Tre, o il Maggio.

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1478, 30 aprile.
Floralia, terzo giorno.

Ai funerali di Giuliano de' Medici si erano presentati tutti i giovani di Firenze, ed Ezio tra loro, vestito a lutto. In piedi dietro alle prime panche della chiesa, Lorenzo si era chiuso nella sua sofferenza assieme agli amici più stretti e a sua moglie Clarice, che occhieggiava tutt'attorno spaventata come un cerbiatto. La città pressoché intera si era riunita attorno ai Medici, forti di un rinnovato sostegno che tuttavia non avrebbe potuto riportare indietro Giuliano.

Quando gli avevano chiesto se si sarebbero tenute ugualmente le celebrazioni per il Calendimaggio, Lorenzo aveva annuito. Aveva fatto diramare un comunicato con cui chiamava quegli stessi giovani piangenti a cantare per le strade inghirlandate. Una scelta controversa, ma che lui aveva motivato facendo notare che la festa di una città non s'era mai fermata per il dolore di una sola famiglia, e i Medici non potevano essere l'eccezione. Il carro di Madonna Primavera avrebbe percorso le vie, i fiori sarebbero sbocciati sui rami.

Ezio fece scorrere gli occhi giù dalla zona riservata alle donne, e li posò su Leonardo. Da quando erano arrivati in chiesa, quel giorno, il suo amico non lo aveva guardato neanche una volta in più della prima.

*

«Leonardo! Sono Ezio».

Subito dopo aver bussato, l'Assassino s'era accorto che la porta era solo accostata.

«È aperto,» gli confermò la voce dell'artista, «entra».

Proprio come era successo qualche ora prima, Ezio pensò che Leonardo avesse un comportamento insolito. Invece di essere accolto da un abbraccio, nonostante l'amico si fosse preoccupato tanto per lui pochi giorni prima, si trovò davanti una bottega che pareva addirittura più disordinata del solito. Come se Leonardo, ultimamente, avesse trascurato anche quel piccolo gesto d'attenzione che lo spingeva a cercare qualcosa che aveva lanciato via in uno dei suoi emozionati deliri e che, nell'immediato, gli serviva.

Ezio si fece strada tra fogli di cartapecora e trucioli di legno, e Leonardo non si mosse. Con un carboncino in mano e lo sguardo distratto, stava cercando di catturare qualche istante in un disegno.

L'Assassino si sentì addosso il manto di piombo della vergogna.

«Salute».

«Buongiorno, Leonardo. Come stai?»

Lui annuì, un movimento delicato del mento prima di tornare al suo disegno. Ezio osservò più da vicino e vide che la sua mano stava tracciando le zampe forti di un cavallo.

Non sapeva nemmeno come avrebbe trovato la faccia tosta di dirglielo. Leonardo, sono qui per... no. Lorenzo mi ha dato questo rotolo, lo ha trovato tra le cose di Francesco de' Pazzi. Mi chiedevo se tu...

Pessimo.

«Perché non sei venuto a dirmi che stavi bene?»

Il pensiero di vetro del giovane si frantumò, trafitto da una pugnalata. Lui uscì dal suo mondo di autocommiserazione e guardò Leonardo. Non aveva mai sentito un tono così duro uscire dalla sua bocca, né le sue iridi chiare avevano mai sostenuto uno sguardo tanto ferocemente.

Come altro avrebbe potuto rispondergli?

«Perché sono un coglione».

Leonardo non ribatté a quell'affermazione. Strinse le labbra, forse nel tentativo di trattenere delle parole che l'avrebbero ferito, poi si alzò in piedi e con le mani sul suo disegno replicò: «E a parte questo?»

Ezio si rese conto che, in tutta la sua pur breve vita, era sempre stato così orgoglioso da non trovarsi mai dalla parte di chi doveva farsi perdonare. Avanzò verso l'amico e lo prese con forza per l'avambraccio, attirandolo a sé. Vide un barlume di speranza filtrare tra i manoscritti stipati sugli scaffali quando Leonardo non rifiutò il suo gesto.

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora