Diciannove, o la Luce.

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Nuvole leggere, spinte dal vento, correvano su uno sfondo bianco che lasciava intravedere appena il disco velato del sole. Con un richiamo modulato, la sagoma di una gazza si stagliò controluce. Il tempo era mutato all'improvviso, e l'erba che ondeggiava scuotendo i radi fiori gialli aveva perso parte del suo colore.

«Oh, Ezio».

L'Assassino avanzava tra steli che gli arrivavano quasi al ginocchio, in un mare scarmigliato lontano dalla precisione dei giardini di corte. Forse era per questo che l'uomo che aveva davanti preferiva camminare lì.

«Sei tornato per l'Elena di Euripide?»

Angelo era in piedi di fronte a lui, con le mani giunte in grembo, più esile di quanto era mai sembrato al confronto con l'ampio spazio che lo circondava. Sorrideva di un sorriso irregolare, marcato da un incisivo scheggiato che l'Assassino non ricordava. Era come se non si curasse dell'essere piccolo, e gradisse la carezza sul viso e sui capelli di un'aria che minacciava temporale. Il suo leggero mantello rosso si alzava al vento.

«No, messer Poliziano,» gli rispose Ezio. «La mia strada e quella della letteratura... si sono dipartite molto presto».

«Oh, beh, cuiusque suum, si dice». Volgendo gli occhi castani verso l'orizzonte, sorrise di nuovo, questa volta a bocca chiusa. «A ciascuno il proprio».


«Mio caro maestro,

Ricordo di quando un giorno vi siete arrabbiato poiché, dicevate, non eravate in grado di creare nulla di nuovo.

Mai frase fu più falsa: voi avete creato me.

La prima volta che ho visto, nella vostra stanza, le carte sparse e i codici allineati sugli scaffali, e ho intuito l'intelligente vostra esistenza, ho nutrito pensieri che non avrei dovuto nutrire. Ho immaginato le vostre mani sul mio viso ed altre fantasie che mi causano ad oggi rossore al solo essere rievocate.»


«Sono qui per parlarvi di un'altra questione».

«Prego, Auditore». Poliziano mostrò con un ampio gesto della mano la campagna che avevano davanti. «Vuoi camminare con me? Dicono che dovrei fare dell'esercizio fisico per evitare di avere mal di schiena, però non ne sono molto incline. All'esercizio fisico, intendo».

Avanzò prima ancora di ricevere una risposta, incurante dell'essere o meno seguito, verso colline che non avrebbe mai raggiunto. Dalle sue parole traspariva la stessa calma dell'oceano che è da poco stato scosso da violenta tempesta, lo stesso sollievo di un uomo appena guarito, d'uno che trova finalmente conforto dopo i fuochi del morbillo e ricorda com'è non soffrire.

Ezio guardò verso l'alto: le nuvole gravide di pioggia gli parevano ancora lontane. Si incamminò in silenzio a fianco del poeta, i cui passi segnavano un sentiero dritto nell'erba.

«Credo che non tornerò in questo posto per un po',» esordì Poliziano dopo qualche minuto, senza distogliere la propria attenzione dalle foglie di un faggio che aveva ormai raggiunto un'altezza considerevole. Sembrava quasi parlare a se stesso. Ezio lo guardò e, quando i loro occhi si incontrarono, gli rivolse un'espressione perplessa.

«Avete deciso di accettare di trasferirvi a Cafaggiolo anche dopo quello che è successo? Non disturba il vostro animo rimanere in quel luogo?» gli domandò, con genuina sorpresa. Quindi tutti i suoi contrasti con Lorenzo, tutte le sue ardenti prese di posizione e mancanze di rispetto, non erano state che un fuoco di paglia? Oppure il principe lo teneva in pugno a tal punto che lui non avrebbe mai davvero avuto scelta?

«Se in ogni nostra azione ci sottomettiamo alla paura, alla fine è questo che di noi verrà trasmesso ai posteri». Fece una pausa e si inumidì le labbra. «E io sono uno che ha tremato abbastanza».

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora