24. Partner in crime (e non?)

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"Itachi ti prego fermiamoci a mangiare qualcosa" Il tono di voce, a qualunque altro individuo, sarebbe sembrato serio, quasi autoritario; solo l'Uchiha - che oramai di squali quasi se ne intendeva - era riuscito a scorgere un lamento, come il capriccio di un bambino a cui sono state negate le caramelle
"Kisame siamo nel mezzo di una missione, dammi tregua" Lo ammonì Itachi continuando a camminare con lo sguardo fisso dinnanzi a sé
"Ci stiamo muovendo da due ore intorno la stessa zona, sono spazientito"

Okay Kisame, ora inizia a battere le pinne sul pavimento così posso procurarti un biberon a base di gamberetti.

Il moro si sentiva particolarmente intollerante nell'ultimo periodo, proprio lui, di indole estremamente paziente. Con Kisame facevano coppia fissa proprio per il medesimo motivo: quest'ultimo sarebbe riuscito a far uscire dai gangheri chiunque, tranne lui.
Eppure si sentiva intollerante, impaziente, in attesa di qualcosa - o qualcuno - e aveva sapientemente evitato di interrogarsi al riguardo, evitando risposte scomode e angoscianti.

"Stiamo perlustrando la zona, è ovvio che dobbiamo girare intorno allo stesso luogo" Rispose facendo appello a tutte le sue forze per non variare il suo tono di voce, solitamente piatto e atono
"Ma che ti prende? Ti ha punto una vespa?! Dobbiamo fare il culo ad un paio di nonnetti e andare via!" Suo malgrado anche Kisame, per quanto insopportabile, aveva imparato a riconoscere le micro variazioni delle frequenze della voce del maggiore degli Uchiha, creando un fastidio proprio a livello della bocca dello stomaco, fastidio che crebbe nel momento in cui si rese conto che, effettivamente, stava sprecando tempo prezioso per una semplice missione ordinaria: due signori dell'alta società criminale avevano solleticato, più del dovuto, la pazienza di una famiglia nemica.
Kisame aveva ragione.

"Volevo solo assicurarmi di compiere l'omicidio in sicurezza" Iniziò con calma il moro
"Adesso possiamo andare" Fece per proseguire ma la sua strada fu prontamente sbarrata dalla Samehada del suo partner, l'Uchiha donò lui uno sguardo fugace ma che nascondeva una minestra di non detti per niente indifferente. E Kisame lo sapeva che ultimamente Itachi di non detti si nutriva fin troppo - più del solito -.

"Che ti prende?" Ma l'Uchiha lo sapeva, adesso si sentiva lui il bambino, quello che viene beccato a giocare con gli shuriken nelle ore in cui si dovrebbe studiare - ma chi la conosce poi questa sensazione? -.

"Che intendi, Kisame?" Il tono si fece inquisitorio
"Lo sai che intendo" Rispose con un sorrisetto che la diceva lunga: era stato beccato con le mani nel sacco.
"Non lo so" Rispose ancora, non avrebbe mai confessato, perché lui di non detti non ne aveva mai abbastanza
"Sei sparito ultimamente, fai un po' come ti pare con gli impegni dell'organizzazione, più del solito" In verità l'Uchiha aveva già intuito che il suo partner aveva da tempo iniziato leggere quei non detti rimastigli sulla punta della lingua, ma voleva confidare nel tacito accordo che da tempo immemore si erano fatti: io non domando in modo che tu possa non rispondere.

"Itachi, lavoriamo insieme da anni, eppure adesso mi sembri più squilibrato di quando Pain ha illustrato la tua storia" L'uomo squalo aveva riportato la sua spada sulla spalla, consapevole che oramai non servisse più
"Ho delle questioni personali irrisolte" Non lo guardava neanche, ma sapeva che quel sorrisetto sghembo si era fatto più ampio
"E da quando Itachi Uchiha ha delle questioni personali?" Il tono adesso era palesemente allusorio
"Evitami la predica" Ecco che il velo di maya era cascato - il fenomeno era adesso noumeno - e l'Uchiha lo sapeva che quel ragazzo accanto a lui aveva avuto da millenni quell'intuizione geniale che il moro non fosse davvero parte di quell'organizzazione, che non condividesse nulla di tutte le idee da essa predicate, che ne fosse completamente staccato, con la mente e col cuore.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 16 ⏰

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