Tredici, o i Princìpi.

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1478, 16 maggio.
Proclamazione d'Elagabalo imperatore.

Il gruppo all'interno del quale Ezio s'era mimetizzato voltò come uno stormo d'uccelli all'altezza dello Spedale.

Trovavasi da quelle parti la bottega di Claudio Cogni, stampatore, il cui ingresso seppur aperto ai fiorentini era presidiato da due guardie. La Volpe aveva saputo che in uno dei due scrigni ai lati della scrivania erano custodite quasi tutte le copie dell'atto di privilegio editoriale.

L'Assassino sospirò. C'era qualcosa che gli dava da pensare a riguardo, come un tarlo che gli bucava la mente dalla sera prima. Non aveva potuto confrontarsi con Leonardo, né stringerlo tra le braccia, e il dubbio gli premeva ancor più nella mente.

Aveva pensato che il suo dialogo con Poliziano sarebbe finito una volta spinta la finestra che non chiudeva bene. Invece, poco prima di farlo, quando era già sul balcone, la voce del poeta gli aveva detto un'altra frase, apparentemente casuale.

"Ah, filosofi," aveva esclamato, riferendosi al Guicciardi, "tutti servi dei loro libri. Tutti pronti a portare le parole da una parte all'altra, come vogliono loro" .

Sulle prime, il ragazzo non vi aveva dato peso, poiché gli era sembrato che il poeta di corte parlasse tra sé e sé di qualcosa di poco interessante, rivolto a un rivale accademico. Eppure il fatto che l'avesse detto quasi declamando quando la finestra era ancora socchiusa, di modo che lui potesse sentirlo pur senza vederlo in volto, gli impedivano di lasciar andare il sospetto che sapesse qualcosa.

Ezio si guardò intorno, abbandonò il gruppo che stava seguendo e si sedette su una panchina in attesa di un modo per proseguire non visto.

L'ultimo atto che rimaneva lo aveva già procurato una delle ragazze di Paola, con le sue arti mirabili.

L'Assassino approfittò di un capannello di studenti che, con un vociare goliardico, transitarono verso la direzione dove doveva dirigersi anch'egli. Non gli fu difficile passare, inosservato, oltre alla porta di suo interesse.

I due armigeri erano equipaggiati rispettivamente con un martello pesante e una spada a una mano e mezza. Indossavano corazze di fattura robusta, senza decori ma con qualche ammaccatura che rimandava a duelli passati.

Ezio aveva abbastanza conoscenza delle strade da sapere che la gente che assoldava tipi armati in quel modo aveva la coscienza sporca. Il primo dogma del Credo gli imponeva di non affondare mai la lama nel collo di un innocente. Lui era sicuro che non era il caso di quelle due guardie, però un'altra legge, quella dell'umana prudenza, gli suggeriva che non sarebbe stata una buona idea attaccarli.

La prima regola di Leonardo, invece, diceva che per ottenere ogni cosa c'era sempre un modo.

Si guardò attorno e, con un passo indietro, si trovò in mezzo a un gruppo di cortigiane.

«Ehi, bello,» miagolò una di loro, e con un gesto esperto gli strinse le dita attorno al bicipite. «Vuoi compagnia?»

Ezio le scoccò un'occhiata sorridente e giocherellò con le collanine che aveva sul petto. Lei, una giovane con i capelli acconciati a trecce e con un finto neo che le adornava la scollatura profonda, si strinse ancora di più a lui.

«Volete un lavoretto facile, signore?» domandò l'Assassino. Tra risatine e proposte più o meno velatamente oscene, ogni ragazza drizzò le orecchie.

«Che cosa dobbiamo fare?» domandò la più pronta, che Ezio era sicuro di aver già conosciuto in qualche occasione.

«Vedete quelle guardie laggiù?» continuò il giovane Assassino. Consapevole di avere gli occhi di tutte su di sé, girò uno dei pendenti per rivelare l'incisione di un fiore dal gambo ondulato. Il simbolo della Rosa Colta. Con la mano libera estrasse qualcosa dalla veste. «Se le distraete, questo sacchetto di fiorini è vostro».

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora