Sei, o la Notte.

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Che cosa diamine ho fatto.

Appena la nebbia nella sua testa si era diradata, e il desiderio aveva sciolto gli infidi lacci dalle sue membra, Ezio si era sentito come quando si destava da un sogno all'alba.

Aveva percepito il cuore affondare nella bocca dello stomaco quando s'era reso conto che non aveva affatto sognato.

Leonardo, dopo aver concluso il proprio colloquio con gli attendenti di Lorenzo de' Medici, era tornato da lui con un sorriso tanto serafico da farlo star male.

Che cosa ho fatto? Non sono pronto.

«Ezio...» esordì il suo amico. Allungò le dita per afferrargli la mano, ma il giovane Assassino si ritrasse.

Lui non è uno da una botta e via. E non è pronto ad avere una storia con uno come me. Cazzo!

L'orribile immagine della forca che aveva visto quel giorno gli comparve in mente per un istante solo, bianca, come la campagna illuminata da un lampo. Al posto di suo padre, morto con la corda stretta al collo, c'era Leonardo.

«Devo andare». Ezio si alzò di scatto dalla sedia, che stridette contro il pavimento. Le gambe per poco non gli cedettero.

Non si era mai sentito così debole, se non davanti a situazioni che avevano macellato la sua anima.

Di fronte allo sguardo interdetto di Leonardo, riuscì solo ad aggiungere: «Sarò alla Locanda del Cambio domani sera, quella vicino alla bottega del sarto. Ero venuto a invitarti. Scusa».

In quel vortice confuso di parole, si voltò e uscì dalla porta. Non tornò sui propri passi, anche se sentì una fitta al cuore quando Leonardo chiamò il suo nome.

Anzi, per non udirlo più, cominciò quasi a correre.

*

1478, 5 maggio.
Giorno di Sant'Irene.

Ezio aveva passato tutto il giorno nella piazza d'armi di Monteriggioni a pugnalare il cuore di manichini di paglia, nella vana speranza di distrarsi dal proprio tormento.

Non aveva fatto altro che ricordare la sensazione delle labbra di Leonardo contro le sue, e la paura che aveva provato nel rendersi conto che con lui non poteva giocare come con tutti gli altri.

Il modo in cui lo guardava, il modo in cui si sfioravano anche prima che quel bacio avvenisse, aveva già fatto capire a Leonardo i sentimenti che provava per lui. Chissà da quanto lo sapeva. Forse da prima che lui stesso se ne rendesse conto, essendo più grande di lui. Più esperto.

Pensarlo lo faceva eccitare, e allo stesso tempo sprofondare nella vergogna di essere stato un codardo. Avrebbe voluto riportare indietro il tempo a quando poteva chiamarlo senza remore amico , ma nemmeno quello avrebbe fatto cessare la sua sofferenza. Lui non era uno da sentimenti platonici, né da amor cortese. Abituato a vincere, voleva tutto e subito, e la sua stessa avidità lo aveva sopraffatto.

Sulla via per la Locanda del Cambio, nella sera rosa di Firenze, tutti gli uomini somigliavano a Leonardo. Tutte le schiene erano la sua, ma quando si voltavano Ezio – dopo un'immediata stretta al cuore – vedeva solo visi ignoti.

Arrivato a metà della strada, cominciò a pregare che l'artista lo raggiungesse, cosicché potesse tenergli aperta la porta mentre lui estraeva dalle maniche della veste qualche nuovo, bizzarro marchingegno.

Dopo aver premuto con forza le dita sulle palpebre chiuse, spinse la porta della locanda. Fu investito dall'odore di carne e birra e dalle risa tonanti degli avventori, che il legno spesso aveva tenuto separati dalla strada su cui stava calando il sole.

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora