Iniziai ad amare la corsa in tarda età. Sapevo cosa fosse il running e cosa volesse dire essere un runner ma non avevo mai valutato di averne le capacità nonostante le mie lunghe gambe e la mia estrema resistenza nell'attività fisica.
Un giorno, cominciai a dedicarmi alla corsa e me ne innamorai. Me ne innamorai letteralmente. È uno sport individuale dove conta solo la tua determinazione e il tuo fiato e per una personalità come la mia mi consente di mettermi costantemente alla prova dandomi ripetutamente obbiettivi, spunti di miglioramento e soddisfazioni ma allo stesso tempo nutre la mia parte oscura in quanto dà la possibilità alla mia mente di screditarmi continuamente e di ripetermi con una straziante cantilena che fallirò.
Insomma, la corsa ha più facce, come la mia personalità. Con il tempo ho imparato a moderare gli insulti verso me stessa quando nelle "giornate no" non ho lo stesso passo delle "giornate sì" ma resta comunque una rabbia e un auto flagellazione emotiva in me. Proprio per tutto questo, nutro da sempre una sorta di rispetto verso la corsa perché ne conosco i suoi poteri.
È straziante quando salgo sul tapis roulant nella palestra sotto casa e so che dovrò portare a termine i due programmi di allenamento altrimenti, chi la sente la mia testa? Oppure quando non corro e mi riempio di insulti fino a farmi piccola piccola sotto le lenzuola dopo la terapia del pomeriggio. Quelle sconfitte sono nutrimento per la mia malattia, sono benzina per il suo meccanismo mortale.
Devo ammettere che con il tempo ho iniziato a dare un altro significato alla mia corsa: quando corro scappo. Sì, musica nelle orecchie e una gamba davanti all'altra, passo svelto, sguardo fisso davanti a me e via. Scappo da me, scappo dalla realtà, scappo da lei, la malattia, scappo da tutto ma torno sempre da dove sono partita, un posto sicuro; casa.
Correre oggi che ho trent'anni rappresenta per me un modo per stare in contatto con la mia parte buona e cattiva contemporaneamente. Io stessa sono un binomio e di conseguenza tutto ciò che faccio lo diventa.
Corro ma allo stesso tempo mi soffermo sui minimi dettagli, vado veloce ma dentro me vivo con il freno a mano tirato verso tutto e tutti, non ho paura di cadere ma ho paura di mettere i piedi giù dal letto, sento il cuore a mille dopo dieci chilometri e allo stesso tempo vivo la maggior parte del tempo depersonalizzata e incapace di sentirmi viva... Insomma, in una bella giornata di sole la Veronica che immagino, metterebbe il suo nuovo completo Nike, le Nimbus 25 ai piedi e una volta fatto partire l'Apple watch inizierebbe a correre insieme a suo marito per Milano conoscendo a memoria il tragitto; raggiungerebbe Parco Sempione, farebbe le trazioni agli anelli tra gli alberi e si fermerebbe al chiosco per una mezza d'acqua gassata, il tutto col sorriso, leggerezza di spirito e gioia di esistere.
La Veronica che sono, fa tutto ciò che vi ho raccontato ma anziché pesare cinquanta chili, ne pesa trecento di chili perché sulle spalle ha uno zaino che contiene tutto il suo male di vivere e che nonostante ci provi a scrollarselo di dosso, ad abbandonarlo al ciglio della strada e correre più forte, non sempre ci riesce. Non del tutto almeno, anche se devo ammettere che in alcune giornate il peso oscilla tra i duecento e i duecentocinquanta chili e quelle giornate cedetemi sono da braccialetto!
STAI LEGGENDO
COME STAI_La mia storia
Mystery / ThrillerCome stai è il racconto autobiografico di una donna che lotta contro un mostro che nessuno vede né sente. Quella donna sono io, trentuno anni e un mondo di emozioni che fanno a pugni nella mia testa. Perché "Come stai", perché è l'unica domanda all...