PIACERE VERONICA!

98 6 10
                                    

Quando sei una persona con un disturbo come il mio, vivi sempre su un filo sottile e traballante, concentrata a mantenere l'equilibrio, fallendo la maggior parte delle volte. Negli ultimi quindici anni ho detto "piacere Veronica" tantissime volte ma ogni volta è stato terribilmente straziante.

Chi è Veronica?

Prima dell'esordio della malattia ho solo dei ricordi frammentati e poco nitidi; non ricordo l'infanzia né la prima adolescenza eccetto episodi isolati ma ricordo bene quando LEI è entrata senza chiedere permesso nella mia esistenza.

Ero giovane; eppure già predestinata ad una vita straordinaria, fuori dall'ordinario. Erano anni nei quali non sapevo chi fossi, che cosa avrei fatto da grande, che passioni avrei coltivato e quali abbandonato. Una giovane adolescente cresciuta sotto una campana di vetro che non sapeva nulla della vita.

Ma torniamo al "piacere Veronica". Mi sono spesso soffermata su queste due semplici parole che si pronunciano stringendo la mano ad una persona alla quale approcciamo per la prima volta; uno sconosciuto che non sa nulla di noi, non ancora. In quel lasso di tempo possiamo decidere che tono di voce usare, che espressione sfoggiare, con quanta forza stringere la mano e se guardare o no negli occhi il nostro interlocutore. Tutte cose che alle persone non affette da DBP vengono spontanee.

-Piacere, Veronica-

Ma quale Veronica? 

Veronica che vomita fino a che le tempie sembrano uscirle dalla testa, Veronica che sorride con la maschera dell'allegria, Veronica che digrigna i denti dal male di vivere, Veronica che mangia pasta cruda in lacrime, Veronica che consola e motiva le persone che la circondano, Veronica che vorrebbe cambiare il mondo, Veronica che beve intere boccette di En sperando nel sonno eterno, Veronica che ricerca affannosamente la perfezione e che primeggia al lavoro...

Ci sono tante Veronica, si sono create negli anni, le ho create quasi in consapevolmente per sopravvivere nella società che mi circonda.

Non so chi sono diventata solo perché non voglio vederlo. Evito di guardarmi e ascoltarmi. Non voglio vedermi né ascoltarmi. Non posso accettare che tutto questo sia accaduto a me. Attorno a me percepisco solo il buio. Buio inteso non come assenza di luce ma come assenza di spazio e tempo. Sono come in attesa di qualcosa che nei momenti di lucidità mi è chiaro che non arriverà mai.

Impossibile, starete pensando, eppure è così. Percepisco solo il buio.

Il buio che vedo è la cosa più reale e più vicina a ciò che realmente sono. Tutto e niente nello stesso tempo.

Non so bene cosa sono e chi sono e tutte quelle domande che mi fanno fumare la testa non hanno mai una risposta.

Perdere la connessione con sé stessi è la parte più triste di questa patologia. È una delle sue innumerevoli sfaccettature ed è la più subdola. Non sapere chi sei realmente, non riuscire a stare soli con sé stessi, non percepire quello che vorremmo, crea uno stato di frustrazione davvero profondo, così profondo da indurmi talvolta a non credere nemmeno di essere viva.

Una cosa la so con certezza: se da bambina mi avessero detto tutto quello che avrei vissuto non ci avrei creduto, eppure sono qua a raccontarlo, al buio, dietro la tenda rossa del palcoscenico dell'esistenza. Sono la voce narrante di un cuore e un cervello che non hanno pace.

Dunque, sì, sono Veronica ma non chiedetemi "quale" sono perché sarei costretta a dirvi una bugia.

 Dunque, sì, sono Veronica ma non chiedetemi "quale" sono perché sarei costretta a dirvi una bugia

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
COME STAI_La mia storiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora