Talvolta un ricordo non è legato a un evento ma a qualcosa di molto più incisivo ovvero alle sensazioni.
Negli anni in clinica le luci al neon dei lunghi corridoi, la perenne puzza di disinfettante come a voler cancellare la persona che ero, i ticchettii penetranti dell'orologio analogico appeso al muro, il gusto chimico della camomilla servita nella brocca la sera, sono elementi ancora vividi nella mia mente.
Ricordo in particolare il corridoio che collegava la guardiola infermieri alle camere. Chiudendo gli occhi potrei trasportarmi lì con la mente e ripercorrerlo, magari tenendo per mano qualche anima fragile.
Il mio reparto era il reparto adolescenti: misto ragazzi e ragazze. Un lunghissimo corridoio con i piastrelloni bianchi, le fughe annerite dal tempo e fredde luci al neon che illuminavano le pareti giallastre intonse di sofferenza e strazio. Eravamo una ventina di pazienti, giovani, pieni di speranza e ognuno con una storia complessa alle spalle. C'era Marta la mia compagna di attività, ribelle e fuori dagli schemi, Marco, il ragazzo solitario ed emotivamente affine a me, con il quale giocavo a Risiko, Giorgio, quattordicenne epilettico che mi fece assaggiare per la prima volta il cioccolato Milka e Giovanna la ragazza maschiaccio che si era presa una cotta per me. C'era anche Patrizia, mangiava sempre lo yogurt all'ananas e mi mostrava spesso le fotografie di scenografie suntuose create da suo padre, ne andava fiera. Lei era una persona a disagio in questo mondo bastardo e un giorno, un maledetto giorno, entrai nella sua camera e la trovai impiccata. Nessuno mi ha mai chiesto come è stato vivere un'esperienza simile ma lì ho veramente sentito sotto la pelle, tra le vene, nella carne la devastazione che causa il disagio psichico.
Eravamo davvero tutti diversi, ceto sociale, storia personale, sogni, ambizioni ma lì dentro eravamo tutti fottutamente uguali. Potevamo ascoltare gli uni il battito del cuore degli altri, era un legame inspiegabile, naturale e spontaneo, vero. Stavamo vivendo un incubo e lo stavamo condividendo giorno dopo giorno.
Questo ricordo è come una luce accesa dentro me che non si spegnerà mai. Mi piace pensare che sia stato proprio tra quelle mura fradicie di lacrime che io ho sviluppato la mia empatia, la mia attenzione verso gli altri e il mio profondo rispetto per ciò che non posso comprendere. Sono stati anni durissimi, anni di prigionia mentale e fisica nei quali aspettavo la domenica per andare a Verona città o per usare il telefono cellulare e in quell'arco temporale così significativo sono diventata grande senza accorgermene. Un giorno feci un cartellone con scritto:
È bello vivere anche se si sta male" e lo appesi davanti al mio letto. L'infermiera Franca entrò e sedendosi sul lato destro del mio letto mi disse che non sarei stata male per sempre. Si sbagliava ma sicuramente lei ci credeva. Cosa penso oggi di quella frase? E' una magra consolazione per chi ha un destino già scritto.
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COME STAI_La mia storia
Mystery / ThrillerCome stai è il racconto autobiografico di una donna che lotta contro un mostro che nessuno vede né sente. Quella donna sono io, trentuno anni e un mondo di emozioni che fanno a pugni nella mia testa. Perché "Come stai", perché è l'unica domanda all...