Diciotto, o la Via.

15 1 0
                                    

«Chi sei?»

Ezio sapeva di trovarsi in un sogno. Era consapevole che la coltre calda che lo avvolgeva, causando in lui uno stato di torpore, era formata da null'altro che coperte del suo letto. Non riusciva a percepire parte del suo corpo a causa della ferita da cui stava guarendo.

«Chi sei?» la voce dell'Assassino suonava sforzata. «Ti ho già visto che correvi nella stanza vuota. Non stavi andando da nessuna parte».

L'uomo dai capelli corti lo stava guardando dall'alto, come se si trovasse all'apertura di un pozzo dove Ezio era caduto. Un'intensa luce bianca, troppo fredda per essere quella del sole, vestiva le sue spalle, che declinavano un po'.

Lui taceva, ed Ezio si soffermò sul suo viso. Aveva la pelle olivastra e il naso che tendeva leggermente a destra. Era ancora piuttosto giovane, ma i suoi capelli folti stavano cominciando poco alla volta a ingrigire; al limitare degli occhi aveva delle rughe di espressione che rendevano il suo volto più severo, più saggio. Quando Ezio lo fissò negli occhi scuri, una sensazione crepitante lo fece sentire come davanti a uno specchio. L'uomo non si tramutò nel bellissimo modello di Leonardo. Rimase immobile, come un quadro dipinto sotto un'insolita angolazione incombente.

«Ho fatto un figlio senza accorgermene,» commentò con ironia l'Assassino, sapendo che quel fantasma creato dalla febbre non gli avrebbe risposto. Osservò la cicatrice chiara sul labbro dell'uomo, esattamente nel punto in cui si trovava anche la sua. «E sono ereditarie anche le brutte idee».

Guardò più in alto che poté. Petali rossi di rose erano sospesi in aria, immobili in un istante eterno.

Di nuovo cosciente del mondo materiale che lo circondava, Ezio sentì la propria guancia ruvida strofinare contro il cuscino.

Nel momento in cui io ti sogno, mi stai sognando anche tu?
Chi è allora, tra me e te, l'ombra?

*

1478, 31 maggio.
Giorno di Santa Petronilla.

«Così come il nostro corpo guarisce dalle ferite, allo stesso modo l'animo, con il tempo, si risolleva».

Ezio si era seduto a gambe incrociate nel giardino di Monteriggioni, come aveva fatto Mario il giorno in cui aveva pronunciato quelle parole. Lo aveva fatto con leggerezza, ed esse erano volate via sulle ali di una rondine, in mezzo ai rintocchi del campanile.

«Lo stesso tempo di cui tutti hanno paura, non è che un rimedio, se lo si segue come una corrente. Un Assassino sa stare con se stesso, e sa aspettare. Questa virtù è seconda solo al coraggio».

La mano di Ezio si posò sopra a quella aperta di Leonardo, che si stava sostenendo al muro, e intrecciò le dita tra le sue.

L'Assassino spinse i fianchi in avanti e udì l'amico gemere, mentre lo prendeva tra le cosce nude alla maniera greca. Con la gola stretta dal cappio ineludibile d'Amore, sfiorò le labbra morbide dell'amico con l'indice e il medio e lui le socchiuse sensualmente, permettendogli di insinuare le dita oltre i denti, sulla sua lingua. Ezio fu attraversato da una calda sensazione di eccitazione che arrivò fino all'inguine.

Il giorno in cui aveva ucciso Claudio Cogni, aveva sentito morire anche una parte di sé; e in particolare agonizzava quel lato che reclamava una cieca vendetta. Sapeva che lo avrebbe trascinato alle proprie spalle ancora molto, prima che si spegnesse del tutto. E forse anche dopo, come il corpo di Ettore legato al carro.

Ma un giorno il suo cuore si sarebbe indurito fino a diventare di pietra: un Assassino ha pazienza.

Il suo braccio sinistro si spostò attorno alle spalle di Leonardo. Lo staccò dal muro, lo strinse forte a sé e gli posò la bocca, schiusa, sul collo. Ansimava in modo quasi ferale, accecato dal desiderio di unirsi a lui.

Queste quiete stanze [AC2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora