Nove, o l'Immagine.

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«Messer Leonardo!»

Nonostante fosse roca, la voce che chiamò dalla camera da letto era decisa come quella di un comandante.

L'artista e l'Assassino, che erano rimasti immobili in piedi come se avessero ricevuto loro lo schiaffo, accorsero entrambi dentro la stanza.

Il novello Sciarra Colonna, vestito con una corta tunica di cotone grezzo, era seduto a gambe incrociate sul letto. Per sostenersi aveva appoggiato la schiena al muro e, con le mani posate in grembo e il volto provato, guardava dritto davanti a sé.

«Sebastiano, stai bene?» domandò Leonardo.

Anche se il suo corpo non si mosse, il sorriso sulle labbra del ragazzo si allargò.

«Io sì,» rispose, «e sapete, m'è tornata d'un tratto la memoria».

«Mi dispiace,» continuò l'artista, «non sapevo che...»

Sebastiano inclinò la testa e chiuse gli occhi con atteggiamento serafico. Aveva una benda di tessuto bianco attorno ai capelli sporchi, che non s'era ancora macchiata di sangue.

«Vi devo chiedere di perdonarmi per questo spettacolo, e vi imploro di non denunciarci per sodomia, messer Leonardo e messer...»

«Ezio,» si presentò lui.

Sebastiano si voltò verso di lui e gli rivolse un cenno col capo.

«Ma se volete farlo non posso fermarvi, e dopotutto non penso di poter passare qualcosa di peggio di ciò che mi è successo. Invece quel–». Accortosi d'essere infervorato, si interruppe e gettò gli occhi al cielo, con le sopracciglia inarcate. «Invece messer Poliziano,» si corresse, «credo che abbia qualcos'altro con cui venire a patti in questo momento. L'imperdonabile onta al suo orgoglio. E questo potrebbe bastare».

«Oh,» lo rassicurò Leonardo, «io non ho alcuna sicurezza di non aver... frainteso quello che ho sentito».

Il giovane ridacchiò e abbassò lo sguardo. C'era una venatura di tristezza nei suoi occhi chiari.

«Grazie».

«Sebastiano,» interloquì Ezio, muovendo un passo avanti. «Ricordi qualcosa di quando sei stato aggredito?»

Con aria sofferente, il giovane si portò una mano alla testa e la scosse piano.

«Ero ancora dalle parti della Locanda del Cambio. Mi stavo muovendo per le vie secondarie, in modo da non venir notato... sono stato imprudente. Avrei dovuto pensare che era pericoloso».

«Perché non hai preso la strada principale?» gli chiese Ezio, confuso. «Stavi pedinando qualcuno?»

«Sì, Poliziano,» confermò con candore il ragazzo. «Per... motivi personali. Poi qualcuno m'ha colpito in testa e se n'è andato senza rubarmi niente, o senza controllare se fossi morto».

«Credo che non abbia potuto farlo,» intervenne Leonardo. «Con tutta probabilità i rumori hanno richiamato qualcuno e il tuo aggressore è scappato. Dato che t'ha trovato lui, penso proprio che quello che è arrivato fosse Angelo».

«Ah, ha finito presto col suo impegno,» rispose Sebastiano in tono velenoso. Poi sul suo viso grazioso si dipinse una regale smorfia di sdegno. «Quindi dovrei la mia vita a quell'uomo là?»

Leonardo, con un lieve sorriso, si strinse nelle spalle.

«Tu... hai idea di qualcuno che possa volerti far male?» intervenne Ezio.

Sebastiano scosse di nuovo la testa.

«Sono solo uno studente,» rispose, poi con un lamento si portò le dita alla tempia. «Da oggi uno studente coi vuoti di memoria... Non ho nemici. Mio padre è Giulio Lucchesi, fa parte del Consiglio dell'Arte della Lana ed è benvoluto da tutti. Leonardo, mi avete detto che non sarò in grado di reggermi in piedi e camminare almeno fino a domani. Posso chiedervi di trovarlo e dirgli che il suo figliolo è vivo?»

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora