Diciassette, o il Cielo.

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«Dove sono finiti?» berciò uno dei due mercenari. Era uscito dalla camera padronale trascinando per il braccio Poliziano, che a causa della disparità di forze non riusciva ad opporre resistenza. Colpiva con un pugno le spalle dell'uomo che lo aveva preso, ma era troppo debole per sortire qualche effetto. «Dimmi dove cazzo sono!»

Il soldato gettò con disprezzo a terra il prigioniero, poi lo prese per i capelli e lo costrinse a rimanere in ginocchio, con il naso schiacciato contro il pube dell'altro. Il poeta, che aveva un vistoso livido sullo zigomo destro e delle chiazze rosse sul collo, non disse nulla.

«Lorenzo fa dormire questo stronzo nella camera della moglie,» disse il primo mercenario. «Oppure lei lo fa entrare per fottere».

L'uomo si era voltato verso Ezio, che sapeva che alle sue spalle, su una seconda rampa di scale, c'era Cogni. Tuttavia, l'Assassino non riusciva a distogliere lo sguardo dalla scena che aveva davanti. Doveva scegliere molto in fretta se salvare Poliziano o inseguire il suo nemico.

«Via, bimbo, questo dammelo. Ti farai male». Angelo, dalla sua forzata posizione di sottomissione, a quelle parole si chiuse su se stesso stringendo qualcosa al petto. Un bagliore d'oro che scomparve tra le pieghe della sua veste rese subito evidente a Ezio di cosa si trattava. A differenza di quando veniva trascinato, mentre strattonava il pugnale il poeta sembrava possedere una forza disumana. Il mercenario gli tirò i capelli e cercò di strapparglielo dalle mani, ma fallì.

«Lui non mi interessa. Dov'è Clarice?» tuonò Cogni. Ezio lo guardò e i suoi muscoli ebbero uno spasmo. A fatica, riuscì a trattenersi dal corrergli contro.

«Non l'abbiamo trovata,» rispose il mercenario. «C'era solo lui a letto».

Certo, si rese conto Ezio. Ecco perché Lorenzo è corso avanti. Sapeva che in un eventuale attacco chiunque avrebbe mirato alla camera padronale, e ha offerto a Poliziano l'onore di stare lì così che la moglie fosse al sicuro da qualche altra parte. Lei non ha mai dormito in quella stanza.

Guardò Sebastiano, che stringeva l'elsa della spada tanto che le sue nocche erano sbiancate.

Un po' cinico, ma bella mossa.

Apostrofandolo in modo volgare, il mercenario che ancora non aveva parlato tirò di nuovo la testa di Poliziano, che gemette di dolore, verso il proprio inguine. Mentre il suo commilitone lo teneva fermo, lui cominciò a slacciarsi i pantaloni.

«Su, dammi un bacio».

Il poeta alzò il mento per guardarlo in faccia e scoprì i denti.

«Provaci e ti stacco l'uccello a morsi,» lo minacciò, con gli occhi lampeggianti. Era la prima frase che gli sentivano articolare: la sua voce era roca, e tuttavia non tremava. Lo avevano creduto un cervo, ma forse era un leone.

I due uomini scoppiarono a ridere.

«Non ho idea di chi sei,» replicò uno, con un forzato tono tenero. Serrò la presa sui suoi capelli scuri e lo costrinse ad alzare la testa in modo da guardarlo in viso.  «Ma adesso vediamo se possiamo tenerti».

«Non è nessuno,» lo interruppe Cogni. «Non abbiamo tempo, uccidetelo».

«No!»

Nell'esatto momento in cui Sebastiano aveva urlato, Ezio aveva rinunciato a Cogni ed era scattato verso i due uomini. Estrasse entrambe le lame celate e gliele affondò negli occhi prima che potessero sguainare le armi. Quelli caddero a terra ai suoi piedi con un gorgoglio patetico ed Ezio inferse loro il colpo di grazia mormorando una preghiera poco convinta. Poi si voltò verso Poliziano: Sebastiano era già corso verso di lui, ma il poeta era indietreggiato verso la camera e menava fendenti nell'aria con il pugnale. Il Campione del Maggio si fermò, temendo di essere colpito per caso, e lo fissò negli occhi arrossati e sbarrati dal terrore.

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora