I FARMACI

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Essere affetti da una patologia psichica significa mettere in conto che nella vita si sarà sempre muniti di pastiglie, gocce e varie pozioni. Credo sia insito nell'essere adolescente avere una paura tremenda dei farmaci e così accadde a me quando il mio maledetto psichiatra mi prescrisse otto e dico otto pastiglie al giorno.

Cosa ero diventata in quegli anni?

Un essere tremendamente fuori controllo.

Ancora oggi quando lo dico all'unica persona che conosce la mia storia, mio marito, mi dice:" eh ma chissà come stavi..." Ma può esistere una fanciulla di sedici anni che necessita di otto psicofarmaci al giorno? NO CAZZO NO. Infatti, del primo anno alla Villa ricordo solo grandi dormite e le frasi di rito:

-Ragazzi preparatevi, tu Veronica no, torna in camera-.

-Ragazzi scendete, tu invece vai che dopo arriviamo con la terapia...- e così via.

Odiavo tutti, mi sentivo in gabbia, anzi in quel periodo scrissi una pagina di diario su come mi sentissi il povero fratello di Luigi IV costretto ad indossare la maschera di ferro per annullare il suo io. "Caro fratello, tornatene alla prigione e alla maschera che odi. A forza di portarla ti piacerà e ci morirai"

Quante volte vidi quel film in clinica. Un film del 1998. Tutti stavano nella sala relax a giocare e io mi mettevo nella saletta tv su una sedia scomoda e spoglia e mettevo la cassetta di quel film. Ovviamente non ne vedevo mai più di trenta minuti perché quella stronza dell'infermiera notturna piombava di soprassalto e spegneva tutto.

Così lasciavo la sala tv e prendevo le tre pastiglie messe nel fondo della scatola del formaggino con il bicchiere delle gocce più due buste di Movicol; che schifo. Una volta raggiunto il letto indossavo il pigiama e i calzini da notte e suonavo il pulsante rosso. Chi era in turno sapeva che doveva venire da me e faceva un gesto umano in un contesto "disumano" ovvero mi metteva le coperte tutte rimborsate come se fossi un fagotto. Ricordo ancora il peso di quelle coperte di lana spinosa addosso. Erano il peso della notte, del buio, della solitudine. Era il peso della vita.

Con il tempo i farmaci divennero sempre più il mio incubo. Vedevo il mio corpo cambiare, gonfiarsi e avere eczemi ovunque e mi sentivo pesante, affannata e sempre assonnata. Capivo che era tutto troppo per me ma non sapevo come e soprattutto a chi raccontare cosa mi stava accadendo.

Lo sbaglio che riguarda tutti quei medicinali è come mi sono stati presentati.

Un giorno di maggio del 2008 ero al secondo appuntamento con lo psichiatra che mi era stato assegnato al CPS della mia città.

Ogni qualvolta imboccavo la via Tito Livio un senso di nausea sopraggiungeva in me. Il Cps era una struttura in degrado, i muri scrostati, le sedie scricchiolanti e i corridoi con le piastrelle fino a metà muro facevano sembrare quell'ambiente vecchio, puzzolente e sporco. Lì in base al medico disponibile, ti viene assegnato e resterà "tuo" durante tutto il percorso terapeutico. Il mio psichiatra era un omuncolo alto circa un metro e settanta, magro magro, con la testa calva e una cifosi avanzata. Poteva avere gli anni dei miei genitori e i suoi occhi erano piccolissimi; due puntini neri in un cranio tutt'ossa. La sua magrezza lo faceva sembrare malvagio e il suo studio era patetico.

Sì patetico; finestre aperte tutto l'anno per paura dei germi, una mela verde sempre sulla scrivania con accanto una bottiglia d'acqua di una marca economica, una pila altissima di cartelle cliniche sulla scrivania e lui che con la sua voce dal tono sibilante faceva domande prendendo appunti con una stilografica.

Il nostro secondo incontro fu molto rapido. In quegli anni parlavo poco ed ero diffidente oltre che chiusa nel mio dolore. Stavo seduta su quella sedia nera in plastica e cercavo di scorgere il cranio calvo da dietro la pila di fogli.

-Vuole fare entrare i suoi genitori Veronica? - non smisi un attimo di chiedermi perché mi stesse dando del lei. Oh, sveglio ho sedici anni!

-No grazie tanto poi riferirà tutto lei-, risposi digrignando i denti.

-Bene, questo è il suo piano terapeutico. Dormirà parecchio ma fa parte della terapia. Se nota vertigini, maggiore rabbia o voglia di morire mi chiami o avvisi il suo medico di base-, non mi guardava in viso, teneva la testa bassa sistemandosi l'orlo dei pantaloni della gamba che aveva accavallato.

-Ha domande? –

Non proferii parola e alzandomi presi le ricette e uscii lasciando la porta aperta. Sapevo che di lì a poco sarebbe uscito con il suo camice bianco candeggiato e avrebbe chiamato i "signori" Birolini per spiegare come darmi quelle pastiglie.

Non provai un vero rigetto verso i farmaci ma una rabbia che era viscerale. Sapevo che ero in balia di due malvagi che mi avevano condotta lì con la forza e che avevo poche possibilità di sottrarmi alla terapia. Scelsi così di arrendermi e di obbedire ai farmaci. Cosa potevo fare? Una guerra nella guerra? Non era fattibile.

Fermo restando che io sono una paziente la mia pazienza non è infinita e dinnanzi a cotanta ignoranza ho provato odio immenso. Perché dormire h 24? Perché ingrassare come un pallone? Perché voler morire più di quanto lo si desideri già?

Non ci sono risposte ma nei fatti io e i farmaci non avremo più rapporti dal 2013 fino al 2019 tranne qualche goccia di Valium tutti i pomeriggi ma niente di che rispetto a quello che sarebbe accaduto poi.

Un giorno, in un hotel, come una vera rock star conobbi uno dei tanti Dissennatori della mia esistenza: L'EN.

Di lui ve ne parlerò più tardi perché merita uno spazio tutto suo. Le gocce di En sono la più dolce e allo stesso tempo arida compagnia nei momenti di merda oscura. E' miele misto a sangue, è pace prima della schiavitù, è la cosa più bella che mi sia capitata negli anni ma anche la più maledetta.

 E' miele misto a sangue, è pace prima della schiavitù, è la cosa più bella che mi sia capitata negli anni ma anche la più maledetta

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