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Quel giorno nessuno dei due uscì di casa, né andò a cenare. Si addormentarono entrambi prima del calar del sole, le lacrime agli occhi e ricordi amari a far loro compagnia durante i sogni.

Quando la mattina dopo si svegliarono, svogliatamente si prepararono, e uscirono di casa senza toccare cibo e senza incontrarsi. Andò avanti così per giorni.

A volte si incrociavano in cucina, o in salotto, giusto per qualche secondo; si sorridevano, e senza dire una parola, si congedavano. Eppure non sembrava esserci imbarazzo.

Sembrava paura.

Quel giorno era il sesto dopo ciò che era successo: venerdì.

Tom si rimirò allo specchio e gli angoli della sua bocca si curvarono all'ingiù. Non pensava di aver mai avuto un aspetto peggiore: era pallido e grigio, come un fantasma, le occhiaie sembravano non finire mai, e la sua espressione nostalgica gli faceva assumere l'aria di chi non vuole che nessuno gli si avvicini.

Non dormiva da sabato.

Aveva provato in tutti i modi a mettersi a letto, tranquillamente, anche durante i pomeriggi dopo il lavoro, ma non c'era stato verso. Dopo cinque minuti di assopimento si svegliava di soprassalto a causa di un incubo.

Stava pensando troppo. Gli scoppiava la testa.

Da giorni non comunicava con Athena, a mala pena la vedeva, e si stava lasciando andare alla disperazione, al nulla totale. Non poter parlare nemmeno con la sua migliore amica lo stava uccidendo. D'altro canto era lui stesso a evitarla, e non sapeva nemmeno perché.

Sospirò tremulo e cominciò a compiere il solito rituale mattutino, utilizzando tutto il tempo che gli serviva.

Non sarebbe andato a lavorare quella mattina. Avrebbe chiamato il ristorante e si sarebbe dato per malato. In fondo non era proprio una bugia.

Quando il suo aspetto fu più simile a quello di un manichino che di uno zombie, il ragazzo uscì dal piccolo bagno.

Incontrò immediatamente la figura di Athena di fuori, che gli sorrise cordiale come i giorni precedenti, e attese di poter passare.

Il ragazzo non si spostò di un millimetro. Rimase immobile di fronte alla porta e guardò tristemente l'amica. Più osservava i suoi occhi che lo guardavano con curiosità, più sentiva l'impulso di abbracciarla e di piangere per ore. Gli mancava da morire, non poteva negarlo.

Athena aggrottò la fronte, preoccupata.

«Stai bene?» domandò apprensiva al ragazzo, vedendolo immobile di fronte a lei.

L'espressione devastata che comparve per mezzo secondo sul viso di Tom le fece venire i brividi, ma non poté controllare di averla vista davvero, perché il ragazzo accennò un sorriso sghembo e si scostò dalla porta.

«Sì, tutto bene» rispose tranquillo, e la mora si vide costretta a credergli. Prima che potesse domandare ancora qualcosa, Tom era già sparito nella sua camera.

Lo guardò chiudersi la porta alle spalle con espressione delusa e malinconica. Non sapeva più che pensare. Forse avrebbe dovuto insistere; la situazione si faceva davvero pesante. D'altro canto, se Tom non aveva intenzione di dirle nulla, lei non poteva forzarlo.

Sospirò sconfitta ed entrò nel bagno.


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Athena sentì qualcosa vibrare nella tasca dei suoi pantaloni e recuperò il cellulare, allontanandosi dal tavolino che aveva appena servito.

Sul display veniva segnalato un nuovo messaggio: Tom.

𝘌 𝘴𝘦 𝘷𝘰𝘭𝘦𝘴𝘴𝘪 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘤𝘪𝘰? -Tom Kaulitz-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora