Non farlo più

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Il sole era sorto da poco e Suguru si svegliò di soprassalto grazie alla squillante voce di Utahime Iori, energico stregone di primo livello inferiore che lo avrebbe accompagnato nel corso della sua spedizione al Nihonbashi Bridge: l'abilità del ragazzo era infatti alquanto preziosa per la comunità degli stregoni e non era raro che le squadre lo sfruttassero per portare dalla loro parte le maledizioni più ostiche e potenti.
  In un attimo di disperata sonnolenza, il moro pensò di ignorare la senpai e di rimettersi a dormire come se nulla lo avesse mai disturbato. Tuttavia, in un secondo momento più lucido si ricordò della parola data al professor Yaga e si costrinse ad alzarsi con un grugnito scontento ed i capelli piuttosto arruffati.
  Appena un'ora dopo si stavano già avviando verso il luogo in cui si sarebbe svolto l'esorcismo, sebbene Suguru continuasse a voltarsi inquieto verso l'istituto che stava a malincuore abbandonando.
  «Aspetti qualcuno?» Chiese Uthaime dopo qualche passo, confusa dall'atteggiamento restio dello studente.
  Il moro scosse la testa, tornando a volgere lo sguardo avanti a sé con accettazione. «No. Pensavo che-»
  Prima che potesse terminare la frase però, lo avvolse un'inconfondibile stretta che finì col sollevarlo dal terreno di qualche centimetro. «Credevi di svignartela senza salutare?» Gli domandò Satoru con il suo solito, smagliante sorriso rubacuori.
  Suguru non poté che tirare un sospiro di sollievo, avendo quasi temuto che i compagni non sarebbero arrivati in tempo per salutarlo. «Ho fallito».
  «Vedi di tornare intero, Kyanu Reeves dei poveri» lo prese in giro Shoko, già con in bocca la prima sigaretta della lunga giornata scolastica che li aspettava.
  Suguru sollevò un sopracciglio e, prima che avesse il tempo di commentare, Utahime lo trascinò via per un braccio per intimargli di accelerare gli addii. «È tutto molto tenero, ma dobbiamo andare. Mei Mei ci aspetta e sai quanto per lei "il tempo è denaro" valga più come mantra che come semplice detto» aggiunse senza rallentare il passo o tantomeno dare cenno a fermarsi.
  Il moro si voltò impotente a guardare Satoru, come a scusarsi di non potersi trattenere oltre in loro compagnia. L'amico sollevò una mano per salutarlo un'ultima volta, ricambiando la vana espressione con cui non poteva fare nient'altro se non osservarlo allontanarsi verso la sua meta.
  Passarono circa tre giorni e dalla squadra arrivavano aggiornamenti periodici sull'avanzamento della missione. Satoru e Shoko si trovavano fuori dalla struttura scolastica, allenandosi insieme per ingannare il tempo e distrarre la loro mente dall'assenza dell'amico.
  Ogni tanto, il giovane spostava lo sguardo verso l'entrata nella speranza di vederlo rincasare illeso.
  «Puoi disattivare il Minimo Infinito per un momento, grazie? Non riesco ad allenarmi se non posso nemmeno colpirti!» Disse frustrata Shoko dopo aver cercato di assestargli qualche colpo fallimentare. La ragazza era infatti sì specializzata nella Tecnica dell'Inversione, ma la sua formazione comprendeva anche una buona preparazione fisica per non ritrovarsi indifesa in caso di minacce.
  Satoru sospirò disinteressato, quasi non prestandole attenzione. «Allenarti contro di me è solo una grande perdita di tempo» le rispose con saccenza. Era evidente che fosse frustrato e di cattivo umore, motivo per cui l'amica lo fissò con sguardo accusatorio.
  «Sono in pensiero anche io, ma insultarmi non ti farà stare-»
  «Suguru!» La interruppe l'altro d'un tratto, iniziando a correre verso i tre stregoni come se non esistesse più nulla al mondo.
  Mei Mei stava trasportando il corpo inerme del moro e la cosa che sicuramente più spiccava all'occhio era la sua divisa impregnata di sangue scarlatto. Nel vedere Suguru ridotto in quello stato tanto pietoso, il cuore di Satoru parve bloccarsi mentre i suoi occhi si rifiutavano di accettare la realtà che gli si parava dinnanzi.
  «Togliti, Gojo! Dobbiamo portarlo in infermeria!» Disse risoluta Uthaime per riscuoterlo dal suo stato di trance e fornire allo studente le cure mediche necessarie il più presto possibile.
  Il giovane fu immediatamente affidato alla custodia degli stregoni della Jujutsu Tech, tra cui la stessa Shoko che offrì salvifico supporto grazie alle sue abilità da curatrice. Solo una volta che le condizioni di Suguru divennero più stabili e a patto che continuasse a rimanere a riposo, gli fu concesso di ricevere delle visite direttamente in camera sua.
  Non appena fu informato da Shoko, Satoru si precipitò all'istante nella stanza dell'amico per poter verificare con i suoi stessi Sei Occhi lo stato di salute del ragazzo: Suguru giaceva indifeso tra le lenzuola, il torso nudo era fasciato da innumerevoli bende per disinfettare le ferite e le sue palpebre erano rimaste chiuse nonostante l'arrivo del suo compagno di classe.
  Satoru rimase immobile sulla soglia e fu proprio la ragazza a sospingerlo con delicatezza verso il moro, incoraggiandolo con lo sguardo a constatare lui stesso che Suguru fosse oramai fuori pericolo e al sicuro tra le mura dell'istituto. Il giovane inspirò profondamente per farsi forza, inginocchiandosi affianco del letto mentre Shoko decise di lasciarli da soli.
  Il ragazzo sfiorò la mano del ferito, trattenendo l'istinto di stringerla tra le sue dita per timore di risultare inopportuno. Eppure, non riuscì comunque ad allontanarsi mentre i suoi occhi cercarono con disperazione lo sguardo dell'amico. «Non farlo mai più» fu infine in grado di dire, seppur con la voce soffocata dalle innumerevoli emozioni che parevano strangolarlo. Ciò che più lo distruggeva era la consapevolezza che aveva rischiato di perdere il suo migliore amico senza aver avuto l'occasione di parlargli come davvero avrebbe desiderato.
  «Satoru, ho un buco nello stomaco. Se volevi peggiorare la mia situazione aggiungendoci il diabete, ci sei riuscito» sorrise debolmente Suguru, voltando la testa dalla parte del ragazzo mentre si sistemò meglio sul cuscino. «Sono sveglio e ti sento, prima che ti venga in mente di dire cose che non mi faccio problemi ad utilizzare contro di te».
  «Suguru...» sussurrò Satoru con dolcezza, ignorando le abituali prese in giro che in realtà tanto gli erano mancate.
  Il ragazzo appoggiò il capo di fianco al bacino del moro, ancora concedendosi il meritato riposo solamente una volta appurato che l'amico stesse bene. Suguru gli accarezzò delicatamente la chioma albina, non volendo affatto giudicarlo per la sua preoccupazione o tantomeno sminuire la paura che lo aveva fatto irrompere con tanta veemenza nella propria stanza.
  «Ho pensato che...» provò a dire Satoru, poi mordendosi il labbro nella speranza di riuscire ad ignorare l'insistente bruciore dei propri occhi. «Com'è successo?»
  «Siamo stati sorpresi da una maledizione di livello speciale. Come puoi vedere da te, non ero preparato».
  Suguru continuò ad accarezzare teneramente la testa dell'amico, un gesto spontaneo che probabilmente mai avrebbe ceduto a fare se fosse stato completamente lucido e padrone di sé stesso. Non avrebbe voluto che i suoi amici stessero tanto in pensiero, specialmente Satoru che in queste situazioni tendeva a trascurare il proprio benessere fisico e psicologico.
  «Satoru, adesso dormi» si raccomandò con morbidezza. «Con quelle borse che hai sotto agli occhi ci si potrebbe fare la spesa».
  Il ragazzo rise, effettivamente strofinandosi il viso mentre non accennò ad alzarsi dal letto. «Sei tu che mi hai fatto aspettare» parlottò con la faccia tra le lenzuola, cercando di sdrammatizzare per non esporre troppo questo suo lato tanto delicato.
  «Scusate, piccioncini, ma ho portato da bere» disse Shoko entrando nella stanza, non nascondendo affatto di aver sentito molto bene parte della conversazione. Non era solo Suguru che avrebbe usato qualsiasi parola contro di lui.
  La ragazza passò poi una lattina a Satoru, aprendo l'altra per sé. «Direi che l'ultima cosa di cui hai bisogno è questa» fece presente al moro, scuotendogli la bibita davanti chiaramente per farlo pentire di essersi ridotto in quello stato.
  Suguru scacciò la cosa con un gesto della mano, facendo intendere che comunque non ne avesse assolutamente voglia. Era lui il primo che doveva crederci.

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