuì sorridendo, senza curarsi di correggere l'errore dell'uomo. Doveva ammettere che pensare a Mia nel ruolo di moglie le faceva un certo effetto. Il matrimonio non era mai stato sul tavolo nella loro relazione, eppure nel sentire un estraneo parlarne con naturalezza, Jenny si sorprese a pensare che non suonava affatto male.
L'infermiere fu di parola. Appena un paio di minuti dopo, Jenny lo vide tornare guidando la sedia a rotelle con sopra un'imbronciata Mia.
«Puoi dirgli per favore che posso camminare da sola?» protestò la compagna appena la vide.
«Potresti sì, dovresti no!» rispose l'infermiere «Mia, non essere testarda, non hai percorso più della lunghezza di questo corridoio, in questi giorni. Perciò, uscirai da qui con la sedia a rotelle.»
Mia, con aria di supplica, guardò Jenny, la quale, però, fece spallucce dicendo:
«Credo che abbia ragione.»
Quindi, alla ragazza non rimase altro che rassegnarsi e lasciarsi scarrozzare in giro.
Per tutto il tragitto verso l'uscita, l'uomo non fece altro che prendere in giro Mia, dicendole che aveva vinto il premio come paziente più rompipalle dell'anno, mentre la ragazza faceva finta di credergli, ma appena giunti al parcheggio le chiese serio:
«Posso salutarti come si deve?»
«Sì, certo»
I due si abbracciarono per una manciata di secondi e quando si staccarono l'uomo mise le mani sulle spalle di Mia e disse serio:
«Ti raccomando, non farti più vedere.»
«Promesso.»
In auto Mia, però, si fece silenziosa, Jenny la osservò con la coda dell'occhio:  aveva appoggiato la testa sul finestrino con lo sguardo rivolto fuori e, nel mentre, aveva nascosto le mani giunte in mezzo alle gambe.
«A che pensi, bambola?» chiese mettendo una mano sulla coscia della compagna.
Mia sollevò la testa, prima di rispondere.
«Stavo pensando che questa è l'auto di tua madre.»
«Ha detto che non è un problema per lei prestarmela, in questi giorni per andare a lavoro se l'è cavata con qualche passaggio da una collega che abita vicino casa sua.»
Mia emise un leggero sbuffo.
«Non si tratta di questo, so che a tua mamma non dispiace aiutarci. Si tratta del fatto che la nostra auto è distrutta per colpa mia. Riuscissi, almeno, a ricordare che diamine è successo quella sera! E ora che sono rimasta senza lavoro, non so se ce ne possiamo permettere un'altra.»
«Mia, il pub sta andando, non come prima, ma i clienti ci sono. Inoltre, non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo prenderci un'auto nuova. Ne troveremo una di seconda mano.»
Mia tornò a guardare fuori dal finestrino per qualche secondo per poi girarsi di nuovo verso Jenny e dire:
«Forse avrei dovuto accettare i soldi dei miei.»
La frase, pronunciata in maniera atona, spiazzò Jenny che per poco non frenò di colpo.
«Aspetta! Cosa?»
«L'altro pomeriggio i miei sono piombati in stanza all'improvviso...»
«E io dov'ero?»
«Mica scemi, hanno aspettato che tu andassi via. Sono arrivati quando l'orario di visite era finito, ma a mia mamma è bastato giocarsi la carta della madre preoccupata affinché il personale chiedesse un occhio e li facesse entrare.»
«E ti hanno offerto dei soldi, così dal nulla?»
«Non proprio. Hanno cominciato a girare intorno sul fatto che non ho più un lavoro e che comunque lavorare nella scuola privata non è stata una buona idea, soprattutto considerato che non ho un marito, una tragedia imperdonabile a sentire loro, e, perciò,si sono offerti di cointestarmi un conto dove hanno versato dei soldi.»
«Cointestato con i tuoi, intendi?»
«Beh sì, non lo hanno detto esplicitamente, ma mi hanno fatto capire che se avessi voluto i soldi sarei dovuta tornare a casa con loro. Ad ogni modo, ho risposto che i soldi li potevano conservare in un luogo buio e stretto, certo non sarebbero aumentati, ma almeno si trattava di un posto sicuro.»
Jenny rise, ma la compagna rimase seria.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto avere a che fare con loro.»
«Ho la pelle dura.»
«E mi dispiace anche per il lavoro perché sarò senza stipendio chissà per tutta l'estate e, Dio solo sa, se riuscirò a trovare una scuola a settembre.»
«Ehi, Mia, calmati! Ce la caveremo e non mi importa quello che pensano i tuoi della nostra relazione.  Se non troverai un posto a settembre o anche decidessi di cambiare lavoro e investire, che so io, in un corso per diventare tatuatore, io ti supporterò chiaro?»
Mia annuì, ma i suoi occhi erano diventati lucidi, mentre Jenny le strinse la coscia per farle capire che intendeva sul serio quello che aveva detto.
«Aspetta!» disse quest'ultima dopo qualche secondo ritirando la mano «Quando prima hai detto che forse avresti dovuto accettare, intendi dire che hai preso in considerazione l'ipotesi di andare a stare da loro?»
«Non essere ridicola! Sarei scappata con i soldi e sarei tornata da te.»
Quando finalmente giunsero a casa, per Jenny fu come se tutto finalmente fosse tornato al proprio posto. Vedere Mia nel loro appartamento era la cosa più naturale al mondo e si chiese come le fosse venuto in mente di mandarla via. Mia aveva sbagliato, non c'erano dubbi, tuttavia Jenny non avrebbe dovuto arrendersi, anche a costo di litigare per giorni, lanciarsi cose addosso e  andare a dormire dandosi le spalle;  almeno Mia sarebbe sempre stata dove doveva essere: a casa.
Questo pensiero rattristò Jenny; Mia, invece, aveva ritrovato il sorriso, contenta forse di essere finalmente  fuori dall'ospedale.
«Sai cosa mi è mancato più di tutto?» disse Mia mentre andava verso il corridoio.
«Me?!»
Mia ridacchiò.
«Parlavo di cose materiali, Jenny. Ovvio che tu, più di tutti, mi sei mancata da morire.»
«Cosa, allora?»
«Il bagno. Voglio farmi una doccia finalmente come si deve.»
Mia schioccò un bacio sulle labbra di Jenny e sparì verso il corridoio.
Jenny rimase sola ad occuparsi delle cose di Mia. Non c'era poi molto da sistemare, la compagna aveva avuto con sé solo un piccolo borsone perché lei stessa si era occupata di portarle vestiti puliti e di riportarsi quelli sporchi a casa durante quell'ultima settimana. Ne approfittò, però, per rimediare al disordine che aveva lasciato in quei giorni. C'era, infatti, una pila di bucato che doveva essere sistemata e la cura della casa, dall'incidente della compagna, non era stata esattamente in cima ai suoi pensieri.
Mia uscì dal bagno dieci minuti dopo, con indosso solo un telo, e raggiunse Jenny in camera da letto, mentre questa stava riponendo della biancheria nei cassetti.
«Non dovevi sistemare le mie cose, lo avrei fatto io più tardi.» disse Mia sedendosi sul letto.
«Tranquilla, come vedi, ho lasciato un casino in questi giorni. Come è andata la doccia?»
«Bene, è stato bello poter usare di nuovo il rasoio e il mio bagnoschiuma preferito alla vaniglia.»
Jenny nel frattempo continuava a piegare la biancheria.
«Lo so, bambola; avrei dovuto portarti il tuo, invece di prenderne uno a caso al supermercato. Non ci ho pensato.»
«Non fa niente, senza di te non serve a niente.»
«Che vuoi dire?»
«Forse non sai perché è il mio preferito.»
Jenny si fermò solo un attimo, per fare segno di no con la testa. 
«Piace a te,» disse Mia «è per questo che lo compro sempre.»
Jenny sorrise, ma continuò a fare quello che stava facendo. Era passata agli asciugamani, adesso.
«Ho anche messo la crema della stessa fragranza.» 
Sorrise di nuovo, ma non sembrava molto interessata.
«Se ti vesti bambola, così mi dai una mano con le lenzuola.»
«Non voglio vestirmi.»
«Dai,» disse, leggermente spazientita «lo sai che non sono capace a piegarle  da sola.»
Jenny si voltò verso Mia che la scrutava accigliata.
«Ti devo fare un disegno, Jenny?» disse sarcastica «Ti dico che sono uscita dal bagno profumata come un biscottificio e che non mi voglio vestire e tu non capisci?»
«Ooooh...» esclamò Jenny che finalmente aveva capito le intenzioni della compagna.
«Che ti è successo?» ridacchiò la compagna «Di solito ti basta molto meno.»
«Io non pensavo che....insomma.»
La verità era che Jenny non vedeva l'ora di fare l'amore con Mia, era così da giorni, ma non pensava che per la compagna fosse lo stesso. In fondo era appena uscita dal reparto di neurochirurgia, era comprensibile se non avesse avuto voglia.
Mia si alzò in piedi e la raggiunse.
«Jenny, sto bene.» disse mettendole le braccia intorno alla vita.
«Lo so, bambola, solo che pensavo avessi bisogno di tempo.»
«Perché? Sono in ottima forma.»
Mia per sottolineare il concetto, arretrò di qualche passo, fino a toccare il bordo del letto, e lasciò cadere per terra il telo che la copriva.
«Sì, sei in ottima forma.» disse Jenny guardando, la compagna dalla testa ai piedi, facendo fatica a deglutire.
Mia, infatti, aveva messo una mano sul fianco e l'altra sulla coscia.
«Jenny?»
«Bambola...»
«Vieni qua e scopami.»

Nulla all'infuori di séDove le storie prendono vita. Scoprilo ora