Birre

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Dopo che Suguru aveva come sempre finito con l'accettare l'invito, Satoru incominciò a condurlo in direzione di uno dei bar ancora aperti lungo la strada principale mentre canticchiava la canzone dei titoli di coda del film. Non che il moro non avesse mai bevuto per conto proprio, e a volte anche in compagnia dei genitori che gli avevano offerto qualche sorso degli alcolici che acquistavano, ma era la prima volta in assoluto che l'amico gli proponeva una cosa simile.
  «E come intendi comprarle le birre? Siamo minorenni» gli fece notare una volta giunti d'innanzi al locale, osservandone le intense luci mentre dava un'occhiata all'interno.
  «Mi pensi così sprovveduto? Di me hai una stima che è rasoterra».
  L'albino infatti mostrò compiaciuto una carta d'identità interamente fasulla, ovviamente età compresa: ciascuno stregone già possedeva un documento falso che potesse coprire la loro reale identità qualora fossero stati interrogati da un pubblico ufficiale, ma Satoru era riuscito a modificarlo ulteriormente e l'amico odiava ammettere che in fondo ne ammirasse l'inventiva.
  Suguru lo attese sulla panchina di un umile parco nei paraggi, battendo il piede sul terreno e voltandosi fin troppo spesso nella direzione del bar per essere sicuro che il più grande stregone contemporaneo non stesse cercando di seminare la polizia alle sue calcagna. Tuttavia, i suoi sospetti si rivelarono presto infondati e Satoru ritornò trionfante con un sacchetto ricolmo di lattine appena uscite dal frigo.
  «Vedo che non ti sei trattenuto».
  «Non le devi mica bere tutte» si giustificò il ragazzo sedendosi, «io le ho solo comprate, se le vuoi sono lì.»
  Il rumore dell'apertura di una lattina riecheggiò nel parco semi vuoto e l'albino diede ufficialmente il via alla bevuta, seguito subito dopo da Suguru che alla fine si lasciò trasportare dall'entusiasmo generale. Tuttavia, Satoru non avrebbe retto nemmeno un bicchiere dell'alcolico più leggero in assoluto e ci volle molto poco prima che l'alcool facesse il suo effetto e il giovane si cimentasse in sciocchi discorsi senza alcun freno.
  Suguru non riusciva a smettere di sorridere, nonostante ben sapesse quanto lui stesso risultasse idiota nel ridere ad ogni cosa che l'altro dicesse. «Ma tu non la smetti proprio mai di parlare?»
  «E perché dovrei, se tu ridi ogni volta?» Fu la laconica risposta di Satoru mentre si appoggiava giocoso alla spalla dell'amico. Il cuore del moro incominciò invece a battere all'impazzata a quelle parole, dato che aveva appena appreso quanto fosse evidente che dedicasse all'albino una parte di lui molto dolce e sensibile.
  «Non è vero. Non sei così divertente».
  «Mi piace quando ridi Suguru. Per questo mi piace parlare» continuò Satoru, poi alzando lo sguardo ed incontrando i suoi occhi forse già troppo immersi nel riflesso dei suoi occhiali. «Ti dà fastidio quando parlo troppo?»
  Ci fu una breve pausa di sospensione, ma alla fine il moro si dovette dichiarare sconfitto da quel tono tanto supplicante e quasi indifeso. «No. Mi piace.»
  «Visto? Ha tutto così senso! Insieme ha sempre tutto un po' più senso».
  Suguru scosse la testa, ripetendosi che l'amico non fosse realmente in sé e tutto quello che affermava non fosse una garanzia, né tantomeno nasceva da pensieri concreti. Sarebbe stato da veri sciocchi crederci.
  «Sei completamente andato Satoru, non hai mai il senso della misura. Torniamo indietro, direi che la festa è finita».
  Dopo averlo fatto alzare in piedi con non poche difficoltà, il moro sorresse lungo il tragitto un Satoru impegnato in diversi concerti da solista e in cuor suo sperò di non dover fronteggiare anche Yaga una volta arrivato. Fortunatamente, Shoko si era ancora una volta dimostrata caritatevole nonostante tutti i guai che le procuravano e li aveva preventivamente già coperti con un'innocua bugia, permettendo loro di rincasare indisturbati.
  «Non sapete quanti pacchetti di sigarette mi dovete» fu il messaggio della ragazza che illuminò i loro telefoni.
  Mentre Suguru portava Satoru in camera sua, supplicandolo di andare a dormire e di chiudere la bocca, la sua mente vagò tra i pensieri fino a rimuginare sul discorso che avevano avuto: a lui piaceva ascoltarlo parlare e all'albino piaceva parlargli.
  Perché l'affetto di Suguru era silente e quello di Satoru era rumoroso, così tanto che fu il motivo stesso che gli impedì di udire quanto il peso di essere stregoni li stesse silenziosamente incrinando.

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