Tutto il tempo

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Seduto alla scrivania della sua camera, con un quaderno sulle cosce e un libro sul tavolo che pareva guardarlo con sdegno, Simone batteva la penna sul legno nervosamente.

Non riusciva proprio a studiare, neanche a ripetere nella sua testa perché troppo occupata a ricordare altri momenti, ancora fin troppo vividi nella sua mente.

Era il 31 marzo, il suo compleanno era passato da poche ore e lui ancora non era riuscito a metabolizzare quello che era successo quella notte.

Ricordava ancora la sensazione, il tremore della sua pelle nuda quando era entrata in contatto con l'aria fredda di quella serata primaverile. Ricordava i brividi percepiti quando quelle mani callose lo avevano accarezzato e toccato come se sapessero esattamente ciò che gli piaceva.

Come se non fosse la prima volta, come se sapevano esattamente dove muoversi perché rammentavano di gesti di un'altra vita.

Ricordava il sapore, così forte quello dato dal tabacco e allo stesso tempo dai super alcolici presenti alla festa, che avevano certamente contribuito a fargli girare la testa soltanto da quel contatto.

Mordeva il suo labbro inferiore e continuava a pensarci interrottamente quasi temendo che quei pensieri potessero scomparire, con la conseguenza grave che lui si sarebbe scordato tutto.

Perché voleva ricordare ogni cosa, perché pensava che solo a quei ricordi poteva aggrapparsi per tutta la vita. Pensava che non avrebbe mai avuto di più.

E fu inevitabile per lui domandarsi quello che invece pensava Manuel. Se lui ci pensava di continuo oppure cercava in tutti i modi un lavaggio del cervello che glielo facesse dimenticare per sempre.

Sentì degli strani rumori al piano di sotto, e visto che ormai davanti a quei libri ci stava inutilmente, cercò un modo per distrarsi da tutto.

Scese al piano di sotto, cercando Dante con lo sguardo e trovandolo in cucina, in compagnia.

«Che ci fai qua?» si appoggiò allo stipite della porta mentre attirava l'attenzione dei due.

«So' venuto per n'aiuto in latino, 'o sai che nun so capace senza de te» sbuffò alzandosi dal tavolo, già invitato a salire al piano di sopra.

Simone si morse l'interno guancia e guardò il padre che non aveva parlato, e a quanto pare non ne aveva intenzione. Subito dopo seguì il moro in camera sua dove l'altro aveva già presto posto, sdraiato sul letto.

Era incredibile come Manuel sembrasse lo stesso di sempre, come se quella notte fosse stata solamente immaginazione per entrambi.

«Se vuoi studiare prendi una sedia e vieni qua» lo disse in maniera scocciata, indicando la scrivania e muovendosi nervoso in modo volontario, così che l'altro potesse chiedergli cosa c'era che non andava.

«Vieni qui tu no?» inclinò la testa, battendo la mano sul materasso e guardandolo con quegli occhi vispi che Simone ricordava bene quanto fossero stati lucidi la sera passata.

«Non ci concentriamo sul letto io-» si schiarì la voce. «Dai Manuel muoviti»

Manuel si arrese, lasciando cadere il suo telefono e alzandosi con uno scatto e un verso stanco. Posò la mano dietro la nuca di Simone, muovendola leggermente nei suoi capelli vicino al collo.

«Che famo?»

«Latino?»

Scostò i libri già aperti da una parte all'altra della scrivania per trovare almeno sopra di questa l'ordine che invece gli mancava tra i pensieri che gli vorticavano in testa.

Manuel lasciò che un sorriso sghembo si formasse sulle sue labbra, e strinse leggermente la pelle del corvino quasi facendolo sospirare dalla sorpresa.

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