La volpe

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Era una placida mattinata estiva alla Tokyo Jujutsu High.
  Il frinire delle cicale colmava il rilassante ed inusuale silenzio che la pausa portava con sé, graziando innumerevoli insegnanti obbligati a gestire un gruppo di adolescenti con poteri fuori dal comune. Durante il periodo estivo era assai facile lasciarsi trasportare dalla stanchezza generale di un anno di lavoro, per non parlare dell'afa che spesso scacciava qualunque fievole desiderio di produttività.
  I raggi di sole passavano dalle finestre spalancate per creare un minimo di corrente, illuminando la classe del secondo anno in quell'istante sospettosamente placida. La sezione era infatti ben conosciuta per i suoi tre soggetti a dir poco vivaci, sebbene a fare comunella fossero specialmente due di loro: il portatore dei Sei Occhi Satoru Gojo, un ragazzo incredibile nella sua imprevedibilità, e Suguru Getou, il più razionale e talvolta composto del temibile duo.
  Non che non avessero entrambi la testa sulle spalle, ma rimanevano in ogni caso dei giovani stregoni e non si poteva certo dire si influenzassero sempre in modo positivo. La loro terza compagna di classe, Shoko Ieiri, era spesso una povera vittima coinvolta nella loro incontenibile irrequietezza.
  Il gesso sulla lavagna non era stato cancellato e la lezione di poco prima sulla differenza tra Dominio e Dominio Diffuso era ancora perfettamente leggibile, forse per dare a Satoru la possibilità di rimediare agli appunti che sino a quel momento non aveva preso. Dato l'esiguo numero di studenti, non esisteva affatto la possibilità di non prestare attenzione e sfuggire con successo allo sguardo dell'insegnante: il professor Yaga era abituato a qualunque tipo di studente e, benché quella specifica classe lo avesse più volte messo alla prova, il loro potenziale era innegabile ed ogni strigliata a seguito di una missione ne valeva la pena.
  Shoko quella mattina era fuori per fumare la sua solita sigaretta di metà giornata, sfruttando fino all'ultimo il momento di distrazione di Satoru questa volta rimasto all'interno dell'aula. I suoi occhi dall'azzurro cristallino e disumano seguivano attentamente i movimenti della grafite con cui si stava intrattenendo, perso tra i propri pensieri mentre pareva riflettere su una questione importante. «Suguru? Se ti batto alla sala giochi, offri» disse dal nulla, attendendo una considerazione da parte dell'amico seduto alle proprie spalle. «E non lo sto dicendo perché perdi sempre».
  Tuttavia, non vi era nessun cenno di una risposta da parte del moro e Satoru fu costretto a voltarsi per capire come mai non dicesse nulla. Prima ancora che potesse pensare agli insulti per essere stato ignorato però, il ragazzo si rese presto conto che Suguru si fosse addormentato con la testa rifugiata tra le braccia conserte.
  Il suo caratteristico ciuffo che sfuggiva al resto dello chignon gli ricadeva sul volto mentre i profondi respiri uscivano dalle sue labbra socchiuse, completamente ignaro di come il temibile sguardo del ragazzo lo stessero scrutando. Satoru aveva sempre sostenuto che Suguru, con i suoi occhi affusolati ed il suo sorriso malizioso, ricordasse una volpe pronta per qualche raggiro e mai sprovvista di assi nella manica.
  Il ragazzo si avvicinò di più al viso del compagno, prendendo sempre maggior spazio sul suo banco mentre ne imitava la posizione. Era certamente inusuale assistere a Suguru profondamente addormentato con la testa sul banco e la cosa gli suscitò un certo barlume di tenerezza. Satoru incominciò ad avvolgere con cautela la propria matita attorno al ciuffo corvino per giocarvi, non concedendo al bell'addormentato nemmeno quell'attimo di tregua.
  «Suguru~!» Lo chiamò con un sorriso, preso dalla totale assenza di reazione del ragazzo. Tuttavia, guardarlo dormire in quel modo così pacifico gli stava suscitando nel petto una serenità senza eguali.
  Non aveva mai avuto occasione di osservarlo tanto da vicino senza conseguenze, gli pareva surreale. Forse era per questo che il suo cuore batteva tanto rapidamente, come se la volpe potesse inaspettatamente graffiarlo da un momento all'altro in un gesto di crudo avvertimento.
  Satoru non si era nemmeno reso conto di aver posato la matita, dedicandosi completamente allo scrutare il compagno mentre i loro respiri erano ora in sintonia. I suoi occhi più chiari del cielo scivolavano lungo i lineamenti del moro, abbassando la guardia in quell'istante così inusuale mentre dondolava lievemente sulla sedia.
  Improvvisamente però, Suguru incominciò ad aprire un occhio e il cuore di Satoru perse qualche battito nell'incontrare l'iride castana del ragazzo, come se fosse appena stato colto in fragrante a fare qualcosa di assolutamente proibito.
  «Che fai, mica dormi?»
  «Dormivo» gli fece presente Suguru con un'espressione poco compiaciuta, sebbene mai si fosse illuso di riuscire a godersi appieno l'ambita pennichella.
  Satoru fece schioccare la lingua un paio di volte, scuotendo la testa con fare scherzoso ed un sorriso che non la raccontava giusta. «Suguru Suguru, mai addormentarsi in mia presenza. Pensavo che l'ultima volta ti fosse servita da lezione».
  Suguru si alzò a sopracciglia aggrottate, fin troppo memore dell'esperienza artistica con un pennarello nero. Il ragazzo si avviò borbottando verso il bagno a passo pesante, pronto poi a tornare per far rimpiangere a Satoru qualunque pene gli avesse disegnato sulla faccia.
  Il giovane rise nell'assistere all'amico cascarci in pieno, sebbene la sua risata fosse andata scemando non appena Suguru aveva voltato l'angolo. Era la prima volta che lui, il portatore dei Sei Occhi e presumibilmente il più forte stregone moderno, aveva sentito il bisogno di nascondersi in quel modo.
  Non era affatto da lui, e per cosa poi? Non che avesse fatto una sorta di danno per cui avrebbe dovuto correre ai ripari. Eppure era esattamente così che si sentiva, come se avesse appena improvvisato una goffa ritirata. Ma di una cosa era più che sicuro: qualunque stramberia gli fosse successa, non sarebbe accaduta di nuovo e l'avrebbe presto dimenticata in un remoto angolo della propria mente. O almeno, questo era ciò di cui aveva voluto convincersi.

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