Mia, lasciato l'appartamento, aveva chiamato Maria, certa che sarebbe stata costretta a sorbirsi i suoi rimproveri, ma che nonostante ciò, non le avrebbe negato aiuto e ospitalità. Aveva fatto male i conti, però, perché l'amica si era dimostrata ancora una volta intransigente e aveva detto a Mia di sbrigarsela da sola; del resto, queste erano state le sue parole, era andata a cercarsela e, adesso, era giusto che affrontasse le conseguenze.
Delusa e intenzionata a dormire in auto piuttosto che rivolgersi alla sua famiglia, quindi, aveva cercato un albergo dove aveva trascorso le ultime quattro notti.
In quei giorni che aveva trascorso lontano da Jenny, Mia le aveva mandato numerosi messaggi di scuse. Si diceva disposta a fare tutto per essere perdonata, o perlomeno, per avere la possibilità di chiedere ancora scusa e non aveva mancato di ricordare alla compagna quello che le aveva detto la sera del loro primissimo giorno di convivenza: "sei il mio faro, non dimenticarlo mai". Era decisa a non smettere di scrivere fin quando Jenny non avrebbe risposto, fino a quel momento, però, la ragazza, testarda come un mulo, non lo aveva mai fatto.
I tentativi di convincere Jenny a rispondere erano stati totalizzanti in quei giorni e era stato solo la mattina del quarto giorno quando la nausea, dopo una breve tregua, era ritornata che Mia si era resa che doveva affrontare il fatto che aspettava un bambino r che aveva, perciò, delle decisioni da prendere, decisioni che avrebbero potuto cambiare il corso della sua vita per sempre. Innanzitutto doveva decidere il destino della creatura che portava in grembo; l'idea di liberarsi del bambino le faceva accapponare la pelle, d'altro canto però quella gravidanza era il frutto di un errore e non di un progetto portato avanti con Jenny, come sarebbe stato giusto. In secondo luogo, doveva scegliere se rendere partecipe Max della situazione; non aveva idea di quanto il ragazzo volesse essere coinvolto, ma allo stesso tempo il ragazzo non aveva alcuna responsabilità e non si meritava di essere tenuto all'oscuro, era stata lei stessa a mentire riguardo il suo status di donna single e, quando il ragazzo era venuto a conoscenza dell'esistenza di Jenny, aveva mostrato di tenere a lei.
Tutti questi pensieri avevano affollato la mente di Mia, durante il tragitto albergo scuola, quella mattina. Inoltre, il cielo sembrava fare da specchio al suo animo turbato: nuvoloni carichi di pioggia stavano inesorabilmente oscurando il sole. Era stato, addirittura, diramato un allerta meteo per quel pomeriggio, ma la scuola aveva deciso di aprire comunque. Una decisione che, però, aveva lasciato perplessa Cristina, la quale, quando Mia era entrata in classe aveva esclamato un po' allarmata:
«Secondo me dovevamo tenere chiuso.»
«L'allerta scatta oggi pomeriggio.» aveva risposto Mia, ottimista.
«I temporali, fuori stagione, di questi tempi sono imprevedibili e violenti, sarebbe stato più sicuro tenere la scuola chiusa. Molte scuole lo hanno fatto.»
«Immagino che le scuole chiuse sono quelle pubbliche, mentre noi dobbiamo garantire la continuità del servizio ai genitori.»
Il tono di critica di Mia non era sfuggito a Cristina, la quale lasciando la collega di stucco, con cinismo aveva risposto:
«Allora terremo le dita incrociate affinché i bambini sappiano nuotare.»
Le paure di Cristina non si concretizzarono quella mattina, infatti, la pioggia cominciò a cadere solo quando la scuola si era svuotata di bambini e genitori e dentro era rimasto il personale.
Mia, che non aveva con sé né un ombrello né un impermeabile, si stava preparando a correre per attraversare il cortile e raggiungere la sua auto, ma fu fermata da una voce familiare:
«Hai bisogno che ti accompagni alla macchina?»
Mia si voltò e vide Maria che indicava l'ombrello che teneva per le mani. Il rifiuto ricevuto qualche giorno prima, però, bruciava ancora e con un orgoglio che forse non si poteva permettere, rispose fredda:
«Non è necessario, è solo acqua.»
Maria annuì e poi continuò:
«Ci ho pensato e credo di essere stata troppo dura con te. Quando l'altra sera hai chiamato, però, era un brutto momento. Lollo mi stava facendo impazzire, hai sentito anche tu come piangeva.»
Se quello era un tentativo di chiedere scusa, Maria aveva fallito. Innanzitutto, Mia non aveva sentito l'amica pronunciare la parola scusa, inoltre, aveva praticamente addossato al figlio la colpa per essere stata una pessima amica.
«Non ti nascondere dietro Lorenzo.»
«Mia....io...»
La collega, però, non finì la frase, perché il preside arrivò alle sue spalle e rivolgendosi ad entrambe esclamò:
«Signore, sembra che stia per venire giù il diluvio universale!»
Poi, serio, si rivolse a Mia.
«Permetti una parola nel mio ufficio?»
Mia annuì controvoglia, i recenti avvenimenti e il tono usato dall'uomo lasciavano intuire che non sarebbe stata una conversazione piacevole. Lo seguì nel suo ufficio e prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania, senza, però, mettersi troppo comoda.
«Non ci girerò intorno, Mia,» esordì il dirigente «sei una persona sveglia e un'ottima insegnante, perciò ho il dovere di essere onesto nei tuoi confronti....»
«L'anno prossimo non mi rinnoverai il contratto, giusto, Maurizio?» lo anticipò Mia.
L'uomo sospirò.
«Non solo. So che la scuola finirà tra poco più di un mese, ma sono costretto a fare a meno di te fin da subito.»
A Mia scappò una risata nervosa. La situazione era assurda, praticamente, era licenziata con effetto immediato.
«Ci sono state delle lamentele e anche se io non metto in dubbio il tuo operato, questa è una scuola privata, non abbiamo le garanzie che ci sono nel pubblico e non posso rischiare che i genitori non iscrivano i bambini l'anno prossimo.»
«I bambini, Maurizio?» disse Mia polemica «Lo sappiamo tutti che il problema è un bambino solo, anzi il problema è sua madre.»
«Mia, la mamma di Matteo non è stata la sola a rivolgersi al provveditorato, in qualche modo è riuscita a trascinare altri genitori e non posso ignorarli.»
Mia si passò la mano nei cappelli e si prese qualche secondo per pensare.
«C'è una cosa che non capisco,» disse infine «la mia vita privata, poiché è di questo che si tratta anche se tu non hai avuto abbastanza coraggio per dirmelo direttamente, non è mai stata un problema. Quindi, perché adesso lo è? Non credo che sia solo perché quest'anno sono proprio io la maestra di Matteo, ci deve essere dell'altro.»
«Ti ho promesso onestà all'inizio di questo discorso, perciò sarò franco. A prescindere dall'esposto e dal risultato delle indagini delle autorità, che sono convinto che si concluderanno in modo favorevole per la scuola, devo ammettere che la tua presenza qui è controversa. Vorrei difenderti, ma ultimamente la tua relazione e la tua vita privata sono oggetto di troppe discussioni e generano malcontento. Prima di adesso non era mai accaduto, non so quale sia il motivo, ma mettermi contro i genitori e impuntarmi per tenerti qui, metterebbe al rischio il lavoro degli altri, quindi mi vedo costretto a scegliere l'opzione migliore per tutti, che purtroppo è mandarti via.»
Mia incrociò le braccia e fissò negli occhi il suo superiore e, forse perché dopo Jenny, non aveva più niente da perdere abbandonò ogni forma di diplomazia.
«Ho sempre saputo che sei una persona accomodante e che se puoi eviti il conflitto, ma quello che hai fatto oggi non è mediazione, è codardia. Preferisci leccare il culo a quattro stronzi con troppo ego e troppi soldi, invece di fare la cosa giusta. Perciò, vaffanculo, Maurizio.»
Finito di parlare, si alzò in piedi con uno scatto.
«Mia, aspetta...»
La ragazza, però, non si fermò, decisa a lasciare la stanza prima possibile.
«...ti aiuterò a trovare un altro posto per l'anno prossimo, sei brava e c'è sempre bisogno di insegnanti.»
Mia si girò di nuovo verso il dirigente, tenendo una mano sulla maniglia della porta.
«Sai, dove te lo puoi ficcare il tuo aiuto? Ti do un indizio fatti aiutare dai genitori, che a quanto pare sono esperti nel metterla in quel posto. Addio!»
Mia uscì dalla scuola correndo, come aveva avuto intenzione di fare prima dell'incontro nell'ufficio del preside, ma stavolta la fretta non era causata dal cattivo tempo e, addirittura, si rese conto di essere fradicia una volta seduta dentro l'auto dove finalmente lasciò andare le lacrime. Si sentiva completamente sopraffatta dagli eventi e c'era una sola persona di cui voleva sentire la voce: Jenny. Decise di telefonarle, sperando che la chiamata, più urgente dei messaggi, la incuriosisse, ma la ragazza, come prevedibile, non rispose.
Tornata in albergo, si piazzò davanti alla TV. Fece zapping da un canale all'altro fino a quando non si addormentò con il telecomando tra le mani. Non sapeva quanto tempo fosse passato quando il cellulare cominciò a squillare. Ancora assonnata, guardò il display e rispose ancora prima di mettere a fuoco il nome completo che c'era sopra. Tratta in inganno dalla prima lettera, una A, e si era illusa che fosse Jenny che la stesse richiamando. La compagna, infatti, nel suo cellulare era salvata sotto il nome "Amore", la A che, però, Mia aveva letto apparteneva a Angela.
«Sei incredibile!» esordì la sorella, arrabbiata.
Mia si passò la mano sulla faccia e con rassegnazione disse:
«Illuminami, ti prego: per quale motivo ce l'hai con me stavolta?»
«Te ne sei andata dalla festa dei bambini!»
«Angela è stato quattro giorni fa! Ti ricordi di rimproverarmi adesso?»
«Beh, non lo avevo notato fino a quando non ho realizzato che non c'eri nelle foto.»
Il no sense di quella frase fece ridere Mia. O forse era tutta la situazione ad essere assurda.
«Perché ridi?» chiese Angela, la cui irritazione, Mia lo poteva sentire, era aumentata.
«Mi rimproveri perché sono andata via da una festa durante la quale non ti eri resa conto che mancava tua sorella? Mi chiedo se non dovrei essere io a rimproverare te.»
«Mia c'era un sacco di gente, e io ho solo due occhi.»
«Immagino che, però,Gigi ti abbia detto che sono stata male alla festa.»
«Mi ha accennato qualcosa, ma non pensavo fossi andata via. Ad ogni modo avresti dovuto chiamare e scusarti il giorno dopo.»
Mia avrebbe dovuto chiudere la telefonata lì, con una frase di scuse poco sentite e congedarsi dicendo che aveva qualcosa da fare. Quel giorno, però, si sentiva poco tollerante nei confronti della sorella, rea non solo di essere una grandissima stronza, ma anche di averle, sebbene inconsapevolmente, fatto credere che era Jenny quella che stava chiamando. Perciò, voleva zittirla una volta per tutte e senza alcun filtro rispose:
«Vuoi sapere una cosa, Angela? Tempo fa mi sono scopata un tizio e sono rimasta incinta, quindi, da quattro giorni dormo in un albergo del cazzo perché Jenny, e non posso biasimarla per questo, mi ha cacciata di casa. Come se non fosse abbastanza, oggi, per volere di un gruppo di genitori omofobi e un preside troppo coniglio per fare bene il suo lavoro, dopo cinque anni che mi faccio il culo in quella scuola, sono stata licenziata. Perciò, non mi frega un cazzo di scusarmi con quella permalosa di mia sorella per di una cosa che non sapeva neanche avessi fatto!»
Dall'altra parte c'era silenzio e Mia realizzò che ci era riuscita, Angela per la prima volta era senza parole. Peccato non avercela avuta davanti.
«Mia non ne avevo idea.» disse dopo un po' la sorella, solo che la sua voce era uscita di un ottava più bassa.
«Non ne avevi idea perché non chiedi mai. Ad ogni modo, devo andare adesso.»
Chiusa la chiamata in maniera brusca, Mia realizzò che era la prima volta, dopo averlo detto a Jenny quattro giorni prima, che diceva ad alta voce che era incinta. Aveva avuto in programma di dirlo a Maria, ma l'amica aveva messo su un muro la sera che l'aveva chiamata e, perciò, aveva finito per non dire niente. L'elenco che aveva fatto ad Angela, però, aveva fatto assumere alla situazione una connotazione ancora più reale e adesso Mia sentiva più che mai la mancanza di Jenny.
Tenderle un'imboscata al pub non era probabilmente una scelta saggia, ma quello di cui Mia aveva bisogno in quel momento era di un contatto. Jenny se voleva avrebbe potuto insultarla, lanciarle dietro qualcosa, ma il trattamento del silenzio, in quel momento era terribilmente insopportabile. Quindi, recuperò un ombrello dalla reception e si diresse verso il locale della compagna.
Erano le sette e pioveva a dirotto ormai da ore. Arrivata a destinazione, Mia contò, a parte la sua, altre quattro auto nel parcheggio. Doveva essere una serata fiacca e questo giocava a suo favore.
Tuttavia, una delle auto attirò la sua attenzione. Il colore e il modello, una berlina blu, le erano familiari, ma a colpire la ragazza furono, soprattutto, le prime due lettere della targa, che di solito era tutto ciò che ricordava delle targhe, compresa la propria. Le lettere che leggeva erano FM, ed erano le prime lettere che componevano la targa di Max, il quale guidava appunto una berlina blu.
Un'irrazionale paura si impossessò di Mia. Max, forse incapace di rassegnarsi, aveva deciso di andare da Jenny e raccontarle tutto. La compagna oramai era al corrente del suo tradimento, ma Mia temeva che potesse fraintendere e convincersi che lei e Max si frequentassero ancora.
Scese, perciò, in fretta dalla propria auto e si diresse verso quella di Max che aveva la luce dell'abitacolo accesa, segno che il ragazzo era ancora in auto. Forse era appena arrivato e poteva ancora chiedergli di desistere.
Max, però, non era solo e Mia esitò. Era troppo lontana per capire chi fosse la persona dentro con lui, ma sembrava essere una ragazza e sembrava che i due stessero discutendo; entrambi, infatti, gesticolavano animosamente. La pioggia le garantiva una certa copertura, ma allo stesso tempo le impediva di vedere con chiarezza e avvicinarsi avrebbe voluto dire essere notata.
Per sua fortuna, non dovette aspettare molto per scoprire chi fosse l'interlocutrice di Max. La fino ad allora sconosciuta, un minuto dopo, scese dall'auto, che ripartì subito, e Mia, con enorme sorpresa, vide Olivia camminare verso di lei.
«Mia, che ci fai qui?! Con questo tempaccio?» urlò la ragazza per sovrastare il rumore della pioggia.
Sembrava sinceramente preoccupata, ma Mia aveva la sensazione di non potersi fidare.
Il fatto era che, sebbene Mia credesse che il caso potesse essere sorprendente alle volte, quella era una coincidenza troppo strana per poter essere considerata casuale. Ricordava la prima volta che aveva conosciuto Max e quel giorno Olivia serviva al bancone come quasi tutte le sere. Nessuno dei due aveva affermato di conoscere l'altro, quindi le cose erano due: o Olivia e Max, per qualche strano scherzo del destino, avevano stretto amicizia subito dopo, oppure quei due avevano fatto finta di non conoscersi quella sera. In questo caso, allora, aver trovato Olivia con Max era tutt'altro che una coincidenza.
«Cercavo Jenny, ma ti ho visto in auto con quel tipo e mi chiedevo se fosse tutto a posto. Mi è sembrata una discussione animata.»
«No, tranquilla. Era una questione di poco conto.»
Stavolta, Mia scorse una punta di imbarazzo nell'atteggiamento di Olivia. La ragazza teneva con la mano destra l'ombrello e la sinistra invece era ben ancorata al braccio opposto, come a volere proteggersi
«Sei sicura? Sembrava una lite tra fidanzati.» chiese Mia fingendo una curiosità priva di malizia «Devi piacergli molto se è venuto qui con questo tempo.»
«Nulla del genere.»
Olivia era stata abbastanza vaga nella risposta da risultare sospetta. Era come se volesse chiudere l'argomento prima possibile e, infatti, aggiunse:
«Jenny non è dentro. C'era poco da fare e l'ho mandata a casa. Ti direi di entrare e prenderti qualcosa, ma credo che vorrai raggiungerla, no?»
No, pensò Mia, non voleva raggiungere la compagna, voleva sapere quello che stava succedendo. Il disagio di Olivia era palese, come palese che non vedesse l'ora che Mia se ne andasse da lì.
Questo fu abbastanza per convincerla che la sua sensazione iniziale era corretta: Max e Olivia si conoscevano e non era un caso. E se iniziava a fare attenzione ai dettagli c'erano altre coincidenze in quella storia che risultavano forzate. Max aveva sempre avuto un tempismo perfetto nel contattare Mia, accadeva sempre quando Jenny era impegnata con il pub, si trattasse di routine o di cose straordinarie, come quando aveva avuto problemi all'impianto elettrico. E chi meglio di Olivia poteva sapere quando Jenny era al pub, quindi, lontana da Mia? Per quanto riguardava il movente, invece, a Mia ne veniva in mente uno solo. Se Olivia aveva assecondato la sua relazione con un altro uomo, era perché desiderava Jenny e adesso si sentiva una stupida per non averlo notato.
«Ok, grazie, allora torno a casa anche io.» disse sperando che il sorriso sfoggiato fosse abbastanza convincente.
Anche se avesse avuto il permesso di tornare a casa sua, Mia non lo avrebbe fatto.
Salì in auto, diretta a casa di Max. Olivia non le avrebbe mai detto la verità, perché, se così come sospettava, la ragazza puntava a Jenny, aveva troppo da perdere. Avrebbe, quindi, braccato il ragazzo, finché non avrebbe sputato il rospo. Del resto aspettava un figlio da lui, il minimo che le doveva era raccontarle come stavano le cose. Mia sapeva che quello che aveva appena scoperto non era un attenuante per il suo comportamento, era stata lei a tradire Jenny, ma qualsiasi fosse il giochetto perverso che avevano messo su Olivia e Max le stava rovinando la vita e non credeva di meritarlo.
Noncurante della tempesta, premette sull'acceleratore. La pioggia che continuava a cadere ormai da parecchie ore, non aveva compromesso solo la visibilità della strada, aveva anche reso pericoloso l'asfalto e Mia, in almeno due occasioni, aveva perso per pochi millesimi di secondo il controllo del volante a causa dell'acqua. Non accennava però ad allentare la pressione che stava esercitando sul pedale, neanche adesso che il semaforo che si trovava a una cinquantina di metri da lei era diventato giallo.
Mia finì per attraversare l'incrocio con il rosso, tagliando la strada all'auto che stava arrivando dalla sua destra. L'automobilista aveva suonato il clacson ma lei lo aveva ignorato e continuava a viaggiare sui novanta all'ora in una strada in cui anche i cinquanta erano ormai un azzardo.
Mancavano ormai pochi minuti per arrivare da Max e stava adesso attraversando un viale, lungo il quale, forse a causa del temporale, le luci erano spente. La fonte di luce più netta era quella il semaforo in fondo alla strada che ora era verde ma Mia non sapeva per quanto. Non aveva intenzione di mancarlo e, incoraggiata dalla strada deserta, la ragazza accelerò ancora di più, senza sapere che l'asfalto in quel particolare punto era sommerso dall'acqua per una manciata di centimetri, non molti, ma abbastanza affinché le ruote dell'auto che giravano all'impazzata non aderissero più al manto stradale. Tutto accadde in un attimo: Mia perse il controllo dell'auto e, senza che riuscisse a evitarlo, il veicolo fece mezzo giro su stesso prima di sfrecciare sull'asfalto bagnato e schiantarsi contro uno degli alberi che costeggiavano il viale.
Lo schianto fu forte e da quel momento in poi fu tutto confuso. Nelle orecchie Mia aveva un fastidioso ronzio e la vista le si era offuscata. Il suo cervello comandava alla sua mano di aprire la portiera dell'auto e cercare di scendere, ma il suo corpo non ubbidiva.
Mia udì il suono delle sirene, ma il rumore arrivava ovattato alle sue orecchie, sembrava provenire da un altro mondo, e la ragazza non sapeva se era reale o frutto della sua immaginazione. Non ebbe modo di scoprirlo, però, perché un attimo prima che l'ambulanza arrivasse, Mia, dopo aver rivolto un pensiero confuso a Jenny, perse i sensi e da quel momento per lei fu solo buio.
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Nulla all'infuori di sé
RomanceMia e Jenny stanno insieme ormai da tre anni. A minare la stabilità del loro rapporto, sarà un uomo entrato per caso nel pub di cui Jenny è la proprietaria. L'incontro con Max infatti, costringerà le donne a fare i conti con le dinamiche del loro...